giovedì 12 dicembre 2013

Solo andata, no ritorno - 21

Fu difficile tranquillizzare il resto dei passeggeri sullo stato di salute del signor Nicola. Specialmente sua moglie. Tutti, ad ogni modo, volevano sapere che cosa gli fosse capitato. Esigevano risposte, risposte che nessuno poteva dare loro, e questo servì soltanto ad alimentare ulteriormente il malcontento generale.
Ovunque si guardasse attorno, Roberto vedeva solo gente spaventata. Stavano capitando loro cose che avevano dell’incredibile, questo bisognava per forza ammetterlo, e pochi sembravano in grado di digerirle con facilità.
Stranamente, il prete era l’unico ad apparire tuttora calmo. Come un’isola di tranquillità in mezzo al mare tumultuoso, se ne stava in disparte con un gruppetto sempre più nutrito di passeggeri attorno, parlava con loro e rivolgeva a destra e a manca sguardi comprensivi e rassicurazioni. Teneva in piedi una parte della folla, la sorreggeva e si assicurava che non inciampasse nella paura. Il suo era un compito importante, rifletté Roberto mentre tornava a concentrarsi sul respiro lento e regolare del signor Nicola. Forse il compito più importante tra tutti quelli che avrebbero potuto svolgere.
La confusione era diventata il nuovo nemico da combattere. In molti volevano andarsene, ancora di più da quando avevano visto materializzarsi la figura insanguinata di Nicola. Era una questione spinosa, perché Carlo non aveva più detto nulla al riguardo nelle ultime ore. Se ne stava seduto con Giacomo a pochi passi da Nicola e non mormorava una parola. Il controllore, dal canto suo, era risalito sul treno e nessuno lo aveva più visto scendere.
«Pensi si riprenderà presto?» sussurrò Francesca. Stava seduta di fianco a Roberto e parlò a bassa voce per non farsi sentire dalla moglie del signor Nicola, che era poco distante assieme a un paio di altre donne più o meno della sua età.
«Credo di sì. Ma non sappiamo perché abbia perso i sensi. Non di certo per le ferite, perché sono tutte superficiali. Dev’essere stato qualcos’altro. Dà quasi l’impressione di essere rimasto sveglio per una settimana intera, da quanto sono profonde le sue occhiaie…» considerò Roberto. Si sentiva irrequieto ed era una sensazione che non gli piaceva. Come se le cose gli fossero irrimediabilmente sfuggite di mano e l’istinto gli suggerisse che ogni tentativo di recuperarle sarebbe risultato vano.
«Siamo in pericolo?» domandò ancora Francesca, abbassando ulteriormente la voce.
«Non lo so. Penso di no, per ora. Ma lo saremo presto» rispose accennando a Nicola. «L’auto con cui lo abbiamo mandato a cercare aiuto non c’è nel parcheggio della stazione. Significa che è tornato indietro a piedi, in quelle condizioni. Non possiamo neanche immaginare cosa gli sia capitato, ma dubito sia qualcosa di buono.»
«Già…» accettò Francesca senza riserve, e gli rivolse un sorrisetto malinconico.
Roberto la guardò teneramente. Coprì il mezzo passo che li separava e le posò delicatamente una mano sulla pancia. «Andrà tutto bene. Ne usciremo presto. Poi potremo occuparci di tutto il resto.»
«Lo so. Continuo a pensarci. Non riesco a togliermelo dalla testa. Nemmeno quello che è successo al signor Nicola è riuscito a distogliere i miei pensieri dal bambino. Che cosa dovremmo fare?»
Roberto guardò l’orizzonte dietro di lei. Si rese conto per la prima volta che faceva freddo, e che forse le due coperte che avevano disteso sul signor Nicola non lo avrebbero tenuto al caldo ancora per molto. Il sole di mezzogiorno aveva fatto ben poco per intiepidire l’aria e adesso il pomeriggio incominciava già a lavorare sui contorni delle ombre, divorando sempre più brandelli di luce.
Anche lui aveva pensato intensamente al loro bambino, per tutto il giorno, senza mai riuscire a toglierselo dalla testa. Non aveva idea di che cosa avrebbero dovuto fare, di come si sarebbero dovuti comportare. Per il momento erano gli unici due a saperlo, non lo avevano rivelato a nessuno. Ma i segreti si sgretolavano in fretta, e questo in particolare era talmente grande che quando si fosse frantumato sarebbe potuto tranquillamente crollare loro addosso e schiacciarli sotto le macerie.
«Francamente? Non lo so, ci sto ancora pensando. Si tratta del nostro futuro, in fin dei conti. Di un’infinità di possibilità cancellate per sempre, nel momento in cui decidessimo di tenerlo. Ma allo stesso tempo mi domando: è giusto cancellare le sue, di possibilità?»
«Me lo domando anch’io» ammise Francesca. Adesso aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Si rendeva conto che era una decisione che avrebbe trasformato le loro vite per sempre, in entrambi i casi. Più che altro, a loro non restava che scegliere in quale modo il loro futuro sarebbe cambiato.
«Niente più università, non all’inizio almeno, e dovremmo cominciare a lavorare per mantenerci il prima possibile. I miei genitori non ne sarebbero molto entusiasti. Contano molto sui miei studi, sul mio futuro. E lo stesso vale anche per tutti gli altri miei parenti, così come, immagino, anche per i tuoi. Ma negare completamente un qualsiasi futuro a questo bambino… Non lo so, mi sembra… Sbagliato, ecco tutto.»
Francesca annuì in silenzio. Roberto le sorrise. Era un bel momento. Non erano più riusciti a parlarsi così apertamente, negli ultimi tempi, e gli mancava poterle confidare paure e speranze come aveva sempre fatto in passato. Si erano un po’ allontanati, anche e soprattutto per la questione della gravidanza e per il semplice fatto che avevano preferito rimandare l’argomento il più a lungo possibile. Ma adesso si stavano finalmente riavvicinando, e le cose cominciavano ad andare meglio. Avrebbero rimesso al proprio posto tutti i pezzi, ne era sicuro.
«Non so nulla» proruppe la voce fievole di Nicola, emergendo dal silenzio in un rantolo soffocato. Aveva gli occhi chiusi, ma si dimenava nel sonno come se qualcuno lo stesse tenendo fermo. Stava avendo un incubo.
Carlo e Giacomo si fiondarono accanto a Roberto e Francesca e il poliziotto chiamò più volte il nome del signor Nicola, tentando invano di ridestarlo.
«Non so nulla, non so nulla! Vi prego, lasciatemi andare! Lasciatemi!»

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