sabato 7 luglio 2012

Gelide Tenebre Assolate - Parte 2

Il sole si stava alzando ad una velocità sorprendente. Quando era partito quella mattina, poco prima dell’alba, aveva detto ai compagni della comunità che avrebbe fatto ritorno prima che calassero le tenebre, ma adesso cominciava a nutrire seri dubbi al riguardo. Alzò gli occhi sul fianco ripido della montagna, localizzando l’altezza alla quale sarebbe dovuto arrivare. Per giungere là in cima gli sarebbero occorse almeno tre ore. Forse anche quattro. Ce l’avrebbe fatta a rientrare al campo prima del tramonto?
Finalmente il sentiero, dopo una dolce discesa, riprese a salire, e questa volta lungo il pendio della montagna stessa. Charlie continuò a seguirlo volentieri, lasciandosi alle spalle la collina appena oltrepassata. Era il primo del suo accampamento a mettere piede nella zona, e Dio solo sapeva che cosa avrebbe potuto trovarsi davanti lungo quella tortuosa via ignota. Qualche ciuffo di felci sbucava ai lati della stradicciola, e ben presto Charlie si addentrò con un pizzico di tensione in una consistente macchia di pini.
La borraccia era piena di piombo. Charlie era ormai quasi sicuro di questo. Che diamine, non poteva di certo pesare così tanto se dentro c’erano realmente soltanto quelle due gocce d’acqua potabile che vi aveva lasciato dopo l’ultima bevuta alle pendici della collina… Volò con la mente al suo accampamento, dove in quel momento era quasi ora di pranzo. Chissà che cosa stava facendo la sua Nicole… Stava bene? Era al sicuro? Mangiava o se ne stava in disparte, ad osservare mestamente le montagne in attesa di scorgere un suo segnale o di vederlo ritornare?
Lui e la bellissima Nicole si conoscevano da tre anni, ed era da allora che si appartenevano, dopo che tra di loro era scattata una scintilla che aveva dato forma e respiro all’inestinguibile fuoco del loro amore, rosseggiante come l’alba che aveva accolto lui e la sua famiglia quel mattino del primo giorno della Trasfigurazione – tanto potenti erano i sentimenti che Charlie e Nicole nutrivano l’uno per l’altra, pari alla forza delle decine di bombe nucleari che in pochi giorni, tredici anni prima, avevano sconquassato il pianeta, facendolo tremare dalla paura di essere cancellato da quel piccolo granello di spazio che occupava nella spiaggia dell’universo.
Anche Nicole aveva subito più o meno la sua stessa sorte. Era un anno più giovane di lui, ma nella sua mente c’erano impresse quelle stesse immagini di atrocità e sofferenze che persistevano tra i ricordi di Charlie e riemergevano in superficie ogniqualvolta veniva pronunciata o lasciata in sospeso la terribile parola “Trasfigurazione”.
Era stato il destino a spingerli insieme, nella stessa piccola comunità di superstiti. I genitori di Nicole stavano vagando con la figlia per le montagne più ad est, quando avevano incontrato per caso il loro gruppo che si spostava. Gli uomini della comunità erano andati loro incontro con le armi puntate, temendo potessero essere ostili, ma quando avevano capito che si trattava semplicemente di una povera famiglia alla deriva li avevano accolti con benevolenza. La famiglia di Nicole era una delle poche ad essere stata ammessa nella comunità dopo la formazione del nucleo centrale. La paura che potessero esserci degli infiltrati provenienti da altre comunità tendeva a rendere il cerchio molto, molto ristretto e serrato.
Charlie ricordava quando i genitori di Nicole erano morti. Non avevano fatto in tempo a conoscere i suoi, questo no, ma avevano patito la medesima, tragica fatalità: freddati in pieno deserto da una carovana di predoni, mentre si spostavano verso la città alla ricerca di qualche cosa da mettere sotto i denti per la comunità. Era da allora, forse, dopo la terza o quarta volta che una spedizione veniva fatta fuori dai briganti, che la comunità aveva deciso di sospendere definitivamente ogni missione di esplorazione nelle aree circostanti la città. Troppo pericoloso. Meglio muoversi verso le montagne.
La vegetazione si trasformò all’improvviso in un’ampia arcata adorna di foglie color verde smeraldo luccicanti al sole, aprendosi in una radura, e uno sprazzo di luce repentino quasi lo accecò mentre tentava di rimettere a fuoco la vista dopo l’oscurità della macchia boscosa.
Il cristallino sciabordio di uno scroscio d’acqua era inconfondibile per chiunque fosse alla continua ricerca di essa da tutta una vita, per questo Charlie non faticò a distinguere quel limpido e celestiale mormorio che lo chiamava a sé quasi con insistenza, alleggerendo di colpo la sua borraccia – dopotutto, il piombo nella borraccia non c’era, si trovava solamente nella sua testa. Si fiondò in avanti, rischiando di scivolare su qualcuna delle buche che butteravano il sentiero di terra battuta, e quasi si catapultò in un piccolo bacino d’acqua tersa e fresca, che andava rigenerandosi grazie ad un minuscolo fiotto continuo che sgorgava direttamente da un assembramento di rocce infagottate di muschio.
Inabissò le mani a coppa nell’acqua e se ne portò alla bocca diverse sorsate, prima che lo stomaco cominciasse ad avvisarlo che se avesse continuato così avrebbe finito col rigettare tutto quanto. Decise di essere saggio e ascoltare le proteste del suo corpo, quindi afferrò la borraccia che portava nascosta sotto il risvolto del giubbotto, la stappò e la posizionò direttamente sotto il getto d’acqua trasparente che scaturiva dalla pietra – sembrava quasi vetro fuso che si sprigionava dal nulla, acquistando solidità e concretezza quando si tuffava nello specchio azzurrino.
Una volta rimpinguata la sua riserva d’acqua, Charlie finalmente si concesse una rapida occhiata attorno per farsi un’idea di dove fosse capitato, e scoprì con un senso di atavica meraviglia di essere giunto proprio dove doveva arrivare. Poco più in là, separato dal sentiero, sorgeva un piccolo edificio tozzo e squadrato dall’aria desolata, i vetri delle finestre infranti e la porta scardinata, sormontato da quella che sembrava una grossa antenna radiofonica.
Charlie sorrise trionfante. Aveva conquistato il ponte radio in funzione del quale era stata concepita la sua attuale missione. Forse, in fin dei conti, ce l’avrebbe davvero fatta a rientrare al campo prima del calare delle tenebre.
Si avvicinò, cautamente, con la lentezza di una marea in ascesa. Lo stabile aveva un aspetto trasandato e sporco, come se fosse servito da rifugio per qualche senzatetto che l’aveva trattato in maniera non proprio amorevole. C’era la possibilità che ci fosse ancora qualcuno dentro, ma essendo stata scardinata la porta era poco probabile; con le finestre rotte, oltretutto, il gelo che penetrava doveva aver reso la costruzione invivibile.
Entrò silenziosamente, la mano destra saldamente abbarbicata alla pistola e il pugnale stretto in quella sinistra, e si liberò il passaggio spostando di lato la carcassa di quello che un tempo era stato il portone d’ingresso. Le finestre erano poche, e i raggi di sole che vi penetravano erano così deboli da non riuscire a rischiarare nemmeno un misero brandello di pavimento. Charlie si addentrò nel ventre del fabbricato, lasciandosi sempre più indietro quelle fauci spalancate che collegavano la corposa oscurità dell’interno con la diafana luminosità dell’esterno, e strusciando contro la parete le dita della mano che reggeva il pugnale incontrò d’un tratto un interruttore. Valutando che un edificio come quello dovesse avere un generatore di emergenza da qualche parte, lo premette delicatamente, e i neon che pendevano dal soffitto – o meglio, quelli ancora intatti – si risvegliarono con un sommesso brontolio, gettando all’intorno un luccicore lattiginoso che a malapena fugava l’ombra dalle pareti.
Era impossibile dire se il pavimento fosse di terra battuta o rivestito di piastrelle, perché esso era occupato per ogni singolo centimetro da un persistente strato di cartacce, scatolette vuote di cibi preconfezionati, bottiglie di liquori infrante e… corpi.
Questa volta Charlie non distolse lo sguardo. C’erano almeno una decina di cadaveri lì dentro, e il puzzo di sottofondo sembrava confermarlo. Era una fortuna, stabilì adesso, che le finestre fossero state rotte, altrimenti chiunque fosse entrato lì dentro vi sarebbe morto per mancanza di aria pulita. I suoi occhi furono attratti da una parete in particolare, priva di aperture, dove le luci al neon illuminavano una serie di frasi scritte da un dito umano con quello che sembrava sangue rappreso. Accanto, come ad addobbare il testo, c’erano decine di impronte di mani insanguinate, strisciate sulla parete come se fossero state appoggiate e poi fatte scivolare verso il pavimento.
Charlie si fece coraggio e lesse che cosa c’era scritto:
“Quattro parole, nessuna soluzione: Dio non è qui.”
“Tre parole, nessuna soluzione: Dio è lontano.”
“Due parole, nessuna soluzione: Dio, perdonaci.”
“Una parola, nessuna soluzione: Trasfigurazione.”
Si lanciò all’intorno uno sguardo irrequieto e si rese conto che i cadaveri ammucchiati sul pavimento erano disposti in ordine. Messi in quel modo, formavano esattamente l’immagine di una croce. Ma c’era di peggio, constatò immediatamente dopo: ciascuno di loro aveva il cranio sfondato e reggeva una pistola in mano. Si erano suicidati, tutti quanti.
Abbandonò rapidamente la sala per spostarsi in una stanzetta adiacente, dove c’erano i comandi per l’utilizzo dell’antenna radio posizionata sul tetto dello stabile. Qui grazie al cielo il pavimento era foderato soltanto di carte e fogli sparsi. Individuò le tastiere dei computer e spostò le pagine di giornale risalenti a tredici anni prima, ormai ingiallite, sbiadite e consumate, che erano state lasciate aperte lì sopra dagli ultimi occupanti – forse quegli stessi corpi che giacevano di là, inermi, stesi sul pavimento con il cranio sfondato.
Si mise a trafficare un attimo con le frequenze, prestando ascolto ad ogni percettibile sfaccettatura dei fruscii di sottofondo che accompagnavano ciascuna di esse, finché tutto d’un colpo non captò un messaggio. Era una registrazione, eseguita da una voce vecchia ma limpida, che si ripeteva all’infinito da chissà quanto tempo. L’avevano sentita già una volta, qualche settimana prima, giù al campo, attraverso la radio che avevano costruito, ma poi avevano perso la frequenza ed esaurito le batterie. Per questo l’avevano mandato lì, quel giorno: per cercare delle batterie da utilizzare con la radio e recuperare la frequenza nella quale veniva trasmesso quel messaggio registrato che per qualche istante aveva riscaldato i cuori di tutti quanti.
Dentro di sé, Charlie esplose di felicità. «Vittoria», sospirò allegramente. Frugò freneticamente sul tavolo dove si trovavano i comandi, finché non raggiunse un pezzetto di carta bianca e un mozzicone di matita. Scarabocchiò la frequenza segnalata sul display, quindi spense la console, la capovolse e sogguardò lo sportello che conteneva le batterie. Adesso aveva tutto ciò che gli occorreva, si disse compiaciuto. Avrebbe fatto ritorno all’accampamento da eroe.
Disattivò gli altoparlanti e il messaggio registrato trasmesso dalla frequenza scomparve dalle sue orecchie, seguitando tuttavia a riecheggiare nella sua testa: “Londra, anno corrente duemilaventicinque. Questo è un messaggio di portata globale. È stato instaurato un nuovo governo, che raccoglie i capi di Stato di tutta Europa ancora rimasti. Chiediamo ai sopravvissuti di tutto il mondo di spostarsi, se possibile, verso l’Inghilterra, e di raggiungere Londra al più presto. Per facilitare il trasferimento, sulle coste stanno venendo allestiti i primi porti navali. Abbiamo cibo, acqua e risorse a sufficienza per ricostruire la città, ma ci occorrono persone. Rivolgiamo questo appello all’umanità intera: se ci sentite, vi preghiamo di raggiungerci il prima possibile. Non siete più soli, adesso. Non più.”
Bevuta un’altra abbondante sorsata d’acqua, Charlie riprese il sentiero per scendere dalla montagna. Aveva ciò per cui era venuto: una frequenza e delle nuove batterie. Per di più, aveva trovato una sorgente d’acqua fresca che si sarebbe potuta rivelare utilissima per la comunità. Di certo il suo nome sarebbe stato accompagnato da una miriade di sorrisi di gratitudine per molto, molto tempo dopo il suo ritorno, considerò con un lieve moto di gioia.
All’andata non si era reso conto di come il sentiero si srotolasse proprio sul fianco più scosceso del rilievo. Il minimo passo falso e avrebbe rischiato di ruzzolare giù fino alla pianura, arrivando a destinazione ovviamente privo di vita e di un corpo che si potesse definire tale. La pietra era ancora scivolosa a causa dell’umidità, nonostante il sole ormai alto nel cielo nitido. Le rovine delle città che si scorgevano in lontananza, più in basso, apparivano come degli schizzi di carboncino disegnati sulla tavola di un fumettista. Mancavano soltanto i riquadri con la voce fuori campo del narratore, meditò Charlie mentre poggiava i propri piedi uno dietro l’altro, senza fretta, per non rischiare di inciampare, tenendosi nel frattempo con le mani alle rocce o agli arbusti che affioravano qua e là, a lato del sentiero, ad offrire il proprio sostegno.
Non vedeva l’ora di riabbracciare Nicole. Quella mattina l’aveva lasciata nella loro tenda con un bacio, stringendola forte a sé e promettendole che sarebbe andato tutto bene, che avrebbe fatto attenzione e che sarebbe ritornato da lei il prima possibile. Lo stile di vita in comunità era diverso da quello che vigeva prima della Trasfigurazione; sembrava che anche i costumi, assieme al viso seviziato del mondo, fossero cambiati. Proprio per questo, Charlie e Nicole dormivano assieme come una qualsiasi altra coppia di adulti appartenenti alla comunità. Non esistevano cose come la maggiore età: Charlie era considerato un uomo fin dal primo momento in cui aveva preso in mano una pistola per andare a caccia con suo padre, a quattordici anni; di conseguenza poteva godere di tutti i diritti che ciò comportava.
Già pregustava il sorriso che la sua dolce e amata Nicole gli avrebbe dedicato quando le avesse detto che era riuscito ad individuare la frequenza, e che effettivamente, perciò, qualcuno stava cominciando a ricostruire la civiltà nella città di Londra – non troppo lontano da lì, a conti fatti, soltanto qualche giornata di viaggio per terra e per mare. Nicole era sempre stata dell’avviso che si potesse nutrire ancora qualche speranza di ricostruzione, e a Charlie piaceva l’idea di poter essere lui stesso a consegnarle quella speranza dalle proprie mani.
Le parole scritte con il sangue sulla parete della sala principale del ponte radio rimbombavano ancora nella sua testa in un’eco terrificante, come un presagio che non riusciva a scrollarsi di dosso. Se non altro, il riflesso soffuso della voce registrata che annunciava un progetto di rinascita dell’umanità riusciva a compensare il disagio provocato da quell’immagine atroce. Affrettò il passo, e in un paio d’ore raggiunse i piedi della montagna e oltrepassò la collinetta sottostante, rimettendosi in marcia con la sabbia della pianura desertica che gli riempiva fastidiosamente gli scarponi ogni volta che posava le suole a terra.
Imboccò una strada asfaltata, anch’essa parzialmente invasa da quel mare di dune dorate in continuo movimento, e la percorse passando in mezzo a due file di rottami di automobili senza copertoni, senza vetri, divorati dalla famelica voracità della ruggine. Soltanto la doppia corsia in uscita dal centro abitato più vicino era interamente occupata dalle carcasse dei veicoli: nell’altro senso di marcia non c’era nulla, e il deserto si era preso tutto quanto, inghiottendo la carreggiata in un unico, appetitoso boccone.
Il ragazzo si mantenne basso mentre passava tra le colonne di macchine pietrificate, ormai divenute parti integranti di quella natura morta e selvaggia. Non c’era pericolo che qualcuno facesse esplodere una vettura accanto a lui, perché i serbatoi di ogni singola auto erano stati svuotati già da tempo dai predoni, tuttavia persisteva sempre il rischio di buscarsi una pallottola se non si faceva attenzione a rimanere coperti mentre si attraversavano quelle zone disabitate.
Sgusciò via rapido e silenzioso, mentre le orme che i suoi scarponi lasciavano dietro di sé venivano subito ingurgitate dalla sabbia che andava a riempire i solchi. Il sole calava lento ma inesorabile, e ben presto avrebbe raggiunto la sfocata linea dell’orizzonte.
Cominciava già a percepire il profumo di Nicole, la sua voce, il calore del suo corpo, la dolcezza dei suoi baci, la tenerezza dei suoi abbracci. Ecco là in fondo, in lontananza, il profilo dell’accampamento, le ombre delle tende che si allungavano nella direzione verso la quale si spandevano i raggi del sole morente, il mormorio confuso della comunità…

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