giovedì 10 ottobre 2013

Solo andata, no ritorno - 13

«La biglietteria non sembra essere stata abbandonata in fretta e furia, come se un pazzo furioso fosse comparso dal nulla con una pistola in mano e l’addetto se la fosse data a gambe. Capite? È tutto in ordine, là dentro. E c’è un block notes sulla scrivania, accanto al telefono, con un numero scarabocchiato a metà e una penna sopra. Sembra quasi che qualcuno stesse scrivendo quel numero, e che la sua mano sia scomparsa nel nulla mentre ancora segnava le ultime cifre. C’è uno zero incompleto. Un mezzo ovale interrotto. E poi c’è quel discorso della cabina telefo…»
Il signor Nicola si interruppe e la parola gli morì in gola, come soffocata da un paio di corde vocali strette attorno alle ultime sillabe. Strabuzzò gli occhi e poi li serrò con decisione, passandosi una mano sulla fronte umida di sudore e scuotendo il capo. «Non ve l’ho detto, vero? Lo sapevo che non vi ho detto qualcosa, lo sapevo. Mi dimentico sempre le cose più importanti. Sarà l’Alzheimer… Perché è ereditario, non è vero? Ce l’aveva mio padre, e adesso comincio ad avercelo anch’io.»
«Sta’ tranquillo, Nicola» lo rassicurò il controllore, battendogli una pacca amichevole sulla spalla. «Non ti preoccupare. Parla pure, raccontaci quello che ti sei dimenticato di dire.»
Nicola parve farsi coraggio e prese un bel respiro, quello di un nuotatore fra una bracciata e l’altra.
«La cabina telefonica. Quando sono entrato da solo nella stazione, la prima volta. Solo che non ci ho dato peso, capite? Non mi sembrava una cosa importante. Credo fosse la terza… no, la quarta a partire dalla porta. Il ricevitore non era al suo posto. Penzolava nel vuoto, sul suo cavo metallizzato. Oscillava ancora, come se fosse caduto di mano un minuto prima a un tizio che ci stava parlando.»
Roberto sentì la mano di Francesca stringere la sua sempre di più, ancora di più, fino a fargli sbiancare completamente le dita. Non reagì, perché in realtà avvertiva a malapena un formicolio. Era del tutto affondato nell’immagine del ricevitore della cabina telefonica che penzolava verso il pavimento, cozzando di tanto in tanto debolmente contro la parete rovinata dall’umidità. Quella visione era troppo da sopportare, e fece una fatica tremenda a liberarsene. Sogguardò il controllore e vide che anche lui era preda delle stesse emozioni. Glielo si poteva leggere negli occhi, come in uno di quei bigliettini azzurri semitrasparenti che uscivano dagli incarti dei Baci Perugina.
«Non sono buone notizie» farfugliò il controllore con un filo di voce. Pareva sul punto di svenire, quasi che avesse appena assistito al sezionamento di un cervello umano su un tavolo da laboratorio.
«No, lo so. Capite adesso perché ho questa sensazione che mi gira per la testa?» chiarì il signor Nicola, abbattuto. «Non riesco a levarmela di torno. Come polvere di ossa tritate sui miei capelli.»
L’immagine era più che eloquente. Francesca sbiancò. Roberto si sentì mancare per un istante, ma resisté. Il controllore borbottò qualcosa di incomprensibile, qualcosa che nessuno di loro sarebbe stato in grado di cogliere. Probabilmente un’imprecazione, stabilì poi Roberto fra sé.
«Dopo queste informazioni, non so se me la sentirei di mandare qualcuno in auto fino in città. Fatto sta che abbiamo bisogno di cibo, e non credo che i passeggeri abbiano gli zaini pieni di generi alimentari» seguitò il controllore, dopo un paio di minuti rubati al giorno per riflettere.
«Possiamo raccogliere acqua dal rubinetto nel bagno della stazione. Sarà sicuramente potabile. Ma ci occorre comunque qualcuno che procuri un po’ di roba da mangiare. Sarebbe l’occasione buona per vedere se effettivamente la situazione è grave come l’abbiamo dipinta noi. Chissà, magari in realtà è tutto quanto a posto e noi stiamo qui a costruirci queste visioni mentali» teorizzò Roberto. Ma le sue parole esprimevano speranza, più che certezza, e questo dettaglio non passò inosservato alle orecchie delle uniche tre persone che lo ascoltavano.
Cadde una goccia. Roberto la sentì sulla pelle del braccio, e alzando la testa per guardare le nuvole color piombo ne ricevette un’altra in piena fronte.
«Vado io» borbottò il signor Nicola. «Prendo l’auto e raggiungo il paese più vicino. Seguirò le indicazioni stradali. Nel giro di una mezz’ora avrò fatto andata e ritorno, non vi preoccupate.»
«Non lo so…» barbugliò il controllore, ancora troppo poco sicuro per autorizzare uno spostamento alla cieca. «Certo, se laggiù ci fossero dei telefoni funzionanti sarebbe come vincere la lotteria. Forse varrebbe davvero la pena tentare.»
«È deciso, allora. Dite voi a mia moglie che sono partito. Non voglio salire sul vagone a cercarla, perderei troppo tempo.»
«D’accordo» lo rassicurò Roberto, passandogli nelle mani le chiavi dell’Alfa Romeo che avevano trovato aperta nel parcheggio della stazione. «Fa’ attenzione.»
«È solo un viaggetto in paese. Se le mie supposizioni sono esatte, non troverò anima viva. Se mi sbaglio… be’, tanto meglio!» bofonchiò Nicola rigirandosi le chiavi fra le dita. «Spero in ogni caso di trovare del cibo. Ma per precauzione fate tirare fuori ai passeggeri tutto quello che hanno. Sarebbe saggio iniziare a pensarci, viste le circostanze.»
Roberto continuava a sperare che il vecchio si sbagliasse. Che le sue stesse sensazioni fossero sbagliate, ma in fondo alla coscienza si rendeva conto di trovarsi appeso a penzolare sopra la voragine di un precipizio e di aggrapparsi a un ciuffetto di rami rinsecchiti che presto si sarebbe sradicato, lasciandolo cadere. Stringeva ancora la mano a Francesca e per la prima volta si rese conto che le dita della sua ragazza si erano serrate con tanta forza attorno alle sue da fargli male.
Accompagnarono Nicola alla macchina e lo guardarono salire e partire. I fanali di coda scomparvero ben presto in mezzo alla vegetazione, lungo la stradicciola che si allontanava dal parcheggio della stazione. Roberto per un attimo lo invidiò, perché se ne stava andando da quel posto odioso.
Ormai pioveva a dirotto, così si rifugiarono nella stazione e poi corsero nel treno appena l’acquazzone si fu temporaneamente placato. Pochi istanti più tardi riprese con maggiore intensità, e loro rimasero dentro al vagone ad ascoltare il ticchettio delle gocce d’acqua sui finestrini e le sferzate del vento che si abbattevano sulle fiancate del convoglio.
Finché qualcuno non gridò.

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