giovedì 31 ottobre 2013

Solo andata, no ritorno - 16

Nel silenzio del loro scompartimento, Roberto e Francesca si erano sistemati come meglio avevano potuto. I sedili non erano perfettamente allineati, sicché dormire sdraiati su tre di essi avrebbe fatto venire un mal di schiena intollerabile nell’arco di un paio d’ore. L’unica soluzione era addormentarsi seduti, con la testa appoggiata a qualcosa di morbido. Non era comodo, certo, ma almeno sarebbero riusciti a riposare un po’.
Roberto prese uno dei due sedili accanto al finestrino e Francesca, dopo un attimo di indecisione, andò a sedersi di fianco a lui e fece ricadere la testa sulla sua spalla. Lui la abbracciò.
«Andrà tutto bene, sai amore?» le disse, con il tono più dolce possibile. Era stanco e i suoi occhi non volevano saperne di stare aperti. Ma dovevano parlare. Doveva rassicurarla, accertarsi che stesse bene. Già quello di cui avrebbero dovuto discutere a Firenze era di per sé una sfida alquanto impegnativa, ma adesso che la situazione si era aggravata…
«Lo so» rispose lei, e non sembrava essere turbata. Gli strofinò la guancia sulla spalla con tenerezza, come per coccolarlo. Lui le posò un bacio sulla testa, premendo le labbra sui suoi capelli.
«Qualunque cosa sia accaduta, vedrai che ne usciremo. In un modo o nell’altro. Anche soltanto io e te, se sarà necessario: te lo prometto.»
Era buio, ma riusciva comunque a distinguere la sagoma scura della sua ragazza che si muoveva nelle tenebre. Adesso si stava sistemando addosso a lui, si metteva più comoda.
«Prima o poi dovremo parlare anche di quella cosa» gli fece notare lei. Ma la verità era che ancora non si sentiva del tutto pronto a tirare fuori l’argomento. Era stata una giornata dura, e non era certo di essere in grado di ragionare in maniera perfettamente lucida.
«Non l’ho scordata. Avremmo dovuto discuterne a Firenze, ma a quanto pare non ci riusciremo.»
«Non eravamo d’accordo, quando ne abbiamo parlato l’ultima volta a casa. Tu vuoi tenerlo, e lo capisco. Ma io… Ecco, vedi: per me è difficile accettare una cosa del genere. Ho paura di quello che potrebbe capitare. Vorrei dirti che è perché temo di essere ancora troppo giovane, che è perché non sono sicura di essere capace di occuparmi di qualcun altro al di fuori di me, ma mi sono resa conto che sarebbero solo menzogne utili a mascherare ciò che provo realmente.»
Roberto la ascoltava. Di colpo aveva deciso di essere sufficientemente lucido per affrontare la questione. Anche perché Francesca non si era mai esposta con lui fino a questo punto, e la cosa francamente lo sorprendeva. Adesso aveva voglia di parlarne. Di parlare con lei, anche per tutta la notte, e di capire che cosa provasse davvero. Non voleva sapere nient’altro più di questo. Nemmeno che cosa fosse successo a tutte le persone che non riuscivano più a trovare.
«Sai,» riprese Francesca, «la verità è che mi sto preoccupando soprattutto per me. Non tanto per la mia famiglia, perché loro in un certo senso capirebbero. E nemmeno per i giudizi degli altri, perché sai bene che di quelli non mi importa. Ma i miei sogni… il mio futuro… Non so se me la sento di sacrificare tutto questo, capisci? Non con la consapevolezza di bruciare parte delle possibilità che la vita mi ha messo davanti. Renderei impraticabili molte strade. Troppe, per i miei gusti. E i miei desideri dovrebbero essere messi da parte, chiusi in un cassetto e probabilmente dimenticati là per sempre, a collezionare polvere.»
Roberto capiva. Purtroppo, capiva perfettamente ciò che Francesca stava tentando di comunicargli. E doveva ammettere che anche i suoi, di sogni, avrebbero subito una brusca deviata nel caso in cui avessero deciso di scegliere la via più difficile e tenere quel bambino. L’idea di abortire si presentava come una soluzione così semplice… Giù una pillola, con un sorso d’acqua, e il problema era risolto. Cancellato. Ma era giusto pensare che fosse solo un problema?
«Allo stesso tempo, non so se voglio interrompere la gravidanza. Voglio dire, lo abbiamo scoperto da una settimana appena. È troppo presto per decidere a cuor leggero, eppure non ci resta molto tempo. La nostra vita è destinata a cambiare, sia nell’uno che nell’altro caso. Nessuno potrà ridarci indietro le infinite possibilità che cancelleremo dalla nostra strada, se decideremo di tenere questo bambino. Così come nessuno potrà ridarci indietro questo pezzetto della nostra anima e del nostro amore, se sceglieremo invece di estirparlo e buttarlo via. Che sia per il rimpianto o per il ricordo, soffriremo comunque. E la prova più difficile sarà riuscire a superare questa sofferenza insieme, senza lasciare che si metta fra noi e distrugga tutto quello che abbiamo costruito.»
«Niente potrà mai mettersi fra noi, amore» sussurrò Roberto, accarezzandole la guancia. Lei si muoveva fra le sue braccia, armeggiava con qualcosa. «Qualunque cosa decideremo di fare, non lascerò che ci consumi al punto tale da dividerci. La affronteremo e la supereremo insieme, per quanto alto possa essere il prezzo da pagare. Prenderemo la decisione giusta e non ce ne pentiremo, credimi piccola mia.»
Si muoveva ancora accanto a lui, come se cercasse di sfilarsi qualcosa. Forse cercava soltanto di scaldarsi, pensò Roberto. Ma dopo un paio di minuti di silenzio la sentì tirarsi un po’ su e afferrargli la mano. Gli prese il polso, gli toccò le dita e lo guidò nel buio. Lui non emise un fiato, lasciò che lei lo portasse dove voleva. Sentì la propria mano scendere verso il basso, e poi infilarsi sotto la maglia della ragazza. Sfiorò la sua pelle tiepida, salendo con calma. Lei lo condusse verso i propri seni e lo abbandonò lì. Ecco con che cosa stava armeggiando poco fa, ed ecco cosa si era tolta, pensò Roberto sorridendo nell’oscurità.
Accarezzò le curve sinuose dei seni nudi di Francesca, infilandole sotto la maglietta anche l’altra mano per poterli afferrare entrambi. Sentì le labbra della ragazza premere contro le sue, e una frazione di secondo più tardi le loro lingue si stavano abbracciando nel tepore delle loro bocche.
Francesca gli sbottonò i jeans e glieli tirò giù fino alle ginocchia, assieme ai boxer. Il contatto delle sue mani era intimo, delicato, come con lo zampillio di una sorgente d’acqua fresca.
Roberto tirò su la maglia di Francesca e infilò il viso tra i suoi seni caldi. Là si stava bene. Era il posto più bello e accogliente del mondo, e non sarebbe voluto uscire mai più.
Francesca intanto si era levata pantaloni e mutandine. Erano nello scompartimento di un treno in piena notte e chiunque sarebbe potuto entrare da un momento all’altro, ma non aveva alcuna importanza. Lui non se ne preoccupò, e lei neppure. Semplicemente gli salì sulle gambe e divaricò leggermente le cosce scoperte, di modo da aderire alle sue.
Roberto percepì di nuovo la mano di Francesca afferrarlo e guidarlo, ma stavolta non lo prendeva per il polso. Non ci fu resistenza: scivolò subito dentro di lei, senza difficoltà, e premette un po’ di più per entrare meglio. La schiena della ragazza si incurvò e le sue labbra emisero un lungo sospiro di piacere. Si sentiva così in pace, in quel momento, così completo…
Francesca iniziò a muoversi su di lui, leggera e sinuosa, rapida e silenziosa. Ansimava debolmente, trattenendo qualche gemito di cui trapelava soltanto un’ombra fugace. Roberto spalancò la bocca e appoggiò le labbra aperte su uno dei suoi seni, percorrendolo con la punta della lingua mentre tenendole le mani sui fianchi la aiutava a sollevarsi e riabbassarsi. Era una sensazione sempre perfetta, affondare nel suo corpo. Era come un dolce naufragio, un annegamento inconsapevole. Non esisteva nient’altro, e non desiderava riemergere. Voleva solo morire così.

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