giovedì 24 ottobre 2013

Solo andata, no ritorno - 15

«Terroristi!» esclamò un tizio poco in fondo, alzandosi impetuosamente in piedi. «Ci sono i terroristi! Ecco perché nessuno ci viene a prendere: l’Italia è stata invasa!»
Roberto si guardò rapidamente attorno. I visi che vedeva erano tutti sconvolti, spaventati. Francesca gli si stringeva contro e non parlava, teneva gli occhi fissi sul finestrino e osservava la pioggia che continuava nonostante tutto a scrosciare contro il vetro.
C’erano delle donne che piangevano. Un prete che si nascondeva la faccia nel palmo di una mano, mentre con le dita dell’altra snocciolava i grani di un grosso Rosario di legno.
C’erano una dozzina di bambini, più o meno. Dai due ai dieci anni, avrebbe detto, ma non sarebbe stato pronto a scommetterci un granché perché sapeva di non essere bravo a indovinare l’età delle persone.
Se quello che tutti loro avevano visto poco prima era davvero opera dei terroristi, allora significava che questi ultimi avevano fatto decisamente bene il proprio lavoro: c’era soltanto terrore negli occhi dei passeggeri del treno. Terrore puro, che non lasciava spazio a nient’altro. Lui stesso si sentiva preda del terrore, in quel preciso istante, ma cercava di tenerlo a bada perché sapeva che farsi sopraffare dalle emozioni non sarebbe stato d’aiuto a nessuno.
«Non saltiamo a conclusioni affrettate» ammonì il controllore, tentando invano di riportare la calma. Stava sudando freddo, perché anche lui era stato costretto a mettere da parte la paura per fare il proprio lavoro.
«Ma quali conclusioni affrettate, eh? I telefoni non funzionano, nessuno è venuto a cercarci. I terroristi hanno attaccato il Paese, e adesso stanno bombardando le città! L’avete visto tutti quel fuoco, non è vero? Avete visto tutti l’esplosione, e sapete di cosa sto parlando!» perseverò l’uomo che si era alzato in piedi, sbraitando a squarciagola come un predicatore dell’apocalisse.
«Potrebbe essere stata qualsiasi cosa» rettificò il controllore, molto pazientemente. «Nessuno di noi conosce bene questa zona. Potrebbero aver fatto saltare delle cariche in una cava di pietra. Magari è stato solo un incidente, una grossa perdita di gas o un distributore di benzina che ha preso fuoco. Non dispensiamo il panico inutilmente, finché non siamo sicuri di ciò che abbiamo visto.»
«Ma io so cosa ho visto. E lo sappiamo tutti noi. Lo sapete tutti voi! Non è normale quello che sta succedendo qui, non è normale e lo abbiamo capito. Dobbiamo nasconderci, rifugiarci da qualche parte. Dobbiamo scappare dai terroristi, prima che trovino questo treno bloccato e decidano di sganciarci sopra un bel missile!»
«Nessuno sgancerà un bel niente. Non siamo in pericolo!» ribadì il controllore con tanta fermezza da ripristinare il silenzio. L’uomo che si era alzato in piedi proponendo di fuggire riprese posto con la coda tra le gambe, mormorando chissà che cosa alla donna che gli stava seduta vicino. «Ripeto che non sappiamo quello che abbiamo visto. Il signor Nicola si è offerto di fare un salto al paese più vicino per vedere cosa stia succedendo. Ha preso con sé un’auto, che abbiamo trovato aperta nel parcheggio della stazione.»
I passeggeri assimilavano ed elaboravano le nuove informazioni con incredibile lentezza. Ma le stavano accettando senza riserve, intuì Roberto, e non era cosa da poco.
Incontrò lo sguardo ostile di Carlo, il poliziotto in vacanza. Se ne stava in disparte con la sua famiglia, a braccia conserte.
«Alle otto comincerò a distribuire un po’ di cibo a chi ne ha bisogno. So che avete tutti fame, ma dovete portare pazienza. Lasciamo la priorità ai bambini e alle donne. Mi aspetto di vedere una discreta quantità di gentiluomini, fra di voi. E con quel “mi aspetto”, intendo naturalmente dire che non avete scelta.»
Un fuggevole mormorio di approvazione. Avevano piegato il capo di fronte all’autorità del controllore. Ma se davvero si stava verificando quello che aveva detto Nicola prima di partire, per quanto tempo la legge di sempre sarebbe riuscita a tenere a bada gli spiriti più irrequieti?
«Passeremo la notte in questo treno? Su questi sedili?» pigolò una donna tra le prime file, con gli occhi lucidi. Stringeva a sé un bambino piccolo che le si era avvinghiato addosso come l’edera. «Possibile che nessuno venga a cercarci?»
Il controllore sospirò con insostenibile amarezza. Le rivolse un sorriso schietto, il tipico sorriso di un uomo che non ha intenzione di mentire, e le disse pacatamente: «Dobbiamo adattarci. Voglio essere del tutto onesto, con lei. E anche con tutti voi. Credo che là fuori sia successo qualcosa di brutto. Non so se siamo stati fortunati a trovarci qui, se è solo un caso o se è opera di qualche strana forza divina. So solo che stiamo bene, e che siamo insieme. Cerchiamo di non cambiare questa nostra condizione, almeno finché non avremo capito esattamente cosa fare.
«Consiglio ad ogni famiglia di trovarsi uno scompartimento nei vari vagoni. E chiedo cortesemente un po’ di volontari per un servizio di vigilanza notturno. Il mio proposito è quello di posizionare un paio di uomini di guardia ad ogni porta, lungo l’intero convoglio. Nessuno entra e nessuno esce, da quando cala il sole fino alle prime luci dell’alba. Consideratelo una specie di campeggio poco ortodosso. Domani mattina, dopo averci dormito sopra, sono sicuro che troveremo una soluzione.»
Le persone approvarono. Roberto passò in rassegna i loro sguardi fiduciosi, le loro espressioni stanche ma attente, i loro cenni d’assenso. Solo alcuni rimasero impassibili dopo che il controllore ebbe finito di parlare, ma probabilmente non ci sarebbe stato niente da temere nemmeno da parte loro.
Pian piano i passeggeri incominciarono a distribuirsi nei vagoni del treno, spartendosi gli scompartimenti e trascinandosi dietro zaini e valigie. Ci vollero un paio d’ore perché tutti si fossero sistemati, e il controllore fece il giro più e più volte tra i corridoi per verificare che ogni cosa fosse al proprio posto.
Ormai la luce grigia del giorno, filtrata dalle nuvole e attenuata dalla pioggia, si stava dissolvendo per lasciare spazio all’arrivo di una sera senza tramonto. Il signor Nicola non era tornato. Sua moglie stava in silenzio, parlava con un passeggero vestito da prete e ogni tanto pregava assieme a lui. Roberto provò una certa pena per lei, ma passò oltre con Francesca perché avevano bisogno del loro spazio per parlare. Anche se il giretto a Firenze pareva essere saltato, i problemi che avrebbero dovuto risolvere laggiù erano ancora presenti nei loro pensieri, minacciosi e incombenti.
Così tutti loro si prepararono a trascorrere la prima notte nel treno, al cospetto di una solida stazione semisconosciuta, fermi in mezzo a binari che conducevano chissà dove. Il freddo si impadronì delle tenebre e dei loro respiri, e l’oscurità calò inesorabile come il cappuccio sulla testa di un condannato a morte.

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