Il campo base di fortuna che i
militari avevano allestito attorno agli elicotteri era costituito da un
semplice perimetro di filo spinato, con alcuni sacchi di terra accatastati per
renderlo più stabile. Al centro, oltre ai velivoli, c’erano dei trasporti
leggeri e un piccolo carro armato.
I ragazzi furono lasciati in un angolo
dove un ufficiale li raggiunse dopo mezz’ora di attesa.
«Da dove venite?» esordì, senza
nemmeno presentarsi.
«Eravamo a lezione all’università»
spiegò Leonardo senza tanto girarci intorno. Aveva la gola secca e gli occhi
gli bruciavano per tutta la polvere che gli spari e le esplosioni avevano
sollevato.
Quella mezz’ora di pausa dopo tutta la
paura che aveva provato nelle ore precedenti gli aveva fatto bene. Aveva avuto
tempo per metabolizzare, almeno in parte, le immagini che gli erano passate sotto
gli occhi durante il resto della giornata, e ciascuna di quelle visioni gli
martoriava dolorosamente i pensieri.
Quante persone erano morte in un
giorno? Quanto in fretta? Quanti zombie camminavano per le strade della città
di Padova, a caccia di superstiti da sbranare?
«All’università» ripeté l’ufficiale,
come scettico.
«Non è lontana. Ci siamo rifugiati sul
tetto e siamo scesi lungo la scala antincendio. Il vostro arrivo ha distratto
gli zombie.»
«Zombie,
eh?» replicò il militare, quasi che davvero facesse fatica a capire quello che
sentiva.
«Sono morti in tanti. Ne abbiamo visti
a centinaia, solo qui intorno. Che cosa sta succedendo?»
L’ufficiale si girò dall’altra parte
ed esaminò le difese erette col filo spinato con apparente concentrazione.
Leonardo tenne gli occhi su di lui. Dopo qualche istante i loro sguardi si
incrociarono e il militare sospirò tristemente.
«Questioni di segretezza nazionale?»
borbottò Marta quasi in tono di sfida.
«Oh no, tutt’altro. Non c’è niente di
ufficiale in quello che stiamo facendo qui. Niente di niente. Non ci sono
arrivati ordini. Nessuno ci ha detto cosa fare. Siamo partiti questa mattina
presto per andare a dare manforte a un reparto nel Sud che sembrava avesse a
che fare con un problema piuttosto insolito. Dopo quattro ore di viaggio ci
hanno detto di tornare indietro. Sorvolavamo Padova e avevamo poco carburante.
Silenzio radio. Così siamo atterrati.»
«Gesù…» sussurrò Giorgio,
esterrefatto.
«No, ragazzo: quei morti che si
rialzano non hanno niente a che fare con Gesù. Non tornano indietro per
salvarci, tornano indietro per mangiarci.
Hanno fame, e noi a quanto pare odoriamo di roba buona» commentò asciutto
l’ufficiale, ascoltando il boato di un’esplosione poco distante. «Se avessimo
saputo che anche qui in città la situazione era degenerata così in fretta,
saremmo atterrati fuori, in campagna. Invece…»
«Davvero non sapete proprio niente?»
insisté Leonardo, dubbioso.
Il militare lo fissò con aria
interdetta. Si passò una mano sulla fronte e guardò ancora una volta altrove,
quasi che avesse timore di sostenere il suo sguardo.
«Abbiamo captato pochi segnali mentre
eravamo in movimento. Squarci di ordini che volavano a destra e a manca. Roma
era sotto assedio da parte della popolazione, stando alle notizie che riuscivamo
ad afferrare. Ma la popolazione non era, come dire… incline alla diplomazia. Le
persone attaccavano la gente per strada, nelle case, un gruppo è entrato in
Parlamento e… non era una semplice protesta. Né una rivolta. Lo abbiamo capito
subito. C’era gente morta che attaccava i vivi, e dapprima non ci credevamo, ma
poi quando abbiamo allargato le frequenze…»
«…stava succedendo dappertutto» finì
per lui Leonardo, meditabondo.
«Già» confermò l’ufficiale, abbassando
il capo. «Notizie da Berlino, Parigi, Londra, frammenti di conversazioni e
notiziari che volavano nell’aria e si accavallavano. Poi le voci si sono
spente. Ad una ad una, e non era colpa del nostro ricevitore. Sono scattati i
segnali di emergenza. Emergenza nazionale,
ma la portata è molto, molto più ampia. Prende tutto il mondo, temo.»
Leonardo si rese conto che a poco a
poco le parole che conosceva stavano tutte perdendo di significato.
Pronunciarle sarebbe stato inutile, come emettere suoni privi di alcun senso.
«Ad ogni modo, non è detto che sia
così. Guardateci: noi stiamo resistendo, in piena città, e…»
«Il perimetro è compromesso!» berciò
qualcuno alle spalle dell’ufficiale.
L’uomo divenne pallido come un
lenzuolo steso al sole ad asciugare. Portò la mano verso l’impugnatura della
mitragliatrice e produsse un mezzo sorriso amaro, come di scuse. «A quanto pare,
devo aver fatto male i miei conti. Restate dietro di me, se potete. Non badate
a quello che vi ho detto, non troppo almeno. Sono sicuro che non è dappertutto
drammatica come qui. Ora scusate, ma devo pensare ai miei uomini.»
Si girò dall’altra parte e sbraitò a
un paio di soldati l’ordine di salire sul carro armato.
«I morti hanno circondato il mezzo
corazzato, siamo tagliati fuori!» strillò una voce in mezzo al frastornante
fragore degli spari.
«Mantenete la posizione e cercate di
liberare il carro armato! Ripulite il perimetro!» ordinò l’ufficiale sgusciando
via e scomparendo dietro il profilo di un elicottero fermo.
«Dobbiamo andarcene» sussurrò Leonardo
preoccupato.
«Sono militari, sanno difendersi» si
oppose Marta, sebbene con poca convinzione. «Riprenderanno il controllo del
perimetro. Siamo al sicuro qui dentro, hanno le armi e ci possono proteggere!»
«Hai sentito cos’ha detto
quell’ufficiale? Le altre città, gli altri Paesi… Sta succedendo dappertutto! Dobbiamo lasciare la città,
dobbiamo uscire in fretta da questo posto, o sarà la fine anche per noi!»
insisté Leonardo, alzandosi in piedi e avviandosi in direzione del filo spinato
alle loro spalle.
«Vuoi farti ammazzare?» gli gridò
dietro la ragazza, incerta.
«Non lasceranno mai la posizione. Sono
soldati, è il loro mestiere. Cercheranno a tutti i costi di riprendersi il
carro armato, e quando saranno circondati…»
«Non abbiamo scelta» intervenne
Giorgio, alzandosi a sua volta in piedi. «Anche questo posto è perduto. Non
possiamo aspettare che ci siano addosso. I soldati li terranno occupati per un
po’.»
Marta lo osservò con diffidenza.
Spostò lo sguardo da lui a Leonardo e poi sogguardò per l’ultima volta il punto
in cui l’ufficiale era sparito sbraitando i suoi ordini ai soldati. Annuì a
malincuore e li seguì, in direzione dei filo spinato.
«C’è un soldato morto lì a terra» notò
la ragazza quando stavano per passare dall’altra parte. Il cadavere indossava
la tuta mimetica con lo stemma dell’Esercito italiano ed esibiva un grosso morso
sul collo e un foro di proiettile giusto in mezzo agli occhi. «Dev’essere
qualcosa nella testa che li fa risvegliare. Questo qui non si è mosso, e sembra
essere morto già da un pezzo.»
«Ha una pistola» sottolineò Giorgio
con un pizzico di riverenza.
Leonardo si abbassò sul corpo e con
estrema circospezione sfilò la pistola dalla mano del soldato. Frugò per un
attimo nelle tasche della cintura e ne estrasse una scatoletta di plastica
piena di munizioni. Fece per alzarsi, ma poi ci ripensò e slacciò anche la
fondina, passandosela attorno alla vita e legandola ben stretta per riporvi
l’arma.
«Possiamo andare» concluse, e i tre
attraversarono il filo spinato pochi istanti prima che le raffiche di
mitragliatrice all’interno del campo militare si esaurissero del tutto.
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