giovedì 28 novembre 2013

Solo andata, no ritorno - 20

La gente iniziò a urlare.
Per qualche istante i centododici passeggeri del treno fermo accanto alla stazione si lasciarono prendere dal panico. Alcuni accennarono a fuggire, altri si limitarono a rimanere immobili e a gridare il proprio orrore senza controllo, ma fu Carlo, il poliziotto in vacanza, a rimettere rapidamente ordine. Sbraitò alla calca di smetterla immediatamente e partì di corsa verso il signor Nicola, seguito da Giacomo e, subito dietro, dal controllore e da Roberto.
I quattro furono addosso a Nicola un attimo prima che il poveretto stramazzasse al suolo. Carlo lo afferrò al volo e lo posò delicatamente sul cemento tra la facciata della stazione e i binari.
Roberto si voltò e intravide di sfuggita la moglie di Nicola perdere i sensi e Francesca sorreggerla assieme a un paio di donne accorse in suo aiuto. La situazione era più o meno sotto controllo, da quella parte. E la folla si era finalmente ammutolita.
Adesso si dovevano occupare del signor Nicola.
«È messo male…» mormorò Giacomo fra i denti, raccogliendo il coraggio necessario a parlare per primo e dare voce ai pensieri di tutti e quattro.
«È completamente ricoperto di sangue. E ha i vestiti strappati in più punti. Il polso sinistro ha assunto una curvatura che non promette niente di buono» osservò il controllore, in quel momento apparentemente più calmo degli altri.
Carlo si ripulì le mani sui jeans dal sangue. Poi si girò. «C’è un dottore? Un’infermiera? Qualcuno che sappia fare qualcosa, dannazione?» berciò rivolto verso i passeggeri. Nessuno emise un fiato, nessuno si mosse. «Cazzo» borbottò, e tornò a chinarsi su Nicola per continuare a valutare i danni.
«Vedo un paio di escoriazioni,» disse il controllore, pensieroso, «ma non tanto gravi da giustificare tutto questo sangue. Deve avere una ferita più profonda da qualche parte.»
«Allora lo dobbiamo girare» considerò Roberto. La situazione era talmente surreale che gli sembrò di parlare da chilometri e chilometri di distanza. Come se la sua voce scaturisse da un altoparlante, ma lui si trovasse da tutt’altra parte del mondo con un maledetto microfono in mano.
«Nessuno gira niente, qui, nessuno tocca nulla» lo bloccò Carlo, con aria ansiosa. «Se combini danni rischi una denuncia che ti basta per tutta la vita. Ti divorano la casa, l’auto e i vestiti che hai addosso se per caso succede qualcosa che non va bene mentre lo giri.»
«Queste sono circostanze particolari» fece notare il controllore, come per dare una voce all’ovvio.
«Particolari un accidente. Chi lo stabilisce, tu? Sei tu che comandi? Che giudichi?»
«Mettiamo da parte questo conflitto per un momento, per piacere» cercò di calmarlo Roberto, ma il suo tentativo ottenne come unico risultato quello di fare incazzare Carlo ancora di più.
«Chi ti ha eletto? Chi ha votato che sia tu a decidere per tutti quanti, qui? Non siamo più in quello stramaledettissimo treno, bello mio, e qui fuori comando io
«Non sono un medico, ma secondo me questo ha smesso di respirare…» intervenne Giacomo, riportando giusto in tempo l’attenzione sulla questione principale. Ma non era finita. Non così, non ancora. Si trattava solo di una tregua, con un mostro incavolato che stava in agguato dietro gli occhi luccicanti di rabbia di Carlo.
Il controllore si chinò, appoggiò un ginocchio sul cemento e posò due dita sul collo di Nicola, in alto e un po’ esternamente. «C’è battito» sentenziò, quindi si piegò ancora di più e avvicinò l’orecchio al naso e alle labbra dell’uomo disteso a terra. «Sento il respiro. Debole, ma c’è. Penso sia solo svenuto. Ma, ora come ora, dobbiamo accertarci che non stia morendo dissanguato.»
«Anche se fosse, come potremmo evitarlo?» farfugliò Giacomo, sottolineando l’impossibilità di compiere un’impresa che fino a pochi secondi prima sembrava scontata e banale.
«Cazzo» ripeté Carlo per la seconda volta, rimettendosi in piedi e passandosi una mano sul viso.
«Se c’è una ferita dobbiamo fermare il sangue. Possiamo ancora intervenire in tempo. Ma lo dobbiamo girare!» insisté Roberto. Era consapevole del rischio, del fatto che muovendolo avrebbero potuto fare più danni che altro. Sembrava davvero ridotto male, per cui si trattava in sostanza di una scommessa. Era come lanciare una moneta e aspettare che ricadesse sul cemento per vedere quale faccia sarebbe rimasta sopra, né più né meno.
«Me ne prendo io la responsabilità» concluse il controllore, e detto questo infilò le mani sotto la schiena del signor Nicola e lo girò adagio, mettendolo su un fianco per verificare dove fosse la ferita dalla quale proveniva tutto quel sangue.
Sul cemento ai loro piedi rimase impressa la sagoma rossa di Nicola.
I quattro si sporsero verso la figura insanguinata e cercarono di esaminarla con attenzione, fronti aggrottate e sguardi concentrati, come alla caccia di uno stuzzicadenti caduto in un campo di grano.
Il silenzio durò a lungo, molto più a lungo di quanto tutti loro avrebbero desiderato. Fu Giacomo a spezzarlo, ancora una volta, mugugnando: «Voi vedete qualcosa?»
«Niente di niente» sibilò Carlo, mostrandosi palesemente irritato.
«Ma… non è possibile, no? Cioè, il sangue…» cominciò Roberto. Ma vide che il controllore era ancora concentrato e seguitava a esaminare il signor Nicola attentamente, quasi che potesse scorgere da un momento all’altro un particolare sfuggito a tutti gli altri.
«Cazzo!» imprecò Carlo per la terza volta, volgendo loro le spalle e rimanendo fermo in piedi a guardare i passeggeri che attendevano in silenzio il loro verdetto.
Finalmente il controllore si rialzò in piedi con calma e si schiarì la voce, assumendo un tono grave. «Non ci sono ferite profonde. Solo escoriazioni e qualche taglio qua e là, nulla di serio. Mi preoccupa più che altro il polso, ma dovremo aspettare che riprenda conoscenza prima di capire quanto è serio il problema.»
«E allora il sangue? Che cosa vuol dire tutto questo, dannazione?» balbettò Giacomo, confuso.
«Può voler dire solo una cosa, a questo punto» spiegò il controllore, in tono pacato. «Tutto questo sangue non è suo.»

Nessun commento:

Posta un commento

siti