giovedì 3 ottobre 2013

Solo andata, no ritorno - 12

«Centododici passeggeri. Anche noi siamo inclusi nel conteggio» annunciò Francesca tirando il fiato. Era stato un lavoro lungo, ma li aveva aiutati a ingannare un po’ il tempo. Mentre facevano il censimento il signor Nicola era andato un paio di volte a controllare se qualcuno fosse tornato nella stazione o nel parcheggio, ed era sempre tornato indietro con un’espressione buia e sconsolata.
«Sei sicuro che il vecchio di cui parli non ci fosse in mezzo a tutti gli altri?» chiese il controllore a Roberto, visibilmente preoccupato.
«Ne sono assolutamente sicuro, sì» confermò il ragazzo, sedendosi sul bordo della piattaforma di discesa con le gambe che ciondolavano sopra i binari.
«È pomeriggio. Ormai il ritardo sarà stato notato in tutte le stazioni in cui ci saremmo dovuti fermare. Manderanno qualcuno, sicuramente» affermò fiducioso Carlo.
«Sempre se c’è ancora qualcuno da mandare…» bisbigliò Nicola, ma nessuno parve sentirlo.
«In ogni caso, dobbiamo cercare di tutelarci» continuò il controllore, recuperando il suo tono autorevole. «Non sappiamo con chi abbiamo a che fare. L’uomo che hanno visto Roberto e Marco potrebbe essere un pericoloso omicida. Se ritornasse qui, armato, come potremmo difenderci?»
«Me lo dicevo, io, che mi sarei dovuto portare dietro la pistola anche in vacanza. Perché diamine non do mai retta al mio istinto?» bofonchiò Carlo.
«L’importante è risolvere una questione alla volta. Teniamo tutti al sicuro nel treno, per ora. Assicuriamoci che tutti gli sportelli siano chiusi dall’interno e che nessuno possa aprirli. Non è da escludere l’eventualità che quell’uomo, se è pericoloso come sospettiamo, abbia un complice in mezzo agli altri passeggeri» illustrò Roberto con calma. Ci aveva pensato per tutto il tempo mentre eseguivano il censimento, sperando intanto che quel volto gioioso gli comparisse davanti all’improvviso. Era spaventato, ma non voleva darlo a vedere. Francesca aveva bisogno di lui, della sua solidità, per non lasciare che la paura avesse la meglio.
«Penso sia questione di poche ore al massimo. Manderanno qualcuno, ne sono convinto. È anche da tenere a mente la possibilità che tutto questo sia un banalissimo malinteso. Forse quel vecchio abitava qui, è semplicemente sceso e se n’è tornato a casa. Stiamo sparando nel buio, e prima o poi finiremo per far male a qualcuno» ribatté Carlo.
«Non avrebbe aspettato tanto a lungo prima di scendere. Se ne sarebbe andato appena il treno si è fermato» lo contraddisse Roberto, sebbene il dubbio si fosse insinuato fra i suoi pensieri. Possibile che stessero sollevando un grosso polverone per niente? Sì, era possibile. Ma Carlo non aveva visto quella macchina ferma nel parcheggio, con la portiera aperta e le chiavi inserite. Non aveva guardato Francesca mentre apriva il portafoglio dello sconosciuto proprietario dell’auto e ne estraeva la carta d’identità, i biglietti del treno e i trentacinque euro in banconote. Lui non aveva assistito a tutto questo, e non poteva sapere quali emozioni avessero provato tra le mura scrostate della stazione vuota e silenziosa.
«Resto del mio parere» sentenziò il poliziotto, e incrociò le braccia sul petto con fare testardo.
«Ognuno ha il suo, non lo mette in dubbio nessuno» intervenne il controllore con la sua voce tiepida che sapeva di fermezza. «Ma bisogna tenere in considerazione qualunque variabile. Senza eccezioni. Ci troviamo in una situazione decisamente inusuale, e quell’auto aperta nel parcheggio mi dà parecchio da riflettere.»
«Per ora non perdiamo la calma» raccomandò Roberto, cercando con lo sguardo l’appoggio del controllore e allo stesso tempo assicurandosi che anche Francesca lo ascoltasse attentamente. «Bisogna gestire la questione nel migliore dei modi, senza far preoccupare nessuno. Non diciamo niente ai passeggeri del macchinista, né tantomeno di quella portiera, del portafoglio o delle chiavi inserite. Limitiamoci semplicemente a far capire che nella stazione non c’è nessuno e che ci dev’essere un guasto alla linea telefonica. Siamo in una zona rurale e non c’è segnale. Ma i soccorsi arriveranno in fretta, perché ormai già sanno che siamo qui. Conviene perciò farsi aspettare in treno, pronti a riprendere il viaggio in tutta tranquillità. Se necessario aggiungiamo che il costo dei biglietti verrà rimborsato da Trenitalia
«Non sono autorizzato a fare promesse simili» lo avvisò il controllore.
«Non ha alcuna importanza. Sempre meglio che dover gestire un gruppo di persone inferocite e intenzionate a scendere per andare in cerca di un taxi nel nulla della campagna.»
«Io stesso, se devo essere sincero, mi sentirei più a mio agio se andassimo a cercare aiuto nei paesi vicini» replicò Carlo un po’ stizzito. «Avete detto che c’è un’auto parcheggiata qui fuori, giusto? E che avete le chiavi, dico bene?»
«Non sappiamo esattamente dove sia il proprietario. Né tantomeno se possa aver bisogno della sua auto di qui a cinque minuti, se è per questo» lo bloccò Francesca, risoluta.
«Se l’ha scordata in quelle condizioni direi che non gliene importa più di tanto, non credi?» la rimbeccò Carlo in malo modo.
«Vedi di darti una calmata. Siamo tutti agitati e non mi sembra il caso di prendersela a vicenda» lo riprese Roberto con un certo controllo. Il poliziotto si girò a fulminarlo con lo sguardo e il controllore lo smontò: «Grazie per il tuo aiuto, Carlo. Ma adesso ce la possiamo sbrigare da soli. Sta’ con la tua famiglia e cerca di tranquillizzare tua moglie e i tuoi figli. Di’ loro che risolveremo il più in fretta possibile.»
Carlo sfidò il controllore per qualche istante, in un duello d’occhi che parve dilatarsi in direzione dell’infinito. Alla fine cedette e annuì, piegato ma non spezzato. Riconosceva l’autorità di colui che stava facendo effettivamente le veci del pubblico ufficiale, ed evidentemente aveva calcolato in quattro e quattr’otto quanto gli convenisse mettersi contro di lui. Il risultato non era a suo favore.
Guardarono il poliziotto allontanarsi di fretta e salire sul primo vagone con fare irritato. Il controllore lanciò un mezzo sorriso pallido a Roberto e Francesca e poi mormorò: «Una testa calda, quel piedipiatti. Speriamo solo che non gli salti in testa l’idea di sbandierare ai quattro venti le poche cose che ci siamo detti.»
«Forse però su una cosa ha ragione» balzò fuori Nicola. Si girarono a fissarlo perplessi, e lui si tirò indietro di un passo come se temesse di venire azzannato. «Qualcuno dovrebbe provare a prendere quella macchina e fare un salto in città. Così, giusto per dare un’occhiata. Sapete, io ho un pensiero che mi ossessiona da quando sono entrato la prima volta da solo in quella stazione, e che non mi abbandona neanche per un attimo.»
Roberto sentì la mano di Francesca afferrare la sua e stringerla debolmente. La accolse volentieri mentre osservava il viso di Nicola farsi sempre più sottile, sempre più bianchiccio, quasi che la pelle si stesse a poco a poco ritirando per lasciare le ossa nude in bella mostra.
«Penso che se uno di noi prendesse la macchina e andasse in città non ci troverebbe nessuno. Ho come la sensazione che siano scomparsi tutti, di punto in bianco. Tutti tranne noi.»

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