sabato 12 novembre 2011

Caccia alla Felicità

La nostra odierna società, nonostante negli ultimi tempi si sia potuto assistere ad una notevole e progressiva evoluzione del benessere, almeno per quanto concerne lo sviluppo sociale ed economico, appare sempre carat-terizzata da una perenne insod-disfazione che la percorre in lungo e in largo alla stregua di un tormentoso sospiro, un sospiro che esprime fin troppo evidentemente la sua mancanza di felicità e la sua ineffabile incapacità di sentirsi piena e bastante. Si tratta di un acuto senso di inadeguatezza che inspiegabilmente, dietro una serie di falsi sorrisi, sembra appestare i volti dell’umanità intera, l’icona di un’espressione triste e malinconica ormai indissociabile dall’immagine di quel continuo progresso che ai suoi albori si presentava quale l’unico mezzo in grado di indirizzarci sulla via della felicità.
Ne consegue che l’uomo, malgrado le sue innumerevoli ma inefficaci ostentazioni di contentezza, non è ancora riuscito ad afferrare quella felicità che cerca affannosamente di raggiungere da quando è venuto al mondo, e che prima di oggi era convinto di poter conseguire migliorando il proprio stile di vita attraverso un drastico e repentino aumento delle utilità.
Risulta di facile intuizione il modo in cui la società moderna è passata rapidamente da una “società dell’essere” ad una “società dell’avere”, nella quale l’uomo “è ciò che ha” e “più ha, più conta”. Tuttavia, questa frenetica smania di possedere, questa spasmodica ossessione di collezionare oggetti non è più sufficiente all’uomo, perché l’ovvia conseguenza è che più si ha, più si desidera e così, per adoperare una metafora di Zygmunt Bauman, la felicità continua a presentarsi ai nostri occhi «come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso».
Ma dove si trova allora questa tanto agognata felicità che andiamo insistentemente cercando? E soprattutto: riusciremo mai a raggiungerla?
Quest’inesauribile ricerca necessita di uno slancio che si sleghi nettamente dai campi socio-economici nei quali fino ad ora si è rivelata infruttuosa, perciò riflettiamo: se all’improvviso, da un giorno all’altro, il mondo come noi lo conosciamo finisse, se la società globale, l’economia e i prodotti delle scienze e del lavoro umano di millenni crollassero irrimediabilmente su se stessi, lasciandoci soli e privati di ogni prospettiva o aspettativa relative al futuro, che cosa potrebbe renderci nuovamente felici? La risposta a questo punto interrogativo non è ardua da formulare, e sorge quasi spontanea in noi: chiaramente, l’unica cosa che potrebbe renderci felici istantaneamente, prima ancora di un ritorno alla normale vita di sempre, sarebbe stare accanto alle persone amate.
Ma questo sarebbe davvero sufficiente? Naturalmente no, perché il passo successivo per la felicità sarebbe trovare altre persone con le quali unirsi e fondare una sorta di prototipo di nuova società; in seguito si passerebbe alla ricerca di un luogo sicuro da poter chiamare casa, all’esigenza di produrre oggetti o costruzioni che semplifichino la vita, alla necessità di difendersi da altri gruppi di persone ostili o di sottrarre loro i beni accumulati per poter sopravvivere o anche solo vivere meglio. Con il tempo si creerebbe la stessa situazione di partenza, quella che viviamo noi oggi, e con il continuo cambiamento di aspettative la ricerca della felicità non si concluderebbe mai.
Forse è proprio questa la chiave dell’enigma: la felicità è labile e fuggevole, e non potremo mai stringerla tra le mani e trattenerla, perché essa finirà sempre per porsi un po’ più in là rispetto alla lunghezza del nostro braccio. Non si tratta di una semplice ricerca: quella dell’uomo è un’interminabile caccia alla felicità che si svolge nel tenue buio della sua inafferrabilità.

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