mercoledì 12 ottobre 2011

Interpelliamo il Re del Brivido

Dodici e tredici giugno 2011, giornate destinate al voto per il referendum riguardante l’energia nucleare in Italia. La Penisola, ancora una volta, si è spaccata in due – due voci ben distinte che hanno giocato alla gara del “chi urla più forte”, una parte decisa a confermare il proprio al nucleare, l’altra a ribadire il proprio No.
Si è lungamente parlato della possibilità di aprire delle centrali nucleari in Italia, questione rimasta all’ordine del giorno per parecchio tempo. Abbiamo ascoltato i pareri di esperti e di politici, di scienziati e di moralisti, ognuno con la propria esperienza al riguardo e la propria posizione irremovibile.
Un personaggio che finora non è stato interpellato, tuttavia, ha espresso il proprio parere relativamente all’energia nucleare già nel 1987 e, sebbene le sue idee fossero – e siano tuttora – manifestate intorno all’esistenza delle centrali negli Stati Uniti, il discorso può essere facilmente ampliato anche verso la nostra condizione, visto e considerato soprattutto che il motivo principale per il quale le opinioni degli italiani si sono maggiormente orientate verso il No è l’incidente avvenuto a Fukushima, in Giappone, nel marzo di questo stesso anno, avvenimento del quale il brano che verrà qui di seguito riportato sembra quasi essere una sorta di autentica, raccapricciante profezia.
Si tratta di un passo tratto dal romanzo “Le creature del buio”. L’autore è Stephen King e l’argomento, in questo capitolo, è rappresentato per l’appunto dalle centrali nucleari. Un breve retroscena dai risvolti agghiaccianti, ma lasciamo la parola al Re del Brivido, o, meglio, alla sua penna.
“[…] Quello che parlava doveva essere una rotella della Bay State Electric. Doveva trattarsi per forza della Bay State, perché era la società proprietaria di quello sperpero di denaro pubblico che era la centrale di Iroquois. A sentir lui la centrale era l’invenzione più sensazionale dopo quella del pane preaffettato e poiché sembrava che ci credesse davvero, Gardener concluse che doveva essere una rotella fra le più piccole, forse addirittura una rotella di scorta. Dubitava che i pezzi grossi si scaldassero tanto per Iroquois. Anche lasciando momentaneamente da parte la follia del nucleare, restava il fatto che l’Iroquois era già in ritardo di cinque anni sulla tabella di marcia e il destino di tre istituti di credito consociati del New England dipendeva da quel che sarebbe accaduto quando (e se) fosse entrata in funzione. Erano tutti immersi fino alle ascelle in sabbie mobili e scartoffie radioattive. Era come un pazzesco gioco di sedie musicali.
Naturalmente la magistratura aveva finalmente dato alla società il permesso di cominciare a caricare il reattore e c’è da star sicuri che da quando era giunta l’autorizzazione, un mese prima, quei delinquenti avevano cominciato a respirare un po’ meglio.
[…] Sapendo di commettere un errore imperdonabile, Gardener si avvicinò. Esibiva sulle labbra un cordiale sorriso da «si sta facendo tardi fra poco devo andare», ma le pulsazioni che sentiva alla testa stavano accelerando, concentrandosi sulla sinistra. L’antica collera sfrenata si consolidava in un’onda rossa. Ma lo sai di che cosa stai parlando? era praticamente tutto ciò che il suo cuore riuscisse a gridare. […]
Ma lo sai di che cosa stai parlando? Lo sai qual è la posta in gioco? Nessuno di voi ricorda che cosa è accaduto due anni fa in Russia? State pur tranquilli che loro non hanno dimenticato! Perché loro non possono. Ancora nel secolo venturo non avranno smesso di seppellire i morti di cancro. Dio dei sette cieli e di una terra sola! […] Ve ne state qui ad ascoltare quell’uomo parlare come se fosse sano di mente!
Con il suo bicchiere in mano, con il suo sorriso cordiale, ascoltò anche lui la rotella di scorta sgorgare le sue micidiali asinerie.
Il terzo uomo del gruppo era sulla cinquantina e aveva l’aria di essere un decano del college. Volle sapere che probabilità c’erano di ulteriori proteste organizzate per l’autunno. Si rivolgeva alla rotella di scorta chiamandola Ted.
Ted l’Energetico rispose che secondo lui non c’era niente di cui preoccuparsi. Il momento di gloria di Seabrook era passato e se c’era stato qualche fermento per l’installazione di Arrowhead nel Maine, da quando i giudici federali avevano cominciato ad appioppare dure sentenze per quelle che secondo loro erano solo provocazioni, le proteste si erano di molto diradate. «È gente che passa da un obiettivo a un altro con la stessa disinvoltura con cui cambia gruppo rock», affermò. […] Gli altri risero, tutti all’infuori della moglie di Ted l’Energetico, il cui sorriso divenne ancor più fragile. Gardener mantenne il proprio. Se lo sentiva congelato sulle labbra come un’istantanea.
L’esuberanza di Ted l’Energetico si rinvigorì. Dichiarò che era ora di mostrare una volta per tutte agli arabi che l’America e gli americani non avevano bisogno di loro. Disse che anche i più moderni generatori a carbone erano troppo sporchi perché l’EPA li potesse giudicare accettabili. Visto che l’energia solare era grandiosa… «fin tanto che brilla il sole». Ci furono altre risa.
[…] «E meno male che gli americani stanno mettendo finalmente nella giusta prospettiva la questione di Chernobyl», si rallegrò. «Trentadue morti. È una tragedia, certo, ma solo il mese scorso ci sono stati centonovanta e più morti in seguito a un incidente aereo. Non per questo la gente scende in piazza a gridare che il governo deve chiudere le linee aeree, no? Trentadue morti è un fatto orribile, ma siamo ben lontani da una strage biblica, come vorrebbero farci credere gli antinucleari.» Abbassò un po’ la voce. «Sono dei poveri fanatici come certi santoni che si vedono girare per le strade, ma in un certo senso sono più pericolosi, perché sembrano più razionali. Se però gli dessimo ciò che chiedono, fra un mese o giù di lì ce li ritroveremmo davanti alla porta di casa a frignare perché non possono più usare l’asciugacapelli o perché quando sono andati in cucina a prepararsi un bello spuntino macrobiotico hanno scoperto che il mixer non funzionava più.»
Agli occhi di Gard non sembrava più un essere umano. […]
«E un particolare che questi protestatori non ricordano mai di citare durante le loro manifestazioni», concluse Ted l’Energetico, con un’occhiata circolare di un penalista giunto all’apice della sua arringa, «è che in trent’anni di pacifico sviluppo dell’energia nucleare, non c’è stata una singola vittima dovuta allo sfruttamento dell’energia nucleare in tutti gli Stati Uniti d’America». […]
«Sono sicuro che riposeremo tutti meglio ora che lo sappiamo», commentò quello che sembrava un diacono dell’università. «E ora credo che io e mia moglie…»
«Lo sapevate che Marie Curie morì di avvelenamento da radiazioni?» domandò Gardener in tono colloquiale. Si voltarono verso di lui. «Eh già. Di leucemia indotta dall’esposizione diretta ai raggi gamma. Fu la prima vittima della lunga marcia mortale che ha per capolinea la centrale di questo nostro amico. Compì una serie approfondita di ricerche, che registrò tutte quante.»
Si guardò intorno nella sala improvvisamente silenziosa.
«I suoi quaderni sono conservati in una cassaforte», riprese. «A Parigi. Una cassaforte rivestita di piombo. I quaderni sono integri, ma troppo radioattivi perché li si possa toccare. Quanto poi a coloro che sono morti nel nostro paese, nessuno può parlare con cognizione di causa, dato che l’AEC e l’EPA mantengono il più stretto segreto.»
[…] «Il cinque ottobre 1966», continuò Gardener, «si verificò una fusione nucleare parziale nel reattore autofertilizzante Enrico Fermi nel Michigan.»
«Non successe niente», ribatté Ted l’Energetico mostrando i palmi delle mani all’assemblea riunita, come a dire: visto? Come volevasi dimostrare.
«No, infatti», ammise Gardener. «Forse Dio sa come mai, ma risulta che sia il solo a saperlo. La reazione a catena si interruppe per conto proprio. Nessuno sa per quale motivo. Uno degli ingegneri convocati dalla direzione diede un’occhiata, sorrise e disse: ‘Per un pelo non vi siete persi Detroit’. Poi svenne.»
«Ah, ma signor Gardener! È stato…»
Gardener alzò la mano. «Quando esaminate i dati statistici delle morti per cancro nelle zone circostanti le centrali nucleari sparse per il paese, scoprite delle anomalie, tassi di mortalità che non corrispondono a quelli medi.»
«È assolutamente falso e…»
«Mi lasci finire, prego. Credo che i fatti non contino più niente ormai, ma mi lasci finire lo stesso. Molto tempo prima di Chernobyl i russi subirono un altro incidente al reattore che si trovava in un posto chiamato Kyshtym, ma a quell’epoca il primo ministro era Kruscev e i sovietici si cucirono le labbra. Pare che accantonassero le barre esaurite in un fossato poco profondo. E perché no? Come avrebbe affermato forse anche Madame Curie, lì per lì era sembrata un’ottima idea. Secondo quel che possiamo ipotizzare, i nuclei si ossidarono, solo che invece che dar luogo a ossido ferroso, ovvero semplice ruggine, come avviene per normali barre d’acciaio, quelle producevano plutonio puro. Era come apprestare un fuoco da bivacco contro un serbatoio di gas liquido, ma non potevano saperlo. Pensavano che andasse bene così. Pensavano.» Sentì l’ira che gli faceva vibrare la voce e non poté far niente per fermarla. «Così avevano pensato giocando con la vita di esseri umani come… come se si fosse trattato di bambole. E sapete che cosa avvenne?»
Il silenzio era assoluto. […]
«Piovve», raccontò Gardener. «Piovve molto. E la pioggia diede il via a una reazione a catena che provocò un’esplosione. Fu come l’eruzione di un vulcano di fango. Furono evacuati a migliaia. Tutte le donne incinte furono fatte abortire. Non ci fu scelta. L’equivalente russo di un’autostrada che attraversava la zona di Kyshtym rimase chiusa per quasi un anno. Poi cominciò a trapelare la notizia di un gravissimo incidente avvenuto ai confini della Siberia e i russi si affrettarono a riaprire la strada. Vi installarono però certi cartelli davvero spassosi. Ho visto le foto. Non conosco il russo ma ho chiesto una traduzione a quattro o cinque persone diverse e tutte concordano. Sembra una di quelle perfide barzellette anticomuniste. Immaginatevi a percorrere un’autostrada americana, la I-95 o la I-70, e imbattervi in un cartello che dice: CHIUDERE TUTTI I FINESTRINI, SPEGNERE VENTOLE E CONDIZIONATORI D’ARIA E GUIDARE A TAVOLETTA PER I PROSSIMI TRENTA CHILOMETRI
«Balle!» tuonò Ted l’Energetico.
«Le fotografie sono disponibili in base alla legge sulla libertà d’informazione», replicò Gard. «Se costui stesse solo mentendo, forse lascerei correre. Ma lui e tutti quelli come lui sono responsabili di qualcosa di molto più grave. Sono come piazzisti che dichiarano pubblicamente che le sigarette non solo non provocano il cancro ai polmoni, ma sono piene di vitamina C e hanno un potente effetto preventivo contro il raffreddore.»
«Sta forse insinuando…»
«Trentadue sono i morti di Chernobyl che siamo in grado di verificare. Ma sì, forse sono davvero solo trentadue. Abbiamo fotografie scattate dai medici americani dalle quali sembra di capire che si siano già superate le duecento vittime, ma diciamo pure trentadue. Non modifica ciò che abbiamo appreso dell’esposizione alle radiazioni. I decessi non avvengono tutti immediatamente. Ecco dove veniamo tratti in inganno. I decessi si replicano in tre ondate successive. I primi a morire sono quelli bruciati nell’incidente. Poi tocca alle vittime della leucemia, soprattutto bambini. La terza fase è quella dell’onda più letale, quella dello sviluppo del cancro negli adulti dai quarant’anni in su. Casi di cancro così diffusi che si potrebbe tranquillamente definirla un’epidemia. Cancro della pelle, cancro al seno, cancro al fegato, melanoma, cancro delle ossa, per citare i più comuni. Però ci sono anche il cancro intestinale, cancro alla vescica, tumori cerebrali, cancro…»
«Basta, vuole smetterla per piacere?» esclamò la moglie di Ted. L’isteria aveva caricato la sua voce di una forza sorprendente.
«Lo farei se potessi, mia cara», le rispose bonariamente Gardener. «Ma non posso. Nel 1964 l’AEC commissionò uno studio sulle più gravi conseguenze che si sarebbero potute verificare nel caso dell’esplosione di un reattore americano di dimensioni pari a un quinto di quello di Chernobyl. I risultati furono così orrendi che l’AEC fece scomparire il rapporto. […]
«Secondo le proiezioni un incidente del genere in un’area relativamente agricola degli Stati Uniti, e per inciso quella prescelta era in Pennsylvania, dove si trova la Three-Mile Island, avrebbe provocato la morte di quarantacinquemila persone, contaminato il settanta per cento del territorio statale e provocato danni per diciassette milioni di dollari.»
[…] «Ma sta scherzando?» sbottò qualcuno.
«Tutt’altro», rispose Gardener, senza distogliere gli occhi dalla donna che adesso sembrava ipnotizzata per il terrore. «Se moltiplichiamo per cinque, otteniamo duecentoventicinquemila morti e danni per ottantacinquemilioni di dollari.» […]
«Dunque!» concluse. «Stiamo parlando di quasi un quarto di milione di persone morte prima che si esaurisca la terza ondata, vale a dire verso il 2040. […] Hanno ucciso i loro figli. […] Lo sappiamo da Hiroshima e da Nagasaki, dai nostri stessi test nucleari a Trinity e a Bikini. Hanno ucciso i loro stessi figli, ve lo volete ficcare nella zucca?» […]
La moglie di Ted indietreggiò di un passo, con gli occhi sgranati dietro le lenti, un tremito convulso alla bocca.
«Sappiamo tutti che il signor Gardener è un ottimo poeta, credo», disse Ted l’Energetico passando un braccio intorno alla moglie e schiacciandosela contro il fianco. Fu come osservare un cowboy che prende un vitello al lazo. «Tuttavia non è molto ben informato per quel che riguarda l’energia nucleare. Non sappiamo per la verità che cosa possa essere accaduto a Kyshtym e i dati trasmessici dai russi sulle vittime di Chernobyl dicono…»
«Ma la pianti», lo interruppe Gardener. «Sa benissimo di che cosa sto parlando. La Bay State Electric possiede tutte le stime del caso, conservate nei suoi archivi insieme con l’elevata incidenza di casi di cancro nelle zone intorno alle centrali nucleari americane, i dati sull’acqua contaminata dalle scorie nucleari, l’acqua delle falde acquifere profonde, l’acqua in cui la gente lava i suoi vestiti, i suoi piatti e se stessa, l’acqua che beve. Lo sa benissimo. Lo sa lei come lo sanno in tutte le aziende energetiche americane private, municipali, statali e federali.» […]
«Ted, ma tu lo sapevi?» domandò all’improvviso la moglie dell’Energetico.
«Ma sì, ho delle statistiche anch’io, ma…»
Si fermò lì. Chiuse la bocca così violentemente che per poco non si udì lo schiocco dei denti. Non era molto… ma era sufficiente. Tutto a un tratto dal primo all’ultimo di loro era stato messo al corrente che Ted aveva omesso interi capitoli di sacre scritture nel suo sermone. Gardener visse un momento di acido, inaspettato trionfo.
[…] «Avete visto le fotografie dei militari in tuta antiradiazioni intorno alla centrale nucleare che c’è a mezz’ora di macchina da Harrisburg? Sapete come hanno cercato di bloccare una delle fughe che si erano verificate lì? Hanno infilato una palla da basket ricoperta di nastro adesivo in una tubatura scoppiata. Per un po’ ha retto, poi la pressione l’ha sputata fuori e la palla ha sfondato il muro di contenimento. […]
«Avete intenzione di avere dei figli? In tal caso, spero per il vostro bene che lei e suo marito abitiate a distanza di sicurezza dall’installazione. Sapesse i granchi che prendono. Come alla Three-Mile Island. Poco prima che mettessero in funzione quella centrale qualcuno scoprì che gli idraulici avevano chissà come collegato un serbatoio di scorie liquide radioattive della capacità di dodicimila litri alla rete dell’acqua potabile invece che alle fogne. Per la precisione lo si scoprì una settimana prima che la centrale entrasse in attività. Carino, no? […] Ted può anche raccontarvi le sue balle sull’eccessivo sensazionalismo con cui si è parlato di quello che è stato in realtà un piccolo incendio e se vi piace, potete anche credergli, ma resta in fatto che ciò che è accaduto alla centrale nucleare di Chernobyl ha espulso nell’atmosfera di questo pianeta più scorie radioattive di tutte le bombe A fatte scoppiare sulla superficie terrestre dai tempi di Trinity.
«Chernobyl scotta.
«Continuerà a scottare per un bel pezzo. Quanto? Nessuno lo sa con precisione, vero, Ted?»
Accennò a un brindisi, poi si girò a guardare gli altri invitati, molti dei quali adesso apparivano sgomenti come la signora Ted.
«E succederà di nuovo. Forse nello stato di Washington. Ai reattori di Hanford stavano accatastando sbarre di nucleo in fossati non protetti come facevano a Kyshtym. Oppure la California, in occasione del prossimo terremoto di notevole intensità? In Francia? In Polonia? O magari qui nel Massachusetts, se costui la spunta e in primavera entrerà in funzione la centrale di Iroquois. Basta che qualcuno abbia la bella pensata di far scattare l’interruttore sbagliato nel momento sbagliato e la prossima volta che i Red Sox giocheranno a Fenway sarà verso il 2075.» […]”
Una predizione parecchio spettrale, per la sua vicinanza con la realtà. L’unico dettaglio è che il terremoto non ha colpito la California, bensì il Giappone. Ma, per il resto, sembra che il terrore avvertito in Italia – come altrove – nei riguardi delle centrali nucleari non sia poi così infondato…

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