giovedì 7 novembre 2013

Solo andata, no ritorno - 17

Fu la luce del sole a svegliarli la mattina seguente. Pioveva sulle loro facce attraverso il vetro del finestrino, intensa e calda.
La prima cosa che Roberto controllò fu di avere dei vestiti addosso. Ricordò che se li erano rimessi poco prima di addormentarsi, la notte precedente, e accarezzò il viso sereno di Francesca che ancora riposava sulla sua spalla.
Avevano mosso il primo passo. Non era molto, ma almeno erano stati in grado di tirare fuori l’argomento e parlarne. In fin dei conti, sembrava un buon inizio.
C’erano tante cose da fare. Innanzitutto, vedere se il signor Nicola fosse tornato durante la notte.
Francesca aprì gli occhi e lo guardò. Gli sorrise debolmente e poi si tirò su sbadigliando, stiracchiandosi e sogguardando con diffidenza il profilo della stazione al di là del finestrino. Sì: erano ancora lì. E sì: ancora non sapevano cosa fosse e soprattutto cosa sarebbe successo. Ma erano insieme, ed era questo ciò che più contava.
Leggendole negli occhi questi pensieri Roberto si sentì più tranquillo. Era l’inizio di una nuova giornata, e forse avrebbero visto tutto quanto da una diversa prospettiva, sotto una luce meno severa e terrificante di quella della sera precedente. Chissà.
«Colazione in pasticceria?» scherzò Francesca. Roberto sghignazzò. Era domenica, e loro due avevano l’abitudine di fare colazione in pasticceria tutte le domeniche mattina. Era come una sorta di rito del fine settimana, al quale difficilmente sapevano rinunciare. Ma per quella volta avrebbero chiaramente dovuto fare un’eccezione.
«Io vado a sentire se ci sono novità. Non credo che qui in treno vendano l’edizione di oggi del Giornale di Vicenza, per cui andrò a sentire cos’ha da dirci il controllore» ribatté il ragazzo, accennando così a un’altra solida abitudine della domenica mattina.
«Va bene amore. Sistemo un po’ qui e ti raggiungo. Poi fammi sapere se c’è qualcosa da mangiare, o se per caso qualcuno è incappato in una macchinetta del caffè nascosta in una stanza segreta nella stazione.»
Roberto uscì nel corridoio del vagone e si diresse verso la testa del treno. Passando accanto a uno scompartimento sentì la voce di un uomo borbottare: «Lo dicevo, io, l’ho sempre detto: non ci saremmo mai dovuti piegare agli Americani, non avremmo mai dovuto accettare le loro basi militari nel nostro Paese! È colpa loro se i terroristi ci hanno presi di mira!» Guardò dentro e vide l’uomo che la sera addietro si era alzato in piedi in mezzo agli altri passeggeri e aveva diffuso l’idea che si trattasse di un attacco terroristico. L’uomo incrociò il suo sguardo per un istante e girò il viso dall’altra parte, come infastidito. Roberto lo lasciò perdere.
Quando arrivò nel primo vagone trovò il controllore seduto accanto all’unica porta aperta. Si era gettato addosso una coperta, probabilmente presa in prestito da qualcuno dei passeggeri, e osservava l’esterno con aria guardinga.
«Buongiorno» lo salutò Roberto, sedendosi vicino.
«Buongiorno» rispose l’altro con un filo di voce. Aveva delle belle borse sotto gli occhi, notò il ragazzo, e pareva si fosse buscato un principio di raffreddore. «Dormito bene?»
«Sì. Vorrei rilanciare con la stessa domanda, ma temo di aver già intuito la risposta. Perché non ti sei fatto dare il cambio?»
«Non me la sentivo di delegare la mia responsabilità nei confronti dei passeggeri di questo treno a qualcun altro. Ho chiesto a qualcuno di sostituirmi soltanto quel paio di volte in cui ho fatto il giro a vedere che anche le altre porte nei vari vagoni fossero sorvegliate come si deve. Non ho registrato alcuna infrazione, tutti hanno svolto il proprio compito con attenzione.»
«Bene…» mormorò Roberto. «Qualche problema durante la notte?»
«Ho sentito degli spari. Sembravano lontani. Non credo che altra gente possa averli uditi, a meno che qualcuno non tenesse il finestrino aperto. Dopo l’esplosione di ieri, quegli spari mi hanno fatto venire la pelle d’oca. Che cosa sta succedendo là fuori mentre noi stiamo qui?»
«Un milione a chi indovina la risposta esatta» sussurrò Roberto percorrendo con lo sguardo le linee spesse e grossolane della stazione ferroviaria accanto ai binari. «Del signor Nicola nessuna traccia?»
Il controllore esitò a rispondere. Forse non aveva capito la domanda. Doveva essere molto stanco, dopo la notte in bianco appena consumata. Invece balbettò qualche secondo più tardi: «No. Forse avremmo fatto meglio ad aspettare, prima di mandarlo via alla cieca. Se avessimo visto la fiammata di quell’esplosione prima che Nicola partisse, non gli avrei mai permesso di avviare il motore di quella dannatissima Alfa Romeo
«Ormai è fatta» fece notare molto semplicemente Roberto, ripristinando il silenzio.
Il cinguettio di un uccello spezzò l’aria come lo scricchiolio di un ramo secco. C’erano molti alberi, attorno alla stazione e ai binari, e Roberto iniziò a considerarli per la prima volta. Alcuni di essi erano imponenti, persino più alti della stazione stessa. Ce n’era uno in particolare, visibile da lì, che si arrampicava nel cielo più in su di tutti gli altri, quasi che volesse vincere una scommessa su chi sarebbe riuscito a toccare le nuvole per primo. Da lassù, rifletté Roberto, forse si riusciva a scorgere il paese più vicino, o magari a intravedere il punto in cui era avvenuta l’esplosione del giorno prima…
«Qualcuno di noi dovrebbe salire su quell’albero» considerò finalmente ad alta voce, indicando l’altissimo tronco in questione. «Da quella posizione potremmo farci un’idea più chiara della zona.»
Il controllore seguì il suo dito puntato con gli occhi e fu costretto a stringerli per mettere meglio a fuoco. Scosse la testa debolmente, quando l’ebbe localizzato. «Non guardare me. Non ce la farei mai ad arrampicarmi là in cima, neanche con qualche chilo in meno.»
«Potrei andarci io. Magari riuscirei a vedere il paese in cui probabilmente è andato Nicola.»
«Ho un’orrenda sensazione, sai?» saltò fuori di punto in bianco il controllore, lo sguardo smarrito nel vuoto, quello di un turista nel deserto che ha appena perso l’unica bussola che aveva con sé. «È tutta la notte che mi perseguita. Per questo ho rinunciato a tentare di prendere sonno: non ci sarei comunque riuscito.»
«Quale orrenda sensazione?» volle sapere Roberto, lievemente titubante.
Il controllore gli gettò addosso un’occhiata malinconica, come quella di una preda braccata fino allo sfinimento. «La sensazione di aver condannato il signor Nicola a morte certa.»

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