giovedì 27 ottobre 2011

La Stanza in cui Piovono Lacrime - Parte VI

Pian piano, così com’erano iniziati, gli strazianti urli di agonia di Bob cessarono, e il corpo del ragazzo si sciolse lentamente in polvere, mescolandosi allo strato di cenere che rivestiva il pavimento quasi sostituendosi ad esso. Matthew non si mosse. Non era stato particolarmente colpito da quelle visioni. Ne aveva avute di peggiori, in passato. Possibile che quell’ufficio sperasse davvero di poter far leva sul vecchio Bob Cleck per indurlo a suicidarsi?
Ma, chiaramente, quello era stato soltanto un assaggio. La cenere si librò densa nell’aria, in un cielo fattosi improvvisamente bigio e uniforme, e andò a raggrupparsi in fretta disegnando, come con un carboncino mosso da mano esperta, la facciata frontale della casa che un tempo, prima del grande incendio, era stata sua e di Cristal. Rimase senza fiato, ma non si scompose. Aveva ancora la forza per continuare ad andare avanti. Quello non era niente, i ricordi non gli facevano più male. Aveva perduto anni della sua vita per riuscire a convincersi di questo. Non avrebbe mai e poi mai permesso a quella stanza polverosa di mettere a soqquadro la sua esistenza in poche ore. Ma le urla di agonia di Bob, immancabilmente, ripresero a risuonargli nelle orecchie…
Bene. Sembrava tutto a posto, adesso. Era in piedi in mezzo alla strada, e alcune automobili gli sfrecciavano dietro la schiena, sull’altra corsia. Si avvicinò al marciapiede per non farsi investire da qualche passante, ma tanto sapeva che non sarebbe potuto accadere, perché quello che stava vivendo adesso non era altro che un sogno, una visione del suo passato risvegliata dalla sua mente. Stiamo a vedere, pensò, e rimase fermo in ascolto.
Matthew Sunstrike, dinanzi ai suoi occhi impassibili, aprì una finestra al piano superiore e si sporse a guardare la strada per tirare una boccata d’aria.
«Matt, amore, vieni qui un momento?» domandò l’esile e limpida voce di Cristal dall’interno dell’abitazione, raggiungendo soffusa lui che assisteva dal marciapiede. Il suo cuore saltò un battito. Era davvero lei. Era la voce della sua amata. Da quanto tempo non la sentiva, da quanto tempo la sognava, da quanto tempo desiderava udirla ancora…
«Arrivo» si sentì rispondere con gentilezza, e vide se stesso chiudere la finestra e ritornare dentro, accostando bene le tende. Cristal si sarebbe affacciata? Avrebbe potuto vederla? Gli mancava molto. Senza di lei, quegli ultimi anni erano stati dedicati esclusivamente al lavoro. L’aveva amata così tanto. Ed ogni cosa di lei, ogni particolare, erano ancora impressi nella sua mente, nonostante il lungo tempo che lo divideva dall’ultima volta che l’aveva vista, sdraiata all’interno di una bara, con l’apparentemente perfetto sorriso ovattato che solo i cadaveri hanno, quell’espressione che solo la morte riesce a conferire a certi volti. Desiderava tanto rivederla. Anche soltanto di sfuggita, due secondi, giusto il tempo di ridare nuova forma a quell’immagine ideale che si era creata di lei nella sua mente, per ripercorrere il suo sguardo e i lineamenti lievemente sbiaditi del suo viso.
E finalmente, come d’altronde si aspettava, il suo desiderio venne esaudito. Cristal comparve per un barlume di istante alla finestra, dall’altra parte del vetro, rifulgente di bellezza, quella splendida creatura che lui ricordava, il sorriso eterno e immutabile che sempre le associava, i lunghi capelli corvini che ricadevano sciolti sulle spalle, memoria di mille notti scure in cui aveva immerso il proprio viso in essi, inebriato dal loro profumo, e si era congiunto a lei nell’immensa soddisfazione che la luna, attraverso gli scorci creati a tratti dalle nubi fuligginose, non poteva fare altro che osservare e invidiare. Ricordava la musica, le note del pianoforte che lei la sera suonava nel soggiorno, mentre lui leggeva, e gli accordi che salivano e l’intensità della musica che si mescolava al suo stesso sangue, entrandogli nella mente non attraverso le orecchie, ma venendo sparata dentro a folle velocità attraverso le vene direttamente dal cuore pulsante.
La porta di casa sua si aprì, e lui e Cristal vi uscirono insieme, per mano, come due bambini dell’asilo che si avventurano per la prima volta fuori di casa contando sulla presenza l’uno dell’altra, altrettanto sorridenti e con altrettanta innocenza negli sguardi. Non sapevano ancora quanto la vita potesse essere spaventosamente brutale. Non avevano ancora sperimentato nulla sulla propria pelle di ciò che li aspettava. Inconsapevoli, sorridevano, trascorrendo le ore di felicità rimaste con parsimonia ma allo stesso tempo con pienezza. Due giovani innamorati. I cui sorrisi non erano ancora stati spenti dal fuoco.
Scrutò il proprio sguardo. Gli sembrava impossibile, dopo tanto tempo, di essere mai stato realmente così felice in vita sua. Eppure, eccolo lì: stava con la sua amata, ed era per quello che stava bene. Lei, Cristal, era assolutamente radiosa, raggiante, bella più di un milione di soli ardenti. Non riusciva ad immaginare le fiamme che di lì a qualche giorno avrebbero consumato il suo viso, cancellando quel sorriso così perfetto e puro da fare invidia agli angeli…
Sapeva quale sarebbe stata la prossima mossa dell’ufficio 074. Già conosceva il punto preciso in cui sarebbe andata a parare quella mente soprannaturale e terribilmente crudele contro la quale stava lottando. Ma lui, in ogni caso, avrebbe resistito fino alla fine. Ne era sicuro. In fin dei conti, era il suo lavoro. Stava solamente facendo il suo lavoro. Era a questo che doveva pensare, dall’inizio alla fine di quella battaglia. Solamente lavoro. Niente di personale. E quindi, come conseguenza di questo, ogni attacco di tipo personale sarebbe andato a vuoto, perché lui non avrebbe permesso a questo genere di assalti di interferire con il suo mestiere.
Bob era andato. La cornice con la foto di nozze era andata. Cristal, in qualche modo, si stava allontanando con lui, anche se sicuramente sarebbe presto ritornata. Era lì dentro da parecchio. Non sapeva quantificare precisamente il tempo che aveva già trascorso nell’ufficio, perché da un po’ si era accorto che l’orologio si era bloccato. In ogni caso, l’ufficio 074 non era ancora riuscito ad avere la meglio, perciò dubitava ci sarebbe mai riuscito, anche se con ogni probabilità i punti forti della sua strategia offensiva dovevano ancora essere assi ben nascosti nella sua manica. O nei cassetti di quella polverosa scrivania, pensò.
La visione si offuscò adagio, sfocandosi lentamente e diventando ben presto un’omogenea macchia di colori sparsi, immagini deformate e indistinguibili. Aveva riconosciuto bene il momento della sua vita che stava sparendo in quella mescolanza di colori. Lui e Cristal, lì, erano usciti di casa per un’ecografia. Avevano preso appuntamento per quel pomeriggio. La sua amata, in quel periodo, era incinta. Già di tre mesi, quasi quattro anzi, ormai. Matthew abbozzò un malinconico sorriso, mentre alte immagini si ricreavano dinanzi ai suoi occhi stanchi e, adesso, doveva confessarlo almeno a se stesso, anche lievemente lucidi.
Il silenzio e le ombre lo accerchiarono, chiudendogli ogni via di fuga, e privandolo quindi di ogni speranza. A poco a poco, una nuova visione prese a divenire più chiara, rendendosi nitida un po’ di più ad ogni secondo che scorreva lungo il torrente incontenibile del tempo. La sua casa ricomparve, vista dal retro. Questa volta, come si aspettava, era avvolta dalle fiamme.
Laceranti urla di terrore provenivano dalle abitazioni accanto. Urla di donne, donne che si erano accorte dell’incendio e pregavano qualcuno di intervenire, tempestavano di chiamate i vigili del fuoco e correvano di qua e di là, sperando di rendersi utili in qualche modo, ma rischiando invece di intralciare le operazioni dei soccorsi che presto sarebbero sopraggiunti.
Lui quella sera era fuori, se lo ricordava. Era ancora in ufficio, a quell’ora, ignaro di che cosa stesse accadendo a casa sua, completamente inconsapevole della situazione disperata in cui sua moglie si era ritrovata nello stesso momento in cui lui, seduto dietro una scrivania, compilava svogliatamente le ultime scartoffie, pensando a quando avrebbe potuto riabbracciarla al rientro a casa. Momento che si sarebbe rivelato tuttavia uno dei peggiori della sua intera esistenza. Anzi, no, decisamente il peggiore in assoluto. Per questo lo stava rivivendo lì dentro: perché era l’ariete che l’ufficio 074 intendeva utilizzare per demolire il portone che delimitava l’accesso alle sue difese.
Era tutto troppo reale, constatò con una leggera punta di disagio. Se fosse stato più debole, non sarebbe resistito di fronte all’immagine delle fiamme che, nell’oscurità della sera, divoravano la sua abitazione, all’interno della quale la sua amata sedeva sul divano accarezzandosi teneramente il pancione con una mano e reggendo con l’altra il romanzo che stava leggendo. Ma per fortuna si era preparato fin dall’inizio a quella visione, e perciò non gli appariva, adesso, poi così dolorosa come si sarebbe aspettato. Strinse i denti e continuò a guardare, ripensando alla punta di panico che lo aveva trapassato quando Bob aveva preso ad urlare e a contorcersi di fronte a lui, e si chiese se anche questa nuova visione terrificante sarebbe riuscita a sortire lo stesso effetto. Rivivere quella sofferenza per la seconda volta era un tormento. Ma sarebbe stata per l’appunto la seconda volta, quindi aveva il vantaggio di aver già provato che cosa significasse.
«Matthew Sunstrike, ci rivediamo…» mormorò una voce calda e ferma alle sue spalle, mentre la casa bruciava. Si voltò di scatto, sorpreso, e rimase ancor più meravigliato: davanti ai suoi occhi increduli c’era il volto di un ragazzo che conosceva fin troppo bene. Davanti ai suoi occhi c’era quel ventiseienne Joseph Cunnighel che aveva seguito anni fa, per poi internare in uno degli appartamenti tenuti sotto controllo dall’ASSFP dato che era risultato essere un soggetto potenzialmente pericoloso e sicuramente alquanto interessante da analizzare. Era identico a come l’aveva conosciuto, nulla di diverso: i capelli lisci, rossicci, e le lentiggini sul volto pallido, gli occhi verdi che sembravano scrutare incessantemente in ogni direzione anche quando stavano fermi, concentrati ad osservare e registrare ciascun dettaglio degno di nota.
«Joseph… Che cosa ci fai qui?» domandò senza quasi pensarci, con l’aria di chi si ritrova davanti alla porta di casa un visitatore decisamente inaspettato. Joseph Cunnighel sorrise malignamente, e dietro i suoi occhi trasparenti come vetro Matthew scorse le immagini di una lotta all’ultimo sangue contro il destino.

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