«Sono tutti morti» pigolò il ragazzo
scoppiando in lacrime.
Leonardo non rispose. Aveva difficoltà
a respirare, forse per la fatica che aveva fatto issandosi sul tetto
dell’edificio. Guardò giù e percepì un vago sentore di nausea.
«Tranquillo Gio» intervenne la ragazza
affettuosamente, battendogli dei colpetti delicati sulla schiena. Il ragazzo si
allontanò di corsa e si mise in un angolo a vomitare. Lei rimase a pochi passi
da Leonardo, lo sguardo assente e l’espressione pensosa.
Un elicottero li sorvolò in tutta
fretta, scivolando oltre con le lunghe pale metalliche che graffiavano il cielo
terso.
«Erano zombie» mormorò finalmente la
ragazza, quasi parlando con se stessa.
«Sono
zombie» precisò Leonardo, il cuore che ancora gli martellava dolorosamente
il petto.
«Non riesco a crederci…»
«Nemmeno io» confermò asciutto. Notò
con la coda dell’occhio di avere il maglioncino imbrattato da alcune gocce di
sangue. Sangue di qualcuno dei suoi compagni di corso, schizzato da un morso o
da un graffio di qualche tipo. Ma come poteva essere reale una cosa del genere?
«Sta succedendo davvero?»
Gio, l’altro ragazzo, vomitò di nuovo
qualche metro più in là.
«Non lo so. Eravamo in aula da due
ore, due ore e mezza. E prima di entrare non ho visto nulla di strano in città.
Non posso credere che sia stato tutto così veloce…»
«Non è un film. Non è possibile che
esistano quelle cose. Non possono e
non devono esserci!»
Calò di nuovo il silenzio. La sirena
di un’ambulanza da qualche parte gli fece aprire veramente gli occhi sullo
scenario che si stendeva attorno all’edificio. Era uno spettacolo terrificante.
Il suo sguardo vagò dalle strade
gremite di automobili ferme alle sporadiche colonne di fumo nerastro che si
innalzavano da alcune case nei dintorni. L’aria era satura dell’odore del
sangue, delle urla sospese nel vuoto di una popolazione colta di sorpresa
durante una mattinata qualsiasi. Non c’era stato tempo per capire cosa stesse
accadendo, né tantomeno per cercare una via di fuga. Loro tre si erano salvati
per un puro capriccio del destino, e perché il loro istinto non li aveva
abbandonati nel momento cruciale. Ormai tutti gli studenti del loro corso erano
morti. Erano morti, e forse camminavano per i corridoi alla ricerca di qualche
superstite…
«Ci dev’essere una porta che sale sul
tetto!» esclamò Leonardo. Fino a quel momento non ci aveva pensato, ma ora la
cosa appariva dannatamente plausibile e spaventosa.
La ragazza lo fissò con aria
interrogativa. Poi il suo viso contratto fu illuminato da un’improvvisa
consapevolezza. «Dobbiamo chiuderla!»
Individuarono l’apertura poco distante
e scattarono nello stesso momento in quella direzione. Il ragazzo che vomitava
li seguì con gli occhi, paralizzato dal panico.
La porta emergeva dal tetto assieme a
una piccola cabina di cemento armato, dentro la quale terminavano le scale. Era
socchiusa. Leonardo la aprì delicatamente e gettò un’occhiata ai gradini, udendo
in sottofondo lo scalpiccio di passi strascicati che si facevano lentamente
strada verso l’alto.
«Stanno salendo. Come facciamo?»
domandò, mentre la paura gli serrava la gola in una morsa spietata e
implacabile.
La ragazza si girò verso il suo amico
all’angolo opposto del tetto. «Il tuo lucchetto della bici!» strillò, lanciandosi
verso di lui in una folle corsa disperata. Lo raggiunse in un lampo e frugò rapidamente
nel suo zaino, estraendone una catena con un lucchetto. Corse di nuovo da
Leonardo, che nel frattempo aveva richiuso la porta, e glielo allungò.
«Fallo passare attorno alla maniglia!»
le ordinò lui, aspettandosi da un momento all’altro di sentir tirare dall’altra
parte. La ragazza obbedì. Appena fece scattare il lucchetto avvertirono un
tonfo pesante e un penetrante lamento. Alcune voci iniziarono a ringhiare
all’unisono, come infastidite, e delle unghie si misero a grattare contro la
porta con insistenza.
«Non so per quanto li terrà a bada»
confessò la ragazza con una punta di apprensione. «Se Gio non si fosse
dimenticato di mettere il lucchetto alla bici, questa mattina, adesso saremmo
morti.»
«Ma per fortuna se n’è dimenticato, e
ora abbiamo guadagnato un po’ di tempo per elaborare qualcosa» ribatté
Leonardo, mentre nella sua testa rimbombava un’unica eco lontana.
Verrò
a prenderti, te lo prometto.
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