giovedì 8 settembre 2011

Privo di ogni peso

Che cosa possiamo chiedere di più dalla vita? Quando ci sembra di avere tutto ciò che ci occorre a portata di mano; quando pare che nulla ci manchi, che tutto quello che ci è dovuto ci sia stato dato; quando sopraggiunge quel senso di compiutezza che sempre accompagna l’ottenimento di un risultato importante a lungo desiderato; è proprio allora che ci viene da domandare: “Che cosa possiamo chiedere di più dalla vita?” Ed è proprio allora, miseramente, che la risposta più ovvia si fa strada lentamente tra i nostri pensieri: “Possiamo chiedere tutto, perché la vita ci deve tutto e, forse, anche di più”.
Questa non è una semplice considerazione sul nostro istinto: si tratta di una verità, della semplificata traduzione di un ossessivo bisogno umano che è quello di accumulare quanto più possibile e volere ancora, e ancora. E ancora. Perché? Perché la vita ci deve tutto, a detta di molti. Perché in cambio degli ostacoli che l’esistenza pone sul nostro cammino, essa dovrebbe bilanciare quelle difficoltà con i migliori premi. Premi per il nostro desiderio non tanto di essere, quanto piuttosto di avere – e di avere adesso, subito, in men che non si dica.
Ma la parte probabilmente più amara, in tutto ciò, è che presto ci si ritrova a dover sperimentare l’acre sapore della delusione. E in quel momento sembra quasi che tutto crolli in maniera irreparabile, e il colpo è talmente difficile da incassare che molti, subendolo, perdono la voglia di continuare a marciare al passo con gli altri lungo questo interminabile tragitto che ci guida giorno dopo giorno verso l’ignoto.
Qual è la paura più grande dell’uomo? Una domanda che ha attraversato i secoli e le generazioni senza trovare risposta. Una delle ipotesi più probabili, tuttavia, è che il maggior terrore dell’essere umano sia quello di venire dimenticato. Che cosa c’è di peggio che andarsene con la consapevolezza che tutto quello che si è fatto è stato vano? Vivere un’esistenza del tutto inutile è la cosa più devastante che ci possa essere. E per questo tante persone hanno bisogno di chiudere gli occhi e fingere che la loro vita non sia così vuota come invece appare. Sedersi al bancone di un bar, terminate le otto stressanti ore di lavoro e soffocare ogni preoccupazione in un paio di bicchieri – o magari anche di più, se il portafoglio una volta tanto non protesta – è comodo. E, senza ombra di dubbio, molto più efficace dell’autocommiserazione.
E dunque che cosa ci resta in mano alla fine di tutto questo? Un atono baratro fatto di ombre e di silenzi nel quale il nostro corpo vacilla e precipita, improvvisamente più leggero, privo di ogni peso. Scivolare oltre il parapetto che delimita i tratti più pericolosi del sentiero della vita è estremamente facile. Oltretutto, le nuvole che veleggiano mute sull’orizzonte non sono fatte di zucchero filato: sono semplici chimere sulle quali non ci si può abbandonare. Sogni, illusioni, desideri, come quelli che nelle nostre menti sfumano di giorno in giorno mentre procediamo di un altro passo verso un domani incerto che potrebbe terminare in un fatale precipizio.

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