giovedì 6 ottobre 2011

Al via le danze

Sei del mattino.
La sveglia suona.
Al via le danze.
I primi svogliati raggi di sole penetrano le tende e bagnano il parquet. È ora di alzarsi, ma il tepore delle coperte è piacevole. Ancora qualche minuto, non di più. Scivolare in questo dolce torpore è smisuratamente piacevole. Apro gli occhi e lentamente metto a fuoco. I contorni della stanza cominciano ad assumere consistenza. Mi accorgo che non sono i raggi del sole quelli che vedo allargarsi sul pavimento: fuori è ancora buio pesto, come se fosse piena notte. La luce che riesce ad invadere una minuscola porzione della mia camera, invece, viene da sotto la porta, piovendo dalla lampada accesa in corridoio.
Bisogna alzarsi. Le sei del mattino ci mettono un attimo a scorrere via, ma l’autobus non aspetta i ritardatari. Passa quando è l’ora, e chi c’è sale, chi non c’è si arrangia. A ben pensarci, sembra quasi di sentir parlare il vecchio Charles. Sopravvive il più forte…
Mi strofino gli occhi e scosto il desiderabile calore delle coperte dal contatto con il mio corpo. Lo allontano da me tutto d’un fiato, rapidamente, per non dover sopportare troppo a lungo il dolore del distacco. Comincio a sentire i brividi. Fa freddo. Afferro i vestiti e scendo le scale. Entro in bagno, mi guardo allo specchio e mi accorgo di vederci ancora un po’ sfocato. Le palpebre non vogliono saperne di spalancarsi completamente. Colpa del sonno. Ieri sera ho dovuto studiare fino a tardi. E mi è andata bene, tutto sommato…
Mi sciacquo il viso e mi vesto. Vado in cucina. Trangugio la mia colazione in un paio di minuti, indosso il giubbotto, ghermisco lo zaino e mi proietto al di là della sicura porta d’ingresso di casa mia, ora totalmente esposto allo spietato rigore del gelo.
Percorro i miei dieci minuti di strada fino alla fermata dell’autobus. L’alba adesso sta indorando timidamente i contorni dell’orizzonte, fugando le tenebre notturne con gesti spicci. Attendo il mezzo di trasporto pubblico e, quando sopraggiunge, salgo e prendo posto. Per fortuna sono riuscito ad arrivare in tempo. Quando ritardo anche solo di mezzo minuto sono costretto a sorbirmi un altro quarto d’ora di strada a piedi.
Il viaggio dura circa quarantacinque minuti fino al centro (nelle giornate più fortunate, naturalmente; ora che i costi sono stati ridotti creando nuove linee, devo attendere una coincidenza un paio di paesi dopo il mio, il che mi porta via un sacco di tempo prezioso). Poi, altri cinque minuti a piedi per raggiungere la scuola, e il sonno che si fa sentire sempre più pesante e incombente. L’unico pensiero nel quale posso trovare rifugio è quello del letto caldo che mi aspetta, e che la sera mi accoglierà nuovamente nel suo piacevole abbraccio.
Ma un’altra considerazione ne cancella quasi immediatamente la bellezza: anche domattina, alle sei, la sveglia suonerà. E sarà di nuovo la solita storia.
Al via le danze, come sempre.

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