venerdì 14 ottobre 2011

La Stanza in cui Piovono Lacrime - Parte II

L’affermazione ebbe l’effetto che aveva desiderato, e la ragazza rimase colpita, lì ferma a fissarlo con sguardo interrogativo. Stava per aprire bocca un’altra volta, quando dall’ascensore scese un ometto basso e di corporatura robusta, abbastanza tarchiato, che si avvicinò indispettito scorgendo la segretaria confabulare con Matthew e si piazzò di fronte a loro con sguardo severo.
«Buongiorno, signor Dember» salutò immediatamente Cindy rimettendosi dritta in piedi.
Matthew lo squadrò. Louis Dember, il direttore di quell’agglomerato di uffici, era un omino dall’altezza quasi insignificante e dall’aria d’importanza, la fronte ampia e stempiata, i radi capelli ancora neri ma tendenti al grigio, gli occhi marroni e un lieve accenno di barba mal rasata, un paio di occhiali dalla montatura grossa e nera con due lenti spesse quanto fondi di bicchieri, addosso una giacca firmata color beige che pareva appena uscita da un centro commerciale, scarpe nere lucidate da poco, un orologio d’oro al polso e la fede matrimoniale sull’anulare sinistro.
«Cindy, buongiorno. Chi è il signore?» chiese con la sua voce stridente il signor Dember, guardando Matthew quasi con distacco.
«Piacere, Matthew Sunstrike dell’ASSFP, l’Agenzia Speciale di Stato sui Fenomeni Paranormali» si presentò il trentaseienne porgendo la mano. Louis Dember si affrettò a stringerla e a tramutare quella smorfia che era la sua faccia in un sorriso stentato.
«Oh, il piacere è tutto mio signor Sunstrike. Avevano detto che l’avrebbero mandata oggi. È qui per quell’ufficio, non è vero?»
Matthew notò con quale tono di voce il direttore avesse pronunciato il termine “quell’ufficio”, quasi con un timore misto a diffidenza. Era evidente come in realtà la presenza di quell’ufficio nel proprio stabile pesasse terribilmente a Louis Dember. Probabilmente l’ufficio 074 si era presentato, nel corso degli anni, una vera e propria spina nel fianco. Un sacco di morti da insabbiare alla svelta per evitare di compromettere il lavoro dell’azienda. E aveva svolto questi occultamenti nel più efficiente dei modi, pensò Matthew, perché prima di un mese fa non aveva mai sentito parlare dell’ufficio 074 di quel particolare palazzo degli affari.
«Sì, è proprio così, sono qui per lo 074» confermò Matthew sorridendo. Louis Dember si lasciò sfuggire una smorfia, un istante soltanto in cui la sua bocca si incurvò nell’udire quel numero pronunciato così apertamente, quelle tre cifre che con ogni probabilità occupavano i suoi incubi notturni e li rendevano ancor più neri con regolarità costante.
«D’accordo allora. Direi che posso innanzitutto farle fare un giro dell’edificio, così le spiego bene come stanno le cose riguardo a quell’ufficio e magari le illustro la storia del grattacielo, così da fornirle qualche indizio eventualmente utile…» cominciò il direttore, ma Matthew lo interruppe gentilmente con un cenno della mano.
«No, non si disturbi. So già tutto quello che c’è da sapere, grazie. Mi sto preparando da un mese a questo caso e ritengo di essere più che preparato ad affrontarlo. Col suo permesso, vorrei recarmi direttamente all’ufficio interessato» annunciò l’agente dell’ASSFP.
«Così sia…» concesse con un briciolo di riluttanza il direttore, quindi gli indicò la via per l’ascensore.
«No, grazie, preferisco le scale, se non le dispiace» corresse Matthew. A Louis Dember dispiaceva eccome, ma mascherò il suo fastidio dietro un sorriso forzato e accettò suo malgrado la richiesta del trentaseienne vestito in abiti blu notte.
Si diressero verso le scale e, sul punto di salire il primo gradino, Matthew si voltò in direzione di Cindy e le lanciò un cenno di saluto con il suo solito sorriso. La segretaria rispose a sua volta con un sorriso altrettanto smagliante e con un lieve movimento della mano.
La scalinata era abbastanza ripida e giunta all’altezza del primo piano si divideva in due rami, uno a destra ed uno a sinistra, che portavano entrambi al piano superiore dove poi si ricongiungevano, e così via fino in cima. Matthew sapeva che l’ufficio 074 si trovava al settimo piano dell’edificio, l’aveva letto almeno cinquanta volte sul fascicolo che gli era stato consegnato dalla Commissione dell’ASSFP che l’aveva scelto per quell’incarico. Seguì il direttore senza aprir bocca, per non rompere la barriera di silenzio che quell’ometto aveva creato tra loro due al fine di evitare di prendere troppo contatto con quell’uomo che si stava per addentrare nell’antro degli orrori, così come soleva chiamarlo lui quando ne parlava con la moglie. Ad un tratto, però, fu proprio il direttore a dare inizio ad una conversazione, incoerentemente con il comportamento e il carattere che Matthew gli aveva attribuito.
«Mi dica, lei per caso è sposato?» chiese l’ometto senza voltarsi a guardarlo in faccia. La domanda gli giunse inaspettata e lo colse in contropiede.
«Perché me lo chiede, scusi?» interrogò incerto Matthew.
«Ah, niente di che, scusi la mia impertinenza, solo che ho notato la fede all’anulare sinistro e mi sono incuriosito…» mentì rapidamente Dember. Matthew portava la fede infatti, quasi senza mai ricordare di averla, tuttavia ogni volta che la vedeva lo faceva soffrire e ciò contribuiva a dargli sempre quella carica in più che lo teneva costantemente un passo avanti agli altri all’interno dell’organizzazione dell’ASSFP.
«Sì, sono sposato. O per meglio dire lo ero. Mia moglie è morta da quattro anni» spiegò con tono di voce sommesso. Louis Dember si fermò e si voltò a guardarlo. Non sembrava imbarazzato né preoccupato per aver sollevato il polveroso ricordo, solo dispiaciuto.
«E lei quindi non ha una famiglia dalla quale tornare, dico bene?» proseguì Dember.
«No, infatti…» confermò Matthew. L’ultima domanda del direttore poteva suonare crudele e provocatoria, ma in realtà il tono con il quale era stata pronunciata era di sincera preoccupazione e rammarico per dover interrogare l’uomo su di una cosa simile, e Matthew non si sentì per nulla infastidito. Aveva già capito dove l’interlocutore voleva andare a parare.
«Bene, meglio così se vuole entrare nello 074...» concluse infatti il direttore.
Giunsero davanti alla porta dell’ufficio 074 in pochi minuti. Si trattava di un ingresso come tutti gli altri visti in precedenza lungo i corridoi di quell’edificio, un blocco di legno scuro lucidato alla perfezione, completamente liscio, recante un pomello d’ottone lustro e una targhetta luccicante con inciso il numero di tre cifre tanto spaventoso per i lavoratori di quel palazzo degli affari: 074. Matthew valutò che con ogni probabilità la targa con il numero fosse in plastica colorata d’oro con uno spruzzatore di vernice. Appena al di sotto del pomolo d’ottone, una minuscola serratura buia. Louis Dember estrasse dalla tasca dei pantaloni beige una chiavetta di metallo con su scritto 074 e la esibì davanti agli occhi di Matthew.
«Questa è l’unica copia esistente della chiave dello 074. Tengo l’ufficio completamente sigillato da otto anni e mezzo, ma c’era un’altra chiave all’epoca in cui Jessica Rowlands, la precedente segretaria, ci è entrata e si è suicidata. Dopo l’incidente ho provveduto a farla sparire in una cassetta di sicurezza della mia banca, in caso di emergenza, poi mi sono deciso a farla fondere in un piccolo cartoccio di metallo informe. E questa la porto sempre con me, perché è severamente vietato a tutti i dipendenti dell’edificio mettere piede qui dentro» illustrò Dember scandendo rapidamente le parole con ritmo cadenzato, quasi fosse un mitragliatore che, invece di sparare pallottole letali, scaricava frasi in una rapida raffica. Matthew annuì con il capo e lo invitò ad andare avanti.
«Tutti quelli che sono entrati in questo ufficio ne sono usciti morti. Abbiamo scoperto che se si lascia la porta aperta, si entra e si esce rapidamente, non accade nulla, ma se ci si ferma all’interno la porta si chiude automaticamente anche se c’è qualcuno che la tiene ferma. Una volta rimasti chiusi dentro, non c’è modo di uscire vivi, o almeno così è stato fino ad ora.»
Matthew sapeva già tutto quello che il direttore gli stava dicendo, ma preferì lasciarlo parlare. L’ometto aveva assunto un’aria di importanza e Matthew non voleva certo sgonfiarlo. Era chiaro come l’autostima di Louis Dember fosse alquanto insufficiente. Inoltre, sentire quelle informazioni uscire direttamente dalla bocca del direttore dello stabile non poteva che giovare alle sue riflessioni. Bussò tre colpi sulla porta di legno e sorrise. Non era blindata, né sarebbe sicuramente resistita ad un calcio bene assestato. Pareva facile da aprire per chi volesse sfondarla.
«Lei è qui per fare che cosa, esattamente? Cercherà di fermare il meccanismo in atto in questo ufficio per il quale chiunque rimane intrappolato all’interno si suicida?» domandò ad un tratto Dember.
Matthew rimase un istante a pensare alla risposta migliore, quindi disse: «A dire il vero no, sono qui solo per un’analisi. Devo constatare le condizioni e la situazione dell’ufficio, e vedere se ci possa essere qualche modo per sistemare le cose. In caso non si trovino soluzioni, temo che l’intero edificio sarà preso sotto custodia dall’ASSFP per degli accertamenti riguardo l’ufficio 074. L’organizzazione non può permettere che altre persone non autorizzate entrino in contatto con questo ufficio» spiegò Matthew, e vide che il viso di Dember si rabbuiò e si tese ansioso, perciò si affrettò ad aggiungere: «Ovviamente se lo stabile verrà sequestrato dall’agenzia vi verrà fornito a nostre spese un nuovo edificio dove trasferire l’attività.» L’espressione di Dember parve distendersi un pochino, ma non ancora del tutto.
«È sicuro che vuole rischiare la vita entrando lì dentro? So che è qualificato, ma mi creda, non avrà più possibilità degli altri quando sarà chiuso in quell’ufficio da solo. E se non dovesse farcela? Se dovesse…morire?»
Quella possibilità attraversò la mente di Matthew Sunstrike come un cattivo presagio, un funesto temporale passeggero che svanì alla svelta in un ultimo abbacinante bagliore di lampi e rintronante fragore di tuoni lontani.
«Se io dovessi morire, allora vorrà dire che l’agenzia avrà la certezza di dover mettere in sicurezza l’intero perimetro per impedire che qualcun altro in futuro possa introdurvisi» concluse Matthew assumendo un’espressione seria e grave, adatta alla circostanza nella quale stavano conversando.
«Capisco» ammise Louis Dember. «Sa, dopo l’ultimo incidente avvenuto con Jessica Rowlands avevo promesso a me stesso che non avrei mai più permesso che qualcun altro entrasse nello 074. A quanto pare, ora dovrò venire meno alla parola data. E quindi sarò l’imputato principale al quale dover fare un processo svolgendo contemporaneamente il ruolo di accusa, difesa e giudice. Lei sta sconvolgendo gli equilibri di questo delicato palazzo degli affari, ma mi rendo conto della pericolosità dell’ufficio 074 e del fatto che lei sta solamente svolgendo il suo lavoro per aiutarci. Quindi sono dalla sua parte. Ma voglio rivolgerle un’ultima domanda, e la prego di rispondere sinceramente. È assolutamente certo di voler entrare lì dentro?»
«Sì» rispose Matthew con un tale colore nel timbro della voce da escludere in maniera definitiva qualunque altra risposta possibile.
«Molto bene» acconsentì Louis Dember a malincuore, e introdusse la piccola chiave nell’apposita fessura. Dopo quattro giri in senso orario, la serratura scattò e si aprì uno spiraglio di luce naturale. Il direttore spinse con circospezione la porta, la quale cigolò gemendo e crepitando quasi stesse urlando dal dolore, il grido raccapricciante e sofferente di tutte le vittime che erano state prodotte in quel misero ufficio così simile a tutti gli altri, apparentemente così normale.
«Buona fortuna» bisbigliò Louis Dember dopo che Matthew ebbe mosso alcuni passi al di là dell’ingresso verso il centro della stanza, quindi richiuse la porta, impedendosi di sigillarla con quattro giri di chiave nonostante le voci imperiose dell’istinto e della paura che lo intimavano a farlo.
Matthew Sunstrike si ritrovò chiuso da solo nell’ufficio 074.

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