Emily Cooper non si sarebbe mai
immaginata che per raggiungere Pine Bluff in treno, partendo da Little Rock con
una coincidenza spaventosamente precisa, occorressero così tante ore. Eppure
era ferma alla stazione di Eglon da tutto un giorno, aveva fame e sete e anche
un po’ di freddo, si sentiva stanca e assonnata e soprattutto terribilmente in
ansia perché da circa quattro ore aveva finito le sigarette.
Eh già, perché proprio qui stava il
punto: non poteva trattenere il suo nervosismo quando era in astinenza da
tabacco. E che accidenti di stazione dei treni era quella lì, che non aveva
neppure uno stramaledetto distributore di sigarette? Roba da matti, rifletté Emily squadrando il tipo che piantonava
l’uscita con una mitraglietta Uzi a
tracolla e una maschera di plastica rossa e gialla sul viso. In che razza di
covo di mentecatti era finita?
Stavano lì dalla mattina, quando il
loro treno era stato bloccato poco dopo l’alba da quei tizi armati con il volto
coperto che davano a Emily l’impressione di essere un po’ tocchi. I vagoni
erano stati smontati e spostati dai binari, e tutti loro erano stati radunati
nella sala d’aspetto della stazione assieme ai passeggeri di almeno un altro
treno. Dovevano essere esausti anche gli altri, considerò Emily guardandosi rapidamente
intorno. Stavano in piedi da ore, eccetto ovviamente quelli che per primi si
erano presi le poche seggiole sparpagliate per la sala e quelli che avevano avuto
il coraggio di sedersi per terra nonostante lo sporco che si scorgeva sul
pavimento. A pranzo erano stati distribuiti pasti preconfezionati di
assortimento piuttosto vario, e poi più niente. Qualche bottiglietta d’acqua
girava di quando in quando, ma i tipi che piantonavano gli ingressi e li
tenevano costantemente sotto controllo non avevano ancora dato segno di volerli
lasciare andare.
Certo che Emily, quella mattina quando
era partita, sicuramente non si aspettava di rimanere invischiata suo malgrado
in una situazione simile. Pareva eccessivamente assurdo, a suo avviso. Troppo
inverosimile perché ci potesse credere del tutto. Eppure non le pareva di
intravedere alcuna telecamera, nei paraggi, il che significava che molto
probabilmente non erano vittime di un qualche scherzo assurdo macchinato
dall’ultimo scrittore freelance di copioni per reality show.
Le esplosioni e gli spari che si erano
susseguiti fuori dalla stazione per la maggior parte della giornata erano
riusciti a mettere in agitazione il più dei presenti, in particolar modo una
famigliola che stava presumibilmente andando in vacanza da qualche parte
(in
vacanza a Pine Bluff?? Bah, cavoli loro…)
con i tre figli piccoli che dalle sette di quella sera
reclamavano a gran voce il proprio pasto abituale strillando e scalciando come
dei forsennati.
Adesso fuori sembrava tutto
tranquillo. Nessuno lì dentro aveva ancora avuto modo di uscire a vedere che
cosa stesse succedendo, ma c’erano molte ipotesi che dopo aver girato di bocca
in bocca avevano finito per coincidere…
«Signore e signori!» scandì una voce
senza accento prorompendo all’interno del salone della stazione dei treni di
Eglon attraverso gli altoparlanti disposti sul soffitto. «Benvenuti a Eglon! Ci
scusiamo per la difficile giornata d’attesa che vi abbiamo fatto trascorrere
chiusi qui dentro. Non ci aspettavamo così tanti passeggeri tutti in una sola
volta, ma adesso il problema è stato risolto. A ciascuno dei nuclei famigliari
qui presenti sarà assegnata una stanza nei principali alberghi cittadini, il
tutto naturalmente gratis. A una
condizione, però…»
La gente, già radunata attorno agli
ingressi per sciamare fuori da quell’ambiente che cominciava ad essere sempre
più stretto, si scambiò un mormorio confuso.
«Ognuno di voi dovrà lasciare i propri
documenti in ingresso. D’ora in avanti siete cittadini di Eglon a tutti gli
effetti, signore e signori. E non ve ne andrete da questa città mai più.»