venerdì 19 agosto 2011

La società dell'horror vacui

Dopo l’uniforme grigiore della notte, i raggi del sole cominciano a spandersi e a ridare lentamente colore a tutto il mondo finora rimasto buio. La luce riempie la notte, che se ne va. L’azzurro riempie il cielo, il verde ricopre i prati e ridipinge le fronde degli alberi, tutto sembra riprendere a poco a poco vita in seguito ad un letargo durato soltanto qualche ora. Ogni gesto, ogni più impercettibile movimento dell’alba, tende ad un unico scopo, un fine ultimo verso il quale ogni cosa pare orientarsi: riempire il vuoto lasciato dalla notte, e riempirlo alla svelta, prima che le città finiscano di risvegliarsi.
La nostra società, perciò, almeno da questo punto di vista, può dirsi progettata ad imitazione della natura. Anche noi, infatti, in ogni singolo istante della nostra vita siamo sempre tesi verso l’onnipresente atto di riempire: la mattina dobbiamo riempirci lo stomaco per “fare rifornimento di energie”, a scuola dobbiamo riempirci la testa di nozioni, al lavoro dobbiamo darci da fare per riuscire a riempirci di soldi, soldi che ci possono essere utili a riempire ancora di più lo stomaco e a riempire anche quel tempo libero che soltanto i vizi e i capricci fanno in modo non sembri eterno. Per non parlare, ovviamente, del nostro istintivo bisogno di riempirci di informazioni, testimoniato da telegiornali, quotidiani, radiocronache e quant’altro, costantemente a portata di mano in qualunque parte del mondo ci si trovi. Non è così che viviamo? In fondo, pare quasi che la nostra esistenza sia un continuo riempire, fino a quando non si raggiunge il capolinea, il vuoto ultimo e incolmabile per eccellenza: la morte.
Al di là di questa piccola sottolineatura che potrebbe apparire pessimistica, ma che a conti fatti si limita ad essere realistica, è chiaro come noi tutti viviamo in una società dell’horror vacui all’interno della quale siamo abituati, fin dalla nascita, a provare una paura incontenibile, un terrore ineffabile nei confronti del vuoto. La musica, per prendere il più comune degli aspetti della nostra vita, funge da esempio perfetto a quanto appena detto: ovunque volgiamo il nostro orecchio possiamo udire della musica, oggigiorno. Essa ci circonda, ci assedia, ci penetra, smantellando le difese della nostra mente e manovrandoci come fantocci inanimati, obbligandoci a danzare per seguirne il ritmo anche quando l’unica cosa che desideriamo è starcene fermi.
C’è chi si chiede: perché i giovani d’oggi hanno questo rapporto di dipendenza dalla musica? Come mai non possono fare a meno di chiudersi in se stessi, non appena se ne presenta l’occasione, infilandosi le cuffiette e accendendo gli iPod a tutto volume, isolandosi dal mondo circostante? La risposta è qui, sotto il nostro naso. Si tratta di quell’horror vacui che anche gli adulti combattono giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto. L’unica sottile differenza è che gli adulti, con il tempo, hanno trovato altri metodi per riempire il vuoto, mentre ai giovani è stato offerto questo ottimo mezzo capace di impedire alle voci dei loro pensieri di affiorare e prendere il sopravvento. La paura di stare soli con se stessi, la paura del vuoto nel quale riecheggia il flusso interminabile dei pensieri, è a dir poco sconcertante. Se non ci sono gli amici a sovrastare i mormorii della coscienza, se non c’è l’alcol ad inibirli, allora resta soltanto la musica, che li copre e li riempie a dovere, rendendoli spaventosi quanto un bambino con addosso un lenzuolo bianco.
Stiamo parlando della stessa logica che porta la nostra società ad ostracizzare la morte in ogni sua forma, pur tramutandola in spettacolo quando non si trova così vicina da far venire i brividi: l’horror vacui, che non è terrore soltanto per il vuoto, ma anche per la morte, in quanto essa rappresenta il limite terminale del vuoto, ci suggerisce di allontanare qualsiasi contatto con la morte, di esorcizzarlo, ponendo i malati in quarantena all’interno degli ospedali, dove non li dobbiamo veder soffrire o morire se non lo vogliamo, lasciando i vecchi soli e isolati, magari all’interno di un ospizio, così da non dover fare i conti ogni giorno con le loro immagini che tanto facilmente richiamano quella decadenza del corpo che inevitabilmente precede la fine alla quale tutti, prima o poi, siamo ineluttabilmente soggetti. Dove si trovano i morti, poi? Nei cimiteri, luoghi chiusi e circoscritti, dove possiamo andarli “a trovare”, se lo vogliamo, o dove possiamo anche dimenticarci più facilmente di loro e continuare a vivere, scordandoci persino del fatto che toccherà a noi, un giorno o l’altro, precipitare nel vuoto più assoluto senza un appiglio al quale aggrapparci.
Viviamo in questo modo, nella nostra instabile società dell’horror vacui, e così facendo non ci rendiamo conto di creare un vuoto ancora più incolmabile: quello in espansione nelle nostre coscienze, che ci supplicano invano di essere ascoltate.

2 commenti:

siti