Dal
finestrino Roberto osservò il signor Nicola mentre scendeva attraverso la porta
scorrevole del primo vagone, aperta manualmente dal controllore. I suoi
movimenti erano impacciati. I movimenti di un vecchio ormai in pensione da una
vita e mezza, pensò. Ma c’era dell’altro. Pareva che esitasse. Era come se in
un certo senso avesse timore di ciò che avrebbe potuto trovare dentro quella
stazione silenziosa.
«Pensa
che ci metteranno molto a mandarci un treno sostitutivo? Perché io ho un
appuntamento importante a Firenze questa sera, e da qui non posso chiamare per
avvisare del ritardo…» disse un uomo verso il fondo del vagone, rivolgendosi al
controllore.
«Per
ora non posso dirle niente con sicurezza, mi dispiace» rispose quest’ultimo,
tornando a guardare fuori con aria assente.
«Be’,
spero almeno che fra poco ci permettiate di uscire. Comincia a fare caldo qua
dentro, e siamo piuttosto stretti» borbottò un altro, più vicino a Roberto e
Francesca.
«Magari
quando ci lasciano uscire possiamo vedere se qui attorno c’è una zona in cui i
telefonini prendono. Mi sembra così strano che non ci sia segnale da queste
parti!» esclamò un’altra voce, questa volta di una donna.
Il
controllore non aprì bocca. Fissava l’esterno, come sovrappensiero. Seguiva la
camminata incerta di Nicola, che si dirigeva cautamente verso la porta
spalancata della stazione. Lo guardava come se quel vecchio potesse essere la
loro unica speranza. Era davvero così tremenda la situazione? Roberto
continuava a domandarselo, ma non riusciva a intravedere nulla, in mezzo ai
propri pensieri, che potesse avere le vaghe sembianze di una risposta sensata.
Così
decise di tenere gli occhi incollati su Nicola pure lui, come il controllore, e
si riavvicinò al finestrino giusto in tempo per vedere il vecchietto venire
inghiottito dalla porta sulla facciata di pietra della stazione ferroviaria.
Le
poche finestre sparpagliate a lato della porta erano chiuse, perciò non si
riusciva a scorgere niente. Il cielo continuava a promettere pioggia, e la
pioggia continuava a non arrivare. Ad ogni modo, ne aveva già vista in
abbondanza nel corso della mattinata. Anche a Vicenza pioveva, per esempio,
quando erano partiti per andare a Padova…
«Che
cosa ci facciamo qui?»
Si
voltò lentamente. Era Francesca ad averglielo chiesto, e la domanda gli si
conficcò in gola come uno spillo bene appuntito. Già: che cosa ci facevano loro
due lì?
Stiamo andando a Firenze. Andiamo a risolvere una questione, perché ci
serviva del tempo insieme per discutere di alcune cose. Una pausa da tutto il resto, una breve fuga,
per rimettere a posto i pensieri e fare spazio alle decisioni.
Avrebbe
voluto dirlo, ma non ci riuscì. Fu capace soltanto di mormorare: «Tranquilla.
Arriveremo presto.»
Francesca
fece segno di sì con la testa e si girò dall’altra parte, ad ascoltare una
donna che raccontava di quella volta in cui era rimasta ferma per dodici ore
intere perché qualcuno aveva segnalato che nel treno poteva esserci una bomba
pronta ad esplodere. «Non ci lasciavano scendere, perché temevano che evacuando
il treno avrebbero spinto il terrorista ad agire. Invece era stata tutta una
bufala. E Trenitalia non ci ha
neppure risarcito i biglietti!»
Il
signor Nicola ricomparve sulla soglia della stazione, scuotendo fra sé il capo.
Aveva un’aria talmente sconsolata che non ci sarebbe stato bisogno di parole
per capire l’esito della sua chiamata.
«Sta
tornando» annunciò il controllore, sulle spine. Il vecchio avanzava adagio,
come se non ci vedesse tanto bene e avesse paura di inciampare in qualche
cadavere riverso sul pavimento. Saltò sul vagone, mentre tutti i presenti lo
osservavano col fiato sospeso, e riprese a scuotere la testa con rassegnazione,
come uno che non si capacita della morte improvvisa di un caro amico. Sua
moglie gli strinse la mano e lui parve quasi non accorgersene.
«Allora?»
lo esortò a parlare il controllore. Era più pallido di prima. Roberto annotò
mentalmente questo dettaglio e decise che lo avrebbe ripreso in considerazione
più tardi. Il controllore nascondeva qualcosa. Era palese. Sì, ma cosa?
Nicola
si inumidì le labbra e si appoggiò le mani ai fianchi. «Niente.»
«Come
sarebbe a dire, niente? Non c’erano
cabine telefoniche?»
«Oh
no, c’erano, c’erano. Una fila lungo tutta la parete. Saranno state… sei. O
otto. Mezza dozzina sicura» spiegò, sforzandosi di ricordare il numero delle
cabine come se da quel particolare potesse dipendere la vita di tutti loro.
«E
la telefonata, dunque? Hai chiamato, vero?» volle sapere il controllore,
mostrandosi sempre più impaziente.
«Sicuro»
confermò Nicola, ancora sul vago. «Sicuro, che ho chiamato. Ho composto il
numero di Padova e ha squillato a vuoto. Allora ho composto quello delle
emergenze, quello scritto sulla targhetta appesa in cima ad ogni cabina.
Cinquanta centesimi, per fortuna che ce li avevo in fondo alla tasca dei
pantaloni.
«Ha
squillato a vuoto anche là. Ho aspettato, ma non è venuto nessuno a
rispondere.»
La
gente lo ascoltava con muto interesse, alla stregua di una folla rapita da un
cantastorie d’altri tempi. C’era spavento nelle espressioni di alcuni.
Frustrazione in quelle d’altri. Rabbia in altre ancora.
«Così,
ecco… ho pensato che fosse quel telefono lì che non andava. Ho preso la
monetina che è uscita di nuovo dopo la chiamata a vuoto e ho provato altre due
cabine col numero d’emergenza. Ho lasciato fare solo tre squilli per ciascuna,
perché so che rispondono subito a quel tipo di chiamate. Non suonava occupato.
Suonava libero. Ma non mi ha risposto nessuno.»
Quando si potrà leggere la prosecuzione del racconto?
RispondiEliminaTrattandosi di un romanzo a puntate, verrà pubblicato regolarmente un capitolo ogni giovedì qui nel blog, intorno a mezzogiorno. I link ai vari capitoli della storia saranno tutti raccolti nella pagina http://scriveresottolaluna.blogspot.it/p/blog-page.html, dove rimarranno sempre disponibili per chiunque desideri leggerli o rileggerli.
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