giovedì 18 agosto 2011

Come le Luci del Crepuscolo

Quello, per Daniele, sarebbe stato davvero un bel giorno. Era già tutto predisposto, ogni cosa era stata calcolata nei minimi dettagli e oramai nulla, a questo punto, poteva più mettergli i bastoni fra le ruote.
Richiuse alle proprie spalle la porta di casa, assaggiando la gradevole frescura di un’alba dai colori tenui e sfumati, scrutando l’orizzonte che, con quelle nuvole che galleggiavano placidamente nel vuoto, aveva assunto le sembianze di una tavolozza dai toni tiepidi ma ancora velati.
Sorrise alla volta dell’idilliaco panorama, lanciando un ultimo sguardo fuggevole al profilo adombrato della propria abitazione prima di svoltare oltre l’angolo della strada ed immettersi lungo il viale alberato di un parco indorato dai timidi raggi di un sole nascente.
Mentre il calpestio soffuso dei suoi passi riecheggiava nel vuoto del giardino verdeggiante, rimbalzando contro i tronchi e le sagome delle panchine sdraiate a lato, pensò alla bellezza di Angelica. Sarebbe stato veramente un bel giorno, valutò di nuovo, perché quella mattina le avrebbe chiesto di uscire con lui. Finalmente era riuscito a raccogliere il coraggio necessario a compiere questo temibile atto di audacia, quest’impresa che rigirava nella sua mente da troppo tempo per essere ancora costretta a rimanere reclusa tra le fredde sbarre del puro desiderio.
Angelica era una creatura fantastica. Lavoravano assieme da un paio d’anni, ormai, e Daniele era certo che ci fosse qualcosa di più in serbo per il loro futuro. Era scattato un meccanismo che, lasciandogli intravedere il baluginante barbaglio di una scintilla, lo aveva fatto sperare che tra loro due potesse scaturire qualcosa che andasse al di là di una semplice e banale amicizia tra colleghi. Forse tra loro avrebbe potuto addirittura nascere l’amore.
Sorrise beatamente a quest’idea, ragionando che, tutto sommato, sperare che le cose potessero andare così era più che lecito. Aveva buone possibilità di farcela.
Si era innamorato perdutamente di Angelica dal primo giorno in cui l’aveva vista, e da allora per lui non c’era più stata nessun’altra. Angelica era splendida, l’immagine della perfezione fatta a persona. Certe volte si scopriva imbambolato a fissarla, perso nei suoi occhi, e allora si affrettava a distogliere lo sguardo per non lasciarle intendere che gli piaceva. Non era sicuro che Angelica avesse già intravisto i suoi reali sentimenti. L’unica cosa di cui era certo era che quel giorno le avrebbe detto che l’amava. Dopodiché, avrebbe lasciato che il destino prendesse la piega che preferiva e proseguisse l’opera come meglio credeva.
Raggiunse gli uffici postali fischiettando, le mani affondate nelle tasche a ricercare nelle loro intime profondità un calore che le difendesse dal gelo penetrante e persistente di quell’ultima settimana d’inverno. Entrò tranquillamente, sorridendo all’indirizzo di un paio di colleghi che si stavano preparando alla sfiancante mattinata di turno e accomodandosi dietro la propria postazione.
Angelica varcò la soglia d’ingresso pochi istanti dopo, avvicinandosi con il suo incedere distinto e risoluto, e gli lanciò un fugace cenno del capo. Salutò anche gli altri colleghi, con lo stesso sorriso – ma Daniele era sicurissimo che il sorriso destinato a lui fosse stato più caldo e speciale, magico, un sorriso unico e meraviglioso che Angelica aveva creato appositamente per lui, soltanto per lui.
Decise di attendere la fine del turno di lavoro per parlarle. Le avrebbe chiesto di uscire a cena assieme quella sera stessa, visto che quel pomeriggio le poste erano chiuse. Una voce nella sua testa gli diceva che avrebbe accettato, e il suo volto contratto si distese in un ampio sorriso a questa felice considerazione.
La mattinata si srotolò languidamente nella sua ripetitiva quotidianità, fino a quando l’orologio appeso alla parete dell’ufficio segnalò l’ora della pausa pranzo.
Daniele si alzò di scatto, le mani che tremavano involontariamente, e si avvicinò pian piano alla figura slanciata di Angelica che nel frattempo stava uscendo dalla porta di servizio. Inghiottì a vuoto, cercando di recuperare più aria possibile dato che gli pareva quasi di non riuscire più a respirare. Allungò debolmente un braccio per picchiettarle sulla spalla e indurla a voltarsi. C’era quasi, ormai mancavano solo pochi centimetri…
Un uomo lo anticipò, lanciandosi su di lei e abbracciandola, facendola ridere. Daniele si immobilizzò, interdetto, quasi che un inatteso sortilegio lo avesse improvvisamente pietrificato. L’uomo appena sopraggiunto strinse a sé teneramente Angelica e la baciò sulle labbra, passandole una mano sulla guancia e tra i capelli – quei capelli morbidi e setosi che Daniele desiderava poter accarezzare da quando l’aveva conosciuta, senza aver mai avuto la forza di farsi avanti e dirle ciò che provava per lei.
Si ritirò lentamente, sfumando come le luci del crepuscolo, senza attirare l’attenzione. Riconosceva la sconfitta. Angelica non sarebbe mai stata sua. C’era già un altro e, anche se fino a quel momento non lo aveva mai saputo, la verità era questa, e per lui non c’era più spazio.
Il sogno di poter trovare l’amore con Angelica si sgretolò, precipitando e infrangendosi come un bicchiere di cristallo sul linoleum a scacchi di una vecchia cucina.
Ripercorse il vialetto del parco che portava verso casa sua, in silenzio questa volta, senza fischiettare. Malinconico, le mani che annegavano nelle tasche, camminò piano, riflettendo su tutte le false speranze e le dissennate illusioni che si era accuratamente costruito attorno negli ultimi tempi pensando ad Angelica. Avrebbe dovuto capire fin dal principio che uno come lui non poteva avere nessuna possibilità con una ragazza del genere. Adesso, avendo intessuto quella miriade di fantasticherie e di sogni su di lei, la delusione di quella sconfitta faceva ancora più male.
Tentò di calmarsi, respirando a fondo. Tutto sommato, non era poi la fine del mondo. Sussurrò a se stesso che non era tutto perduto. Che la sua vita non era Angelica. C’erano un’infinità di altre ragazze – anche se lui non aveva mai pensato alle altre, da quando l’aveva conosciuta. E poi, si consolò, aveva ancora il suo libro.
Quest’ultima considerazione riuscì infine ad acquietare il suo animo turbato. Sì, c’era il suo libro a casa ad aspettarlo, e questo poneva fine a tutti i problemi. Erano anni che ci lavorava, e finalmente era pronto. Aveva completato l’ultima stesura la settimana precedente e l’aveva subito inviata ad un editore di sua conoscenza, valutando tra sé e sé che un romanzo simile non avrebbe potuto non trovare una casa editrice disposta a pubblicarlo. Modestia a parte, si concesse di ammettere con se stesso, era una vera e propria opera d’arte.
Sorrise, imboccando il vialetto di casa e raggiungendo la soglia d’ingresso. La copia del manoscritto che aveva tenuto per sé giaceva accanto al telefono, dove prendevano posto anche un blocchetto per appunti e una penna in caso l’editore lo contattasse e gli desse un numero o un indirizzo a cui rivolgersi. Sarebbe andato tutto bene. Anche se con Angelica non aveva funzionato, stava ancora cavalcando la cresta dell’onda e non si sarebbe lasciato disarcionare troppo facilmente.
Non appena ebbe messo piede al di là della porta il telefono squillò sonoramente, riverberando il proprio trillo acuto per tutte le stanze dell’abitazione.
Daniele si proiettò in avanti, afferrò la cornetta e se l’avvicinò all’orecchio. Il cuore prese a battergli freneticamente, minacciando di uscire dal suo petto da un momento all’altro per l’intensità con la quale palpitava. Era l’editore, realizzò prima ancora di rispondere. E, infatti, aveva ragione.
«Daniele. Ho finito giusto ieri sera il romanzo…» esordì la voce dall’altra parte della linea, leggermente piatta e dal respiro regolare. Il cuore di Daniele saltò un battito. Avrebbero pubblicato il suo libro. Dopo la delusione con Angelica, questo sì che l’avrebbe risollevato!
«…sai, mi spiace dirtelo, ma non lo trovo adatto ad una pubblicazione…» proseguì l’editore, e questa volta il sorriso sulle labbra di Daniele si spense così rapidamente da dare l’impressione che non sarebbe riemerso mai più su quel volto segnato dalla sconfitta e dal dolore.
«Perché?» riuscì a biascicare con un filo di voce quasi impercettibile.
«Non è quello che cerchiamo, Daniele. La trama è debole, e i personaggi sono confusi. Avrebbe bisogno di una massiccia rielaborazione, e comunque non è materiale che vende molto, di questi tempi…» spiegò laconicamente l’editore. Daniele non voleva sentire oltre. Lo ringraziò per la sua disponibilità e, prima che potesse aggiungere altro, riattaccò, rimanendo solo nella fresca penombra del suo salotto ordinato.
Quella sera Daniele uscì verso le dieci, dopo essersi fatto una doccia veloce. La giornata non era stata bella come aveva sperato quella mattina. Ma, d’altro canto, lui era abituato a questo genere di cose. Aveva imparato che per certe persone la vita non riservava altro che sconfitte e amarezze. La dea bendata, probabilmente, non era così cieca come si riteneva che fosse: ci vedeva bene, anzi, e come tutti gli uomini e le divinità aveva le sue preferenze e le sue antipatie. Non ricordava di averle mai fatto uno sgarbo ma, dopotutto, visto e considerato come lo trattava, doveva averle combinato qualcosa di davvero grosso, ragionò.
Arrivò in fondo al marciapiede, a malapena illuminato da una fila di lampioni che gettavano una luce pallida e obliqua, e si infilò nel solito bar, quello che frequentava ogni sera più o meno da quando abitava da solo.
Anche per quella notte si sarebbe anestetizzato con un po’ di alcol, giusto quel goccio che gli serviva per aiutarsi a dormire. L’indomani sarebbe stato un nuovo giorno, ma per uno come lui, non adatto al mondo in cui viveva, – quasi adatto, si corresse, ma non del tutto – non aveva alcuna importanza.

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