giovedì 21 novembre 2013

Solo andata, no ritorno - 19

«Non possiamo restare qui» tuonò Carlo, guardandosi intorno con aria decisa. «Ci troviamo in una polveriera! Prima l’esplosione di ieri pomeriggio, e adesso questo? No, non siamo al sicuro. Avete ragione, è sicuramente capitato qualcosa finché eravamo in viaggio. Ma non intendo rimanere qui un minuto di più per scoprirlo. Io e la mia famiglia ce ne torniamo a casa. Seguiremo i binari a piedi, e anche se ci vorrà un sacco di tempo prima di essere a Padova, perlomeno ci saremo allontanati da questo posto maledetto!»
«Forse non hai capito bene quello che ho detto» lo riprese il controllore, all’apparenza trattenendo a stento un’imprecazione. «Di qualunque cosa si tratti, è molto probabile che sia successa dappertutto. Sarebbero passati di qui altri treni, se così non fosse. Significa che anche a Padova, e a Firenze, e forse in molte altre città sta avvenendo la stessa cosa.»
Di nuovo un mormorio confuso, incolore, percorse la folla di passeggeri come una languida ombra schiumosa. Roberto guardò il prete farsi il segno della croce. Accanto a lui, alcune donne lo imitarono. Un uomo anziano baciò la piccola croce d’oro che portava appesa al collo.
«Magari sanno che qui c’è qualche problema. Magari ci sono i terroristi, come ha detto ieri Giacomo» insisté Carlo, riferendosi a un altro passeggero che il pomeriggio precedente, assistendo all’esplosione, aveva additato al-Qaeda come principale responsabile di ciò che avevano visto. «Può essere successo di tutto. Hanno interrotto le linee telefoniche, spento le comunicazioni, lanciato un segnale di allarme affinché la gente si nascondesse. Hanno bloccato i treni. Ti sembra una cosa plausibile? Anche le mie sono soltanto supposizioni, esattamente come le tue. Ma non starò qui a farmi bucherellare dal primo sceicco del deserto di passaggio, se permetti. Io e la mia famiglia ce ne andiamo. E subito
«Perché non andare in cerca di qualche auto? Potremmo seguire la strada che si allontana dalla stazione per procurarci dei veicoli…» avanzò Giacomo, il tizio che ce l’aveva con i terroristi. La sua faccia era poco raccomandabile, annotò Roberto guardandolo farsi avanti tra la folla di passeggeri in ascolto. Una di quelle facce alle quali difficilmente avresti dato confidenza anche in un posto pieno di persone. Una delle facce che per strada, di notte, avrebbero benissimo potuto nascondere un coltello a serramanico in tasca.
«Non dopo che il vecchio si è allontanato da quella parte e non è più tornato. Preferisco farmela a piedi, tante grazie» ribatté Carlo, senza alcuna inflessione di rimprovero. Giacomo annuì e gli si piazzò di fianco, come un cagnolino fedele in attesa del pasto accanto al proprio padrone.
Roberto guardò verso Francesca e vide che la moglie del signor Nicola era scoppiata in lacrime. Un paio di signore le si erano avvicinate, forse per consolarla. Non incontrò lo sguardo di Francesca ma indovinò quali potessero essere i suoi pensieri. Bisognava fare qualcosa.
«Sì, è giusto. Dovremmo andarcene» mormorò qualcuno.
«Sono d’accordo» fece sapere una donna tra la folla, probabilmente parlando ad alta voce con altri passeggeri vicini.
«Non sappiamo ancora niente. Potrebbe essere tutto un banale malinteso. Ma se è davvero pericoloso, la cosa migliore da fare è stare qui e rimanere tutti insieme» ribadì il controllore con calma. Ma ormai la folla si stava già spaccando a metà. Alle prime voci giunte in appoggio a Carlo si stavano aggiungendo altri sostenitori, mentre dall’altra parte uomini e donne contrari all’idea cercavano di far valere la propria posizione. Il brusio della folla di passeggeri si tramutò in un’accesa discussione.
«Guarda quanto fa in fretta a degenerare una democrazia…» biascicò tra i denti il controllore, serrando con violenza i pugni e chiudendo gli occhi. Cercava di farsi passare il momento di rabbia, rifletté Roberto, ma sul suo volto passava anche qualcos’altro. Non era soltanto preoccupazione, né risentimento, né tantomeno amarezza. Era paura, pura e semplice, e per un momento apparve così indifeso da essere sul punto di crollare.
Lo scontro verbale sembrava una battaglia vera e propria. Ognuno urlava più forte che poteva per sovrastare gli altri, sicché non si riusciva più a capire chi fosse da una parte e chi invece dall’altra.
«Adesso basta con tutte queste chiacchiere!» gridò finalmente Carlo, spostandosi di qualche passo dalla calca e voltandosi subito dopo per rivolgersi ad essa nella sua interezza. «Chi è d’accordo con me e se ne vuole andare, faccia un passo avanti o rimanga qui con gli altri!»
Stava prendendo in mano la situazione. Roberto guardò il controllore, come per chiedergli di intervenire. Aveva ancora le palpebre abbassate e continuava a stringere i pugni. I segni lasciati sotto gli occhi dalla notte insonne erano profondi e lo facevano sembrare ancora più debole. Si stava rassegnando.
Alcune persone si mossero verso Carlo. Non molte, all’inizio, ma i primi incoraggiarono gli altri a fare altrettanto e così aumentarono velocemente. Tanti cercavano la figura del controllore con lo sguardo, come supplicandolo di dare loro una risposta, ma l’uomo continuava a tenere gli occhi chiusi, quasi che fosse caduto in uno stato di dormiveglia.
«Se volete davvero stare al sicuro, voi e le vostre famiglie, non è qui che dovete rimanere. Dovete venire con me, dannazione! Sono un poliziotto, so quello che faccio. Non porterei mai via di qui la mia famiglia se non fossi sicuro di fare la cosa giusta!» berciò ancora Carlo, persuadendo un’altra decina di persone ad avvicinarsi a lui e ai suoi sostenitori.
Ormai la folla era letteralmente divisa a metà, con una grossa crepa in mezzo che permetteva di scorgere la facciata fredda e indifferente della stazione ferroviaria.
Roberto lanciò uno sguardo verso il prete. Era rimasto dalla parte di quelli che non se ne volevano andare, e molte persone lo interrogavano con lo sguardo per sapere da lui cosa fosse meglio fare. Aveva temporaneamente sostituito il controllore come guida decisionale, in mezzo al gruppo di passeggeri che sarebbero rimasti all’ombra della stazione.
«Bene. Siamo almeno una sessantina, da questa parte. Abbastanza persone da dare nell’occhio e far cambiare idea a chiunque pensi di darci fastidio lungo il tragitto. Possiamo andare» disse tranquillamente Carlo, voltandosi dall’altra parte e cominciando a incamminarsi verso la coda del treno fermo.
«No!» tuonò il controllore, con tale impeto da far sobbalzare Roberto e molti dei passeggeri che stavano loro vicino.
Carlo si girò lentamente, digrignando i denti con fare ostile, e strinse a sua volta i pugni. «Ora basta! Che altro c’è..?»
«Oh Cristo…» borbottò un passeggero in fondo al gruppo. Sollevò un dito in direzione della stazione e tutti si voltarono rapidamente a guardare nella direzione da lui indicata.
Roberto guardò le facce dei passeggeri prima di seguire il loro sguardo. Vide dipingersi sui loro visi un’angoscia senza confini. Poi, con calma, posò gli occhi sulla porta della stazione e intravide una figura piccola e distante avanzare con passo strascicato.
Fece fatica a mettere bene a fuoco, perché aveva il sole negli occhi, ma quando distinse abbastanza chiaramente la figura barcollante del signor Nicola avvertì il cuore iniziare a battere talmente forte da minacciare gli squarciargli la gola. L’uomo che veniva verso di loro era il signor Nicola, sì, solo che si presentava leggermente diverso da come era partito: lordo di sangue fino ai capelli.

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