venerdì 16 agosto 2013

Aspettiamo la Guerra

Potremmo semplicemente restarcene qui per sempre. In fondo, chi ci impedisce di farlo? Siamo venuti qui per rimanerci, e nessuno potrà cacciarci, né con la forza, né cercando di inculcarci la sua convinzione. Siamo qui, come radici di alberi mossi dal vento, le teste imbiancate dall’inverno della vita, un sospiro che si prolunga all’infinito e che nessuno è in grado di spegnere: sarà lui ad esaurirsi da solo, quando giungerà il momento.
Siamo soltanto un gruppo di vecchi. La gente che passa per la strada ci guarda con diffidenza, pensando, con ogni probabilità, che non si ridurrà mai come noi, capelli canuti, sguardo consumato, volto scarabocchiato di rughe che creano solchi profondi come le trincee di una guerra per la conquista di un avamposto. Una guerra nella quale noi abbiamo imbracciato i fucili, mentre le persone che ci osservano quasi con disgusto, scostandosi per cederci malvolentieri il passo, erano ancora attaccate ai seni delle loro madri a poppare latte tiepido e a frignare. Una guerra che abbiamo combattuto per loro con le nostre vite, versando il nostro sangue sulla terra come un fiume di monete d’oro sonanti da scambiare per l’esistenza di un ideale, più che di uno Stato.
Quante notti insonni è costata a ciascuno di noi, da quando siamo ritornati, l’immagine di quel sangue così vermiglio, così luccicante sotto i sorrisi sbilenchi e pallidi della luna, che veniva assorbito dalla terra come dalle labbra di un vampiro intento a succhiare con avidità? La terra si imbeveva di sangue al punto da non poterne più sopportare, eppure esso continuava a riversarsi dalle vene aperte dei nostri amici. I nostri fratelli.
Adesso noi siamo i vecchi. Additati quando passiamo lungo il marciapiede, scrutati da visi torvi e giovani che dentro di sé si rifiutano di portarci quel rispetto che ostentano per una sorta di imposizione non scritta. E magari, quando ci vedono salire zoppicando su un autobus e ci chiedono con un falso sorriso se vogliamo sederci, quando si alzano per cederci il posto riflettono su quanti soldi le nostre pensioni tolgano allo Stato, e su come sarebbe molto più semplice vivere se quel denaro non provenisse dalle loro tasse, le tasse di loro lavoratori. Quanta sporcizia c’è in quei sorrisi di circostanza quando ci propongono di sederci al loro posto? C’è sporcizia e nient’altro, ecco che c’è. Loro credono che noi non la vediamo, ma la vediamo eccome, e la sentiamo, come proiettili che sibilano passandoci a bruciapelo sulla guancia, lasciandoci cicatrici superficiali che scompariranno dalla pelle, ma mai e poi mai dal cuore.
Adesso siamo qui, proprio qui, e potremmo semplicemente decidere di non andarcene mai più. Questa è la nostra vita, e anche se vivere non è come combattere una guerra, si tratta pur sempre di far valere le proprie posizioni. Siamo soltanto un gruppo di vecchi, ma siamo pronti ad imbracciare le armi un’altra volta. Le artriti di colpo si spegneranno. I mal di schiena si affievoliranno. Ogni dolore svanirà, per lasciare spazio all’adrenalina che ricomincerà a scorrere. Ancora una volta. Forse per l’ultima volta.
Il sole è calato, e noi vecchi ce ne rimaniamo qui, attorno a un fuoco composto di mozziconi di sigaretta parzialmente inceneriti, un paio di Chesterfield dagli occhi ancora iridescenti, braci che fumano e sospirano, smorzandosi. Proprio come noi.
Noi vecchi siamo bravi a raccontare, perché dopo tutto quello che abbiamo visto e provato ci viene quasi naturale farlo, e con gli anni, dopo aver ripetuto a noi stessi tutto ciò che abbiamo vissuto, abbiamo l’esperienza sufficiente a narrare ogni fatto. Non c’è nessuno che abbia voglia di ascoltarci, è questo l’unico problema. Avremmo storie interessanti da raccontare. Storie di guerra, vicende che ci sono realmente accadute, non baggianate fantascientifiche o surreali come quelle che si leggono nei libri o si vedono per la televisione.
Adesso, però, la storia da raccontare è una sola. Siamo qui soltanto noi, noi vecchi, e vegliamo attorno ai tizzoni fumiganti delle nostre sigarette spente. Aspettiamo, in silenzio, passandoci uno sguardo o un sospiro, che il sole si decida a risorgere, e ad allungare le dita calde e rossastre dell’alba a carezzare e scuotere i nostri volti intorpiditi dal freddo. Da quando il mondo, per arginare la piaga della sovrappopolazione, ha imposto il limite d’età e ha cominciato a radunarci nei campi di sterminio, abbiamo imbracciato i fucili. Aspettiamo la guerra.

2 commenti:

  1. L'ultima frase proprio non me l'aspettavo!
    Una storia che in realtá ha molti di vero nel fondo, anche se preferirei che non fosse cosí.
    Era da tanto che non leggevo in italiano ma mi stai facendo tornare la voglia con i tuoi racconti =)

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    1. Ti ringrazio! Significa che sono riuscito, allora, almeno in parte nel mio intento: ne sono felice!

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