giovedì 15 agosto 2013

Solo andata, no ritorno - 7

Ci volle quasi un minuto intero di silenzio per metabolizzare ciò che Nicola aveva detto. Non erano notizie facili da digerire. Ma una spiegazione doveva esserci senz’altro. Magari si stavano preoccupando per niente, ragionò Roberto. Poteva anche darsi che dentro alla stazione ci fosse un cartello grande come una casa con su scritto CABINE TELEFONICHE NON FUNZIONANTI e che il vecchio signor Nicola non l’avesse visto. C’era anche da tenere in considerazione l’eventualità che avesse avuto la sfortuna di beccare proprio le uniche tre cabine guaste.
«D’accordo. Niente paura» intervenne il controllore, inghiottendo a vuoto. «Può succedere, non possiamo basarci soltanto sulle cabine. Chissà da quanto tempo non vengono utilizzate. In ogni stazione c’è una biglietteria. Questa non fa eccezione. Hai visto nessuno, là dentro?»
«Nessuno» mormorò Nicola, scuotendo il capo imbiancato di polvere della vecchiaia.
«Il nostro uomo potrebbe essersi andato a fare un caffè. Adesso scendo con il signor Nicola e andiamo assieme a dare un’occhiata. Nelle biglietterie ci sono sempre uno o due telefoni fissi che si utilizzano per contattare le sedi o le altre stazioni in caso di necessità. Useremo quelli, sono decisamente più affidabili delle cabine pubbliche.»
«Cercate di farvi mandare un treno in fretta, o perlomeno un autobus!» gridò qualcuno.
«Faremo il possibile, non vi preoccupate. Non siamo stati molto fortunati, a fermarci in un posto del genere. Voglio chiedere a qualcuno di voi di venire con me, per piacere. Con un cellulare. Mentre noi rintracciamo il telefono della biglietteria, ci serve qualcuno che cerchi una zona qua attorno in cui ci sia campo. Una lieve altura, o il tetto della stazione stessa.»
Roberto lanciò un’occhiata d’intesa a Francesca e alzò la mano. «Veniamo noi!» Voleva vederci chiaro, in quella faccenda, e forse l’unico modo per sapere che cosa nascondesse il controllore era uscire da quel vagone affollato e parlarci a quattr’occhi.
«I due ragazzi là in fondo. Avete un cellulare?»
«Sì. Con diversi operatori» rispose Roberto, anche se sapeva che non era del tutto vero.
Francesca sbuffò. Non era troppo felice di dover scendere. Fuori faceva sicuramente freddo, e lei aveva il giubbotto nello zaino. Lo avrebbe dovuto aprire per coprirsi. Roberto la guardò negli occhi e capì che avrebbe aspettato il momento giusto per fargliela pagare. Una volta arrivati a Firenze, probabilmente.
«Benissimo. Venite con noi» acconsentì il controllore, e la folla che riempiva il vagone si spostò per aprire loro uno stretto corridoio verso la porta d’uscita semichiusa.
Scesero all’esterno, sul cemento armato, e il gelo graffiò loro la pelle immediatamente.
Francesca cercò di scaldarsi strofinandosi le braccia con le mani, ma già il suo respiro si condensava in piccole nuvolette di vapore. Roberto le aprì lo zaino e le passò il giubbotto, che lei si affrettò a indossare senza dire una sola parola. Non era contenta che lui avesse preso per entrambi la decisione di uscire dal treno. Ma le avrebbe spiegato il motivo della scelta più tardi, quando fossero stati soli.
«Per adesso venite con noi nella stazione. Poi da lì vedremo cosa fare» stabilì il controllore, così lo seguirono in direzione della porta spalancata, attraversando la barriera di freddo che li separava dalla facciata della stazione e guardandosi intorno con circospezione.
«Mi sembra molto strano che non ci sia proprio nessuno. Non è un orario inconsueto» considerò Roberto ad alta voce mentre camminavano.
«Di solito c’è sempre gente che sale e scende ad ogni fermata, persino di notte» lo appoggiò Nicola, con un tono più pacato.
«Questa è una stazione fuori mano» tentò di spiegare il controllore, ma le sue parole sembravano inciampare sui propri stessi suoni. «Ho seguito questa tratta diverse volte, prima di oggi, e non ricordo ci sia mai stata molta affluenza in questa fermata in particolare.»
«Ma almeno qualcuno c’era, di solito, giusto?» insisté Roberto, speranzoso di ricavare qualche informazione in più.
«Sì. Di solito sì» cedette il controllore, con scarsa convinzione. «Ma non è questo il caso.»
«Lo vedo…» commentò Francesca, e varcarono assieme la soglia in penombra della stazione, abbandonando il cielo color piombo in favore di un soffitto bianco in parte scrostato dall’umidità.
«Questo posto fa venire i brividi» farfugliò Roberto raccogliendo una visione d’insieme. Le pareti erano intonacate di bianco, come il soffitto. L’intonaco era rovinato in più punti, probabilmente a causa di qualche infiltrazione d’acqua. C’erano tre file di seggiole, tutte rigorosamente imbullonate al pavimento. Tracce di fango sulle piastrelle grigie. Parevano recenti, alcune erano ancora bagnate. Aveva piovuto anche lì, quella mattina. Forse fino a poco prima del loro arrivo. Il che significava che qualcuno aveva lasciato quelle impronte di terriccio, giusto? Qualcuno che era passato di lì, nella stazione. Più di una persona, a giudicare dalla distribuzione del fango.
Una delle pareti presentava otto cabine telefoniche attaccate al muro, tutte con i ricevitori e i piccoli scompartimenti di plexiglas ad altezza d’uomo. Un’altra parete mostrava l’esterno attraverso un paio di finestre sporche. Al centro c’era una porta, posta esattamente di fronte a quella che portava ai binari. Anche questa era aperta, e dava su uno spiazzo asfaltato circondato da alberi. Il parcheggio, con ogni probabilità.
La quarta parete era quella della biglietteria. C’era un unico sportello, con la tipica facciata di vetro, sormontato da un tabellone digitale che avrebbe dovuto esibire gli orari. Il tabellone era spento, ma forse perché avevano avuto dei problemi con la corrente. In fondo, anche il grosso orologio sulla facciata della stazione si era bloccato. Doveva essere alimentato da un cavo elettrico, proprio come il tabellone digitale. Ma allora, se davvero mancava la corrente, per quale ragione i telefoni avrebbero dovuto squillare a vuoto?
«C’è nessuno?» domandò il controllore a gran voce.
Nessuna risposta. L’interrogativo del controllore rimbombò contro le pareti e il soffitto e ritornò da loro amplificato.
«Quando riuscirò a contattare la sede di Padova dovrò fare un bel rapporto, in merito a questa dannata stazione. L’addetto alla biglietteria si ritroverà in brache di tela nel giro di un paio di giorni al massimo, parola mia» brontolò il controllore avvicinandosi alla biglietteria.
Diede un’occhiata attraverso il vetro protettivo. «È vuota. Ma c’è un telefono» borbottò. «Nicola, vieni qui e prova a chiamare tutti i numeri che ti vengono in mente. Anche personali, se vedi che quelli per le emergenze non ti danno risposta. Magari hanno avuto qualche rogna con altri treni, e se ne stanno occupando…»
«Va bene» approvò il vecchietto, raggiungendolo e cercando la porta della biglietteria.
«Io vado coi ragazzi sul tetto. Vediamo se siamo capaci di prendere una tacca di segnale, là in cima» concluse il controllore, e fece cenno a Roberto e Francesca di seguirlo.

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