lunedì 27 febbraio 2012

Le Anime di Eglon - Episodio 25 - Il Treno

«Avete finito di caricare il vagone numero quattro?» volle sapere una voce sconosciuta, levandosi dal gruppo con il tono di chi comanda.
«Mancano un paio di casse e siamo a posto» rispose una seconda voce dal profilo più basso.
La segnalazione che era arrivata a John Perkins, poliziotto della contea dell’Arkansas, parlava di movimenti sospetti nella campagna appena fuori da Little Rock. Aveva subito chiamato Freddy, che come sempre si era infilato in casa dell’amante, o meglio sotto le sue lenzuola, sebbene fosse in servizio, e l’altro gli aveva risposto con voce trafelata e spazientita di andarsene a fare in culo. John aveva replicato che non c’era nessun problema, poteva anche coprirlo e cavarsela da solo, tanto doveva essere una cosa da niente, ma se lo fossero venuti a sapere i loro superori avrebbe riversato su di lui ogni responsabilità. Freddy, dall’altra parte della linea, aveva riattaccato e si era rimesso a lavorare sulla cameriera venticinquenne che si sbatteva da un paio d’anni all’insaputa della moglie.
Sbuffando irritato, John aveva preso la sua volante e aveva abbandonato il parcheggio dell’ipermercato per andare a dare un’occhiata alla zona in cui erano stati segnalati quei movimenti sospetti. Alla peggio, poteva trattarsi di qualche contadino zuccone che si era messo a dar fuoco alle sterpaglie senza prima avvisare i vicini. Non aveva bisogno di Freddy, per quel genere di cose.
Adesso, l’agente John Perkins si trovava immerso in una nube di fumo incredibilmente denso e impenetrabile. Nessun tipo di sterpaglia poteva generare un fumo del genere. Non c’era fuoco che avesse un odore come quello, e John cominciava a domandarsi se quella foschia non fosse stata prodotta artificialmente.
Afferrò la radio che teneva appesa alla cintura e la accese, sintonizzandola sulla frequenza della polizia di Little Rock. Una scarica statica gli suggerì che non avrebbe funzionato, ma provò ugualmente e bisbigliò: «Qui è l’agente John Perkins. Mi trovo sul luogo di una segnalazione, nella campagna a sud di Little Rock. Qui i movimenti sono ben più che sospetti. Credo che siano stati adoperati dei fumogeni, ma non ne sono del tutto certo.» Niente, la radio non dava segno di vita. Non riusciva a sintonizzarsi su alcuna frequenza, e questo non gli piaceva affatto.
«Mi raccomando, con quei generatori. Cercate di non sbatacchiarli troppo, ci servono funzionanti. Il vagone sette è pronto?»
«Sì, signore. Il vagone sette è stato chiuso, e anche il vagone otto.»
«Qui ai vagoni uno, due e tre non ci sono problemi.»
«Bene, ci manca solo il quattro. Datevi una mossa, abbiamo una tabella di marcia da rispettare.»
John si fece coraggio e avanzò di qualche altro passo in mezzo alla fitta cortina di fumo, stringendo gli occhi il più possibile per tentare di penetrare la nebbia cremosa che gli impediva di scorgere i proprietari di quelle voci.
D’un tratto, il suo piede urtò qualcosa. Portò subito gli occhi in direzione delle proprie scarpe e intravide una lunga striscia metallica che sembrava essere stata sovrapposta ad una serie di assicelle di legno. Sembrava… Ma sì, era un binario!
«Vagone quattro pronto, possiamo partire!» annunciò una voce stridula, emergendo dalla caligine.
«Ehi, un momento… E quello chi cazzo è?»
John tirò su la testa sorpreso ed ebbe appena il tempo di indovinare la sagoma della carrozza di un treno prima di focalizzarsi sulla figura dell’uomo che correva nella sua direzione.
Uno sparo e finì tutto quanto. L’agente John Perkins stramazzò sui binari con la testa fracassata da un colpo di doppietta e il suo corpo venne rimosso rapidamente per permettere al treno di partire.

LE ANIME DI EGLON
PRIMA STAGIONE
EPISODIO 25
IL TRENO

Lo stridore dei freni invase l’aria di Eglon come un improvviso sentore di terremoto. La gente per strada si volse a guardare verso la stazione, quelli in casa si affacciarono alle finestre spaventati. Ovunque, senza distinzione, vi fu un istante di fermento generale dovuto all’inaspettata novità appena registrata. Dopodiché, così come si era materializzata, la sorpresa scomparve dai volti degli abitanti di Eglon e si lasciò sostituire nuovamente dalla diffidenza.
Una squadriglia di ribelli accorse dagli angoli della via e prese posizione di fronte all’ingresso della stazione ferroviaria, chiudendo le porte e ponendosi davanti ad esse per impedire l’accesso.
Emily Cooper, inizialmente colta alla sprovvista, fu la più veloce dei presenti a riprendersi. Non appena ebbe realizzato che stava per succedere qualcosa di importante, si levò dalle strisce pedonali senza badare al guidatore sceso dalla propria vettura per urlarle dietro e conquistò in una manciata di secondi la staccionata di pietra che separava il marciapiede dalle due file di binari all’ingresso della stazione. Scavalcò la barriera senza farsi vedere e sgattaiolò in direzione dei binari, raggiungendo l’entrata della stazione dalla quale era appena passato il treno.
Non devo farmi vedere, se si accorgono che sono qui mi cacciano fuori.
Si nascose dietro la parete e appoggiò la schiena al muro, riprendendo fiato e cercando di calmarsi. Il suo ritmo cardiaco aveva subito un’impennata brusca e vertiginosa, e adesso aveva bisogno che si tranquillizzasse perché doveva riuscire a scoprire tutto ciò che riguardava quel treno.
Gettò un’occhiata fugace ai vagoni all’interno della stazione: erano dodici, dodici enormi carrozze sigillate con tanto di numero applicato sulla fiancata. Un nutrito manipolo di uomini mascherati si stava già assiepando attorno al convoglio con una serie di carrelli di varie dimensioni. Più avanti, notò Emily, c’erano dei furgoni blindati neri parcheggiati in fila con gli sportelli aperti.
Che cosa c’era in quei vagoni, e come aveva fatto quel treno ad arrivare fino alla stazione della città barricata di Eglon?
Emily tese l’orecchio e cercò di mantenersi nascosta, buttando dentro qualche rapido sguardo di tanto in tanto. Si respirava un certo fermento nell’aria, come se quel trasporto fosse stato atteso per mesi.
Una voce attutita da una maschera di silicone rimbombò d’un tratto in tutta la sala: «Fratello, sono felice di vedere che ce l’avete fatta! Vi aspettavamo ore fa… Avete avuto problemi?»
«Niente di che, niente di che. Un poliziotto ficcanaso è sbucato fuori dal nulla mentre finivamo di caricare il vagone quattro. Per fortuna, lo abbiamo freddato in tempo» rispose una seconda voce, più bassa e scomposta.
«Era solo?»
«Sì. Abbiamo dovuto controllare, prima di partire. Sai, per essere scrupolosi. Aveva seguito una segnalazione arrivata al comando di Little Rock intorno alle tre del mattino. Il suo collega era impegnato a sbattersi l’amante, così lui ha risposto da solo alla chiamata. Credo che l’altro passerà dei brutti guai, quando si accorgeranno di quello che è successo.»
«Non è un problema nostro. L’importante, per ora, è che il treno sia arrivato. Avete trovato la barricata aperta?»
«Sì, tutto come da copione. Il segnale partito dalla fattoria ha avvisato gli uomini del nostro arrivo. Hanno aperto la barricata e lasciato passare il treno, poi l’hanno risistemata in fretta e furia. Nessun intoppo.»
«Splendido. Benvenuti ad Eglon, cari amici» concluse allegramente la prima voce, e un applauso seguì l’ultima parola in un crescendo quanto mai inquietante.

«Per quale assurda ragione hai sparato a quei due tipi, eh?» saltò su Patrick Wieler, frantumando quel mezzo minuto di imbarazzante silenzio che aveva lasciato a tutti quanti il tempo di riflettere.
«Dovevamo passare di là. Meglio farli fuori ora, piuttosto che rischiare. Non so se lo avete notato, ma nove brutti stronzi con le pistole infilate nei pantaloni danno un po’ nell’occhio» considerò molto serenamente Frank, stringendosi nelle spalle.
«A questo punto, penso che sia il caso di sparire alla velocità della luce» valutò Brian Jones, sporgendosi di lato per esaminare i cadaveri riversi sul vialetto di terra battuta.
«Già, adesso sono d’accordo anch’io» approvò solennemente Jeff, girandosi dall’altra parte e facendo strada. «Oltretutto, dobbiamo portarvi in un posto. Non possiamo fare aspettare troppo a lungo le persone che dovete incontrare.»
«Parli del vicesceriffo Corall?» chiese Phil.
«Non soltanto di lui. Quando saremo arrivati capirete, è inutile che stia a spiegarvelo adesso.»
Si fermarono accanto ai due ribelli uccisi e Frank si chinò per prendere le loro armi.
Jeremy Barton fece per togliere la maschera ad uno dei corpi distesi a terra, ma Jeff lo fermò posandogli una mano sulla spalla e gli fece segno di no con la testa. «È inutile che controlli. Sono americani. Niente arabi, niente asiatici. Cittadini statunitensi, proprio come noi» spiegò, molto semplicemente. «Lascia perdere le maschere e muoviamoci, prima di diventare carne da macello.»
Jeremy si rialzò e cercò gli sguardi di Brian Jones e del vicesceriffo Wieler. Questi risposero con un cenno d’assenso e il gruppo riprese a camminare verso l’estremità est del parco.

«Discuteremo la questione non appena saranno arrivati anche gli altri, Joey» intervenne il vicesceriffo Corall, frapponendosi tra lui e Daniel Green.
Goode sorrise amabilmente: «Sono d’accordo. Ci sarà molto di cui parlare.»
«Signor Goode! Signor Goode! Jeff Turner è qui!» sbraitò la voce di un uomo proveniente dal corridoio che Daniel Green e Steve Corall si erano lasciati alle spalle. Subito di seguito, come in un vulcano di novità, nove uomini fecero il loro ingresso con espressioni scure e tese. Due di loro, quelli in testa, impugnavano delle pistole, ma anche gli altri sembravano portare con sé delle armi nascoste.
«Cominciamo con le presentazioni» esordì Goode, abbracciando con un movimento delle mani l’intero locale che li ospitava. «Benvenuti nella tana di Goode, signori vicesceriffi, poliziotti e agenti dell’FBI. La tana che avreste sempre sognato di scovare.»
Il vicesceriffo Wieler, imitato da Jeremy e Phil, puntò immediatamente uno sguardo cupo e accusatorio in direzione di Steve Corall, che inevitabilmente abbassò gli occhi sulle punte delle proprie scarpe. Brian Jones e Gregory Donington ispezionarono rapidamente la sala con un’occhiata esperta, mentre Stan e Robert rimasero immobili dietro a Jeff e Frank ad aspettare che qualcuno prendesse finalmente la parola dopo la tremenda frase ad effetto di Joey Goode.
Jeremy Barton passò in rassegna i volti scavati dei colleghi intruppati dietro Steve Corall. Erano poliziotti con i quali aveva condiviso ore di lavoro e chiacchierate amichevoli, di quando in quando. Adesso parevano un esercito di zombie decimati da un’epidemia capace di annientare persino la morte. Non osava neppure chiedersi che cosa avessero visto e vissuto, in quelle ultime due settimane. Di certo, non dovevano essersela passata troppo bene.
«Tu. Proprio tu, Steve. Proprio tu che hai sempre odiato Goode e la sua banda… Come hai fatto ad allearti con quest’uomo?» emerse finalmente la voce tritata di Patrick Wieler, elevandosi a poco a poco d’intensità ad ogni parola.
«Qui non si tratta più di giocare a guardie e ladri, Patrick. Non siamo più poliziotti e criminali. Qui si tratta di sopravvivere, e sotto questa prospettiva siamo tutti cittadini di Eglon. Tutti vittime destinate al massacro» replicò Steve Corall. Il vicesceriffo Wieler colse una leggera stonatura nella voce del collega. Una stonatura di resa, in un certo senso. Come se il suo amico fosse sul punto di gettare la spugna e crollare in un angolo sotto le dure martellate del destino.
«Ma schierarti proprio con lui… Non me lo sarei mai aspettato, Steve. Non dopo quello che è successo quel giorno. Non dopo quello che lo sceriffo ha passato!»
«Zitto, Patrick! Non ti permetto di parlare in questo modo di Gordon e di quello che ha fatto! Tu non c’eri quel giorno, Patrick. C’eravamo soltanto io, Jason e lo sceriffo. Non sai quello che abbiamo passato, non sai quello che siamo stati costretti a fare per coprire la fuga di Goode. Ma adesso la situazione è diversa, e abbiamo bisogno di lui. Dei suoi informatori, dei suoi uomini, delle sue armi e della sua protezione. Senza Joey Goode, a quest’ora io e i miei uomini saremmo già morti. Se fosse stato per te, Patrick, non sapresti nemmeno dove saremmo stati seppelliti.»
Il vicesceriffo Wieler si ammutolì, con fare pensoso.
«Ad ogni modo, signori, penso sia meglio iniziare a parlare di affari. Abbiamo qui Daniel Green, figlio del sindaco, nostro nuovo compagno d’avventure» continuò Goode riprendendo la parola. «Possiamo usarlo come esca per far fuori il sindaco, assieme a quel sacco di letame di Victor Johnson.»
«Loro non c’entrano» lo contraddisse Brian Jones, scuotendo il capo. «Sono solo pedine. Pedine minori, insignificanti. Vuoi far saltare tutta la copertura per mangiarti un paio di pedoni? Oh no, nossignore. Dobbiamo puntare al re e alla regina, subito. Altrimenti rischiamo di mandare tutto quanto all’aria.»
«A puttane!» saltò su Frank, sghignazzando.
«Forse quest’uomo ha ragione, Joey» approvò Jeff, squadrando Brian con una certa ammirazione.
«Posso sapere chi sei?» s’informò Joey Goode, puntando lo sguardo su Brian per la prima volta da quando erano entrati.
«Brian Jones, agente sotto copertura dell’FBI. Sono stato mandato qui dal Bureau per indagare sulla pista di un possibile attentato terroristico. Direi che ormai non hanno più bisogno delle mie informazioni, per individuare i piani del nemico. L’attacco è sotto gli occhi di tutto il mondo.»
«Già, già. Allora, che cosa dicevi di fare, mister FBI? Come conti di mettere in scacco il re?»
«L’unica cosa da fare, ora come ora, è muoversi il più segretamente possibile. In altri termini, non dobbiamo farci beccare, di conseguenza è meglio evitare di uscire armati a sparare a destra e a manca nella speranza di far fuori un capobanda invisibile. Dobbiamo giocare d’astuzia e d’anticipo, solo così possiamo sperare di riportare a casa qualche vittoria. Da quello che ho capito, il mio collega, qui, Gregory Donington, ha una buona idea.»
Greg si ritrovò ad avere tutti gli sguardi puntati su di sé. Aspettavano che parlasse. Prese un bel respiro e partì: «La mia idea, come ha accennato Brian, si basa sulla teoria di una controffensiva coperta. Che cosa significa? Significa innanzitutto niente attacchi inutili, niente sprechi di uomini e munizioni per il raggiungimento di obbiettivi inutili e insignificanti. Dobbiamo risalire al cuore del problema e colpire con forza, concentrare su quell’unico punto tutte le nostre energie. E il problema maggiore, in questa particolare situazione, è quello delle comunicazioni.»
Joey Goode incrociò le braccia in silenzio, attento alle parole di Gregory. Tutti gli altri stavano assorti ad ascoltarlo, e un cenno d’intesa da parte di Brian Jones lo spinse a proseguire.
«Ristabilendo le comunicazioni potremmo metterci in contatto con l’esercito, con la sede dell’FBI di Little Rock, con il governo e con le alte sfere del comando. Potremmo trasmettere le coordinate delle basi dei ribelli, indicare i punti deboli delle loro difese, smascherare le loro strategie. Potremmo far capire alla gente di fuori che cosa sta accadendo dentro queste barricate, e aiutarci così ad uscirne senza troppe perdite. Io propongo di ripristinare le comunicazioni con l’esterno, di porre questo obbiettivo in cima alla lista delle priorità.»
Joey Goode attese qualche istante. Quando ebbe finito di passare in rassegna tutti i presenti, si mise a battere ironicamente le mani in un applauso canzonatorio. «Bravo, bravo. I miei complimenti. E come conta di riuscirci, signor Donington?»
«Basterebbe localizzare uno dei jammer e distruggerlo. In questo modo, avremmo una piccola area entro la quale comunicare con l’esterno» saltò fuori Stan Payton, che fino a quel momento era rimasto indietro e in silenzio ad ascoltare i discorsi degli altri.
«Come, prego?» domandò Goode, sorpreso.
Stan si schiarì la voce, avanzando di qualche passo. «Dicevo… Basterebbe eliminare uno dei jammer che hanno quasi sicuramente adoperato per oscurare le comunicazioni. Così facendo, in prossimità di quel jammer distrutto sarebbe possibile utilizzare il cellulare, la radio, la connessione internet…»
«Che cosa sono questi jammer?» volle sapere Goode, interessato.
«Dispositivi per il blocco del segnale. L’esercito dispone di versioni piuttosto potenti, ma il raggio non è sufficientemente ampio da coprire un’intera città» illustrò Brian Jones, altrettanto curioso di capire quale fosse la proposta di Stan.
«Certo, è vero. Ma, come mi ha fatto notare il mio amico Robert,» proseguì indicando il compagno della sua ex moglie che se ne stava in disparte, «attivando numerosi jammer dislocati nei punti chiave della città si potrebbe coprire l’intera superficie. Sarebbe come prendere una cartina di Eglon e tracciare una serie di cerchi, intersecandoli fino a ricoprire tutta la mappa. I centri di questi cerchi sarebbero i luoghi in cui sono stati posizionati i jammer.»
«È geniale!» commentò Gregory Donington, entusiasta. «Basterebbe scoprire dove si trova uno di quei jammer e potremmo contattare l’esercito!»
«Sì, e per dire cosa? Che siamo chiusi qui dentro? Che non abbiamo idea di chi siano questi uomini mascherati che hanno preso possesso della città? Avanti, signori. È una cazzata» protestò contrariato Joey Goode, battendo il pugno su un tavolo. «Dobbiamo puntare a togliere di mezzo il sindaco, abbiamo suo figlio che può fare da esca!»
«Non vi aiuterò ad uccidere mio padre!» lo contraddisse Daniel Green, con voce tremante. «A fermarlo sì, ma non ad ucciderlo.»
«Sono d’accordo con il ragazzo, Joey» lo appoggiò Steve Corall. «Thomas Green è sempre stato un buon uomo, tutto sommato. Non so che cosa gli sia preso, ma ammazzarlo non porterebbe a niente. Dobbiamo riuscire piuttosto a comprendere quali siano le sue intenzioni e a portarlo dalla nostra parte, negoziando. Un aiuto da parte sua sarebbe quantomeno prezioso.»
«Chiamatemi fuori» ribatté Patrick Wieler. «Non voglio saperne nulla dei vostri complotti. Io resto dell’idea che il modo migliore per uscirne sia individuare ed eliminare uno di quei jammer. Dunque sto dalla parte di Stan, e lo appoggerò assieme a tutta la mia squadra.» Cercò un cenno di conferma da parte di Jeremy, Phil e Brian, e questi annuirono.
«Anch’io aiuterò Stan, vicesceriffo Corall. Perciò non contatemi tra i vostri» sentenziò Gregory Donington.
«Perfetto» acconsentì Joey Goode, con aria di disprezzo. «Le nostre strade si dividono qui. Il gruppo è spaccato. Cercate pure i vostri dispositivi fantasma, se ci tenete. Noi agiremo in maniera più concreta e prenderemo il municipio. E alla fine vedremo chi riuscirà a salvare Eglon.»

«D’accordo, cominciamo a scaricare» disse finalmente la voce più forte e vigorosa, quella che doveva appartenere al capogruppo. «Dobbiamo smistare i generi alimentari dei vagoni uno, due e tre nei furgoni blindati e mandarli immediatamente al supermercato di Goldbert. Forza, innanzitutto occupiamoci di quelli.»
«E i generatori?» volle sapere la seconda voce, che sembrava provenire da un uomo senza maschera.
«I generatori sono sei, perciò ne dobbiamo destinare uno alla Eglon Tower, uno al municipio, uno al negozio di alimentari. Gli altri tre li metteremo da parte, nel caso in cui possano tornarci utili. I nostri alloggi sono già provvisti di generatori autonomi, dunque non ci saranno problemi.»
«Abbiamo anche i vagoni sette e otto pieni d’acqua. Taniche da dieci litri, come pattuito. Non ci conviene distribuirla dal negozio di Goldbert?»
«Una metà sì, ma l’altra metà la voglio in municipio. La gente passerà di lì a prenderla, e noi la faremo distribuire dagli uomini di Green e Johnson. Così potranno iniziare a parlare alla popolazione in maniera più capillare.»
«Restano due vagoni di carburante, uno di medicinali assortiti e un altro di munizioni. E poi c’è il vagone quattro» riepilogò l’uomo senza maschera, andando probabilmente a memoria.
«Sì, lo so. Medicine e munizioni vanno scaricate più tardi, mentre il carburante lo distribuiremo i prossimi giorni nei principali incroci di Main Street. Avete anche sigarette?»
«Solo tre casse. Sono nel vagone dodici, assieme alle munizioni.»
«Bene. Mi raccomando, tenete per ultimo il vagone quattro. Voglio che venga aperto soltanto dalla squadra autorizzata, e che nessun altro dei presenti ci vada a ficcare il naso. Smisteremo il contenuto con calma, per non farci beccare.»
Emily, addossata alla parete esterna della stazione, seguiva lo scambio di battute con estrema attenzione. Informazioni come quelle potevano valere davvero molto, e quasi sicuramente lei era l’unica civile ad essere riuscita ad ottenerle. C’erano solo ribelli, dentro alla stazione, e nessuno di loro immaginava che lei fosse in ascolto.
La prima cosa che le venne da pensare era che Joey sarebbe stato felicissimo di ricevere quelle notizie. Lo avrebbe conquistato, illustrandogli il contenuto di quei dodici vagoni altrimenti inspiegabili. Le mancava soltanto il vagone quattro, ma stava ancora aspettando che trapelasse qualcosa.
In parole povere, i rivoluzionari si erano fatti arrivare le scorte da fuori. Carburante, generatori di corrente, cibo e acqua, medicine. Tutto ciò che serviva per tenere in piedi la città e resistere all’assedio dell’esercito, insomma. Quello che adesso mancava alla popolazione e che loro, al contrario del governo che aveva deciso di tagliare l’accesso ad ogni risorsa, avrebbero distribuito gratuitamente. Non c’era modo migliore di comprarsi il favore del popolo, pensò Emily, che dargli da mangiare. In pochi giorni la gente avrebbe cominciato a guardare in modo diverso quelle maschere armate che giravano per le strade. Alcuni, forse, sarebbero arrivati addirittura ad appoggiare la loro causa, come già stavano facendo il sindaco Green e quel Victor Johnson.
Le cose sarebbero cambiate, nelle prossime ore. E i rivoluzionari avrebbero potuto trarre soltanto vantaggi da questi cambiamenti.
Ma adesso, più di tutto il resto, ad Emily interessava scoprire che cosa ci fosse nel vagone numero quattro. Voleva correre da Joey e raccontargli del treno e di quello che conteneva, certo, ma desiderava anche poter essere l’unica a sapergli dire che cosa ci fosse in quel determinato vagone. Vista la segretezza con la quale gli stessi ribelli lo trattavano, doveva contenere qualcosa di davvero molto, molto importante. Qualcosa per cui forse Joey Goode le sarebbe stato grato per sempre.

«Buone notizie, David!» annunciò Maschera Bianca e Rossa, irrompendo nel supermercato attraverso la porta lasciata aperta per far entrare luce. David e Gabriella, indaffarati a sistemare alcuni vecchi scatoloni vuoti accatastati su uno scaffale, alzarono la testa e lo fissarono curiosi. «Il treno è arrivato. Questo significa che il tuo negozio potrà riaprire già da domani mattina, se tutto andrà bene!»
David si lasciò cadere per terra lo scatolone che aveva appena sollevato. «Davvero?» chiese, incredulo. «Ma è una notizia meravigliosa!» Si voltò a cercare l’approvazione di Gabriella e lei gli rispose con il suo splendido sorriso luminoso, che parve rischiarare l’interno semibuio del negozio molto meglio di quanto avrebbero potuto fare mille lampadine assieme.
«Ci saranno molte faccende da sbrigare, oggi. Forse dovremo lavorare tutta la notte» considerò il ribelle assestando un’amichevole pacca sulla spalla al ragazzo, e lui annuì allegramente.
«Sono pronto.»
«Anch’io. Ce la faremo» confermò Gabriella, e di nuovo il suo sguardo si intrecciò con quello di David e i due rimasero per qualche secondo a guardarsi e a sorridersi in silenzio, parlandosi senza aprire bocca.

Era il tramonto, ormai, e il viavai all’interno della stazione ferroviaria di Eglon si era a poco a poco affievolito, fino quasi a consumarsi. Emily Cooper, ancora nascosta dietro la parete esterna dell’edificio da quella mattina, aveva le gambe doloranti e lo stomaco che brontolava. Non aveva mangiato né bevuto niente per tutto il giorno, ed era stata costretta a fare pipì dietro un cespuglio a pochi metri di distanza dai binari. Oltretutto iniziava anche ad avere freddo, e non vedeva l’ora di andarsi a sdraiare a letto e dimenticarsi quella brutta giornata.
I ribelli non avevano fatto altro che scaricare i vagoni dalla mattina alla sera e caricare i furgoncini blindati che andavano e venivano senza sosta. Parevano instancabili, e francamente Emily si domandava dove trovassero tutta quell’energia. In ogni caso, avevano ormai finito di svuotare tutti gli undici vagoni elencati, e all’appello mancava solamente il quarto, ancora chiuso.
La voce del capogruppo, inconfondibile in mezzo a quelle dei rivoluzionari che avevano lavorato nella stazione per tutto il giorno, si levò nuovamente mentre il sole stava per calare all’orizzonte, tingendo di rosso le nuvole basse. «D’accordo,» disse, «adesso che siamo rimasti solo noi possiamo aprire il vagone quattro e iniziare a scaricarlo.»
Emily buttò un’occhiata dentro alla stazione, illuminata da potenti riflettori alimentati da un generatore autonomo, e tutto ciò che vide scendere dal vagone quattro fu un’immensa pila di casse di legno stracolme di grosse batterie Duracell Plus di tipo D.

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