Impiegarono una buona ventina di
minuti per fare il giro del perimetro e controllare la situazione disotto. Gli
zombie erano veramente tanti, ma la maggior parte di loro doveva trovarsi ancora
all’interno delle aule e dei corridoi. C’erano urla nell’aria, che continuavano
a echeggiare senza sosta. Auto che cozzavano rumorosamente contro altre auto, e
ogni tanto degli spari, con il sottofondo delle sirene.
Leonardo non osava nemmeno immaginare
cosa stesse accadendo nel resto della città. Aveva troppa paura per farlo.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che doveva sbrigarsi ad arrivare a
Vicenza, perché la sua Valentina lo avrebbe aspettato barricata nei bagni.
Doveva raggiungerla e portarla via, portarla in un posto sicuro.
E i suoi genitori? Suo fratello, i
nonni, gli zii… Erano tutti in pericolo? Non riusciva a considerare
l’eventualità che a Vicenza la situazione fosse la stessa, che anche là i morti
avessero preso le strade e i paesi altrettanto in fretta. Forse c’era modo di
aiutarli. Forse erano partite le segnalazioni d’emergenza e avevano trovato
tutti rifugio da qualche parte…
Per un momento immaginò la via di casa
piena di cadaveri che camminavano lungo i marciapiedi. Dovette scuotere
energicamente la testa per cacciare via la visione, ma anche dopo continuò a
sentire che se ne stava in agguato, appena sotto la superficie, pronta a
riemergere appena avesse abbassato la guardia di nuovo.
Giorgio, era questo il nome dell’altro
ragazzo, aveva smesso di vomitare e si era in parte ripreso. Erano tutti e tre
sotto shock, ma pian piano ricominciavano a produrre pensieri coerenti.
La priorità era andarsene da quel
tetto prima che la porta delle scale interne cedesse: la forza che gli zombie
stavano mettendo nel tentativo di abbatterla era incredibile, e se avessero
continuato di quel passo ce l’avrebbero fatta molto presto.
La ragazza, aveva scoperto, si
chiamava Marta. Non l’aveva mai notata prima, durante le lezioni
all’università, eppure adesso gli era quasi famigliare. Probabilmente perché se
non fosse stato per lei sarebbe finito come tutti gli altri, a camminare per
l’eternità in quell’aula inseguendo l’odore del sangue.
«Abbiamo solo le scale antincendio.
Sono la nostra unica alternativa» annunciò finalmente Marta quando ebbero
finito di esaminare il perimetro esterno dell’edificio.
«È un salto di almeno due metri!»
replicò Giorgio, ancora pallido ma già più reattivo di prima.
«Il lucchetto alla porta terrà poco.
Dietro quel rettangolo di lamiera ci sono almeno una dozzina di zombie, tutti
affamati e tutti probabilmente già attratti dalla nostra presenza. Non abbiamo
scelta» concluse Leonardo in tono solenne, mentre la telefonata con Valentina,
avvenuta appena quarantacinque minuti prima, seguitava a risuonargli nella
mente come una canzone appena ascoltata.
I graffi e i colpi alla porta si erano
fatti in effetti sempre più insistenti. Tutto era troppo assurdamente irreale
perché potessero prenderlo sul serio, eppure…
«L’avete sentito anche voi?» domandò
Giorgio con un filo di voce, il viso nuovamente bianco come un lenzuolo.
Un fragoroso tintinnio di vetri
infranti che cadevano sull’asfalto. E scarpe da ginnastica che li facevano
scricchiolare, per poi lanciarsi in una folle corsa.
Leonardo e Marta si affrettarono ad
affacciarsi dal bordo del tetto. Un ragazzo aveva fracassato una finestra al
pianterreno, diversi metri sotto di loro, era saltato fuori sul vialetto che
passava tra il giardino e la mensa e si era messo a correre come uno
scalmanato, in direzione della strada.
Una nuvola di morti comparve
nell’inquadratura dietro di lui, seguendolo dalla stessa finestra che aveva
rotto, mentre altri gruppi di zombie si stringevano dall’esterno per
imbottigliarlo.
Leonardo capì quasi subito che quel
tentativo di fuga era destinato a infrangersi contro uno scoglio fin troppo
alto, ma nonostante tutto continuò a sperare che ce la potesse fare.
Sperò con tutte le proprie forze.
Anche quando la via d’uscita fu chiusa dai morti e il ragazzo si vide costretto
a tornare indietro. Anche quando uno zombie gli afferrò la caviglia e lo fece
inciampare, dritto disteso a terra. Anche quando arrivò il primo morso, rapido
e cocente sulla coscia sinistra, che oltre a levargli un consistente lembo di
carne e di muscolo gli strappò anche un urlo lacerante di dolore.
Ma poi arrivarono tutti gli altri
morti, ospiti non invitati al banchetto, e l’assalto fu così tremendamente
macabro che Giorgio si allontanò ancora una volta e riprese a vomitare in un
angolo, sebbene nel suo stomaco, da buttare fuori, non dovesse essere rimasto
ormai più nulla.
«Sono distratti» commentò Leonardo con
fare assente, rendendosi conto solo superficialmente del significato delle
parole che stava per pronunciare. «Potremmo approfittarne. Restare quassù è da escludere.»
«Come faremo a farci largo fra tutti
quegli zombie? Sono troppi… Come usciremo in strada?» saltò su Giorgio, fuori
di sé per il terrore.
«E poi dove andremo? La città è
pericolosa. Dovremmo trovare un rifugio in cui nasconderci» gli fece notare
Marta.
Purtroppo aveva ragione. L’unica cosa
che avrebbe voluto fare era scendere da quel tetto e correre verso la stazione,
seguire i binari del treno e tornare a piedi fino a Vicenza, correndo se necessario.
Ma la ragazza aveva dannatamente ragione. La città era troppo pericolosa per
camminare in strada come se niente fosse. Non c’era da andare troppo per il
sottile: una città grande come Padova poteva significare soltanto una marea di
morti in ogni direzione.
Erano schiacciati dai corpi, senza via
d’uscita, e la sola speranza di sopravvivere era trovare un posto sicuro e
difendibile e stabilirsi lì in attesa di trovare una soluzione.
Ma Valentina?
Non poteva lasciare la sua ragazza a
Vicenza, da sola ad aspettarlo con gli zombie fuori dalla porta. Non poteva
correre il rischio che le succedesse qualcosa. Sentiva che era ancora viva, che
stava bene e che si era nascosta nei bagni. Sapeva che lo stava aspettando. Erano
solo trenta, trentacinque chilometri. Poteva arrivare da lei. Poteva portarla
via, poteva salvarla.
«Dobbiamo muoverci, prima che perdano
interesse per quel ragazzo» sussurrò in tono neutro, quasi che fosse distante
mille miglia da quel tetto bagnato dal sole. Altri zombie si stavano radunando
attorno alla preda appena catturata, spostandosi dagli edifici circostanti.
Quanto in fretta era capitato tutto questo? Possibile che in poco più di un
paio d’ore un’intera città fosse stata massacrata senza che loro se ne
rendessero nemmeno conto?
«Hai sentito quello che ho detto?»
ribatté Marta, incredula. «Ci serve un piano! Non possiamo semplicemente andare
giù e correre senza meta, o faremo la stessa fine di quel povero disgraziato!»
«Non ho intenzione di restare quassù e
aspettare di essere mangiato!» berciò Leonardo in tutta risposta, mentre
Giorgio vomitava per la centesima volta a pochi passi da loro.
Fu in quel momento che udirono i
ronzii bassi degli elicotteri. Dapprima fu un vago mormorio lontano, ma lentamente
crebbe d’intensità, trasformandosi in un fragore insopportabile.
Uno stormo di velivoli militari
dell’Esercito italiano in formazione sorvolò il tetto sul quale si trovavano e
andò ad atterrare sulla strada poco più in là, su alcuni spiazzi vuoti in mezzo
agli ingorghi generati dalle automobili ferme.
Gli zombie, attratti dal forte rumore,
stavano già convergendo in quella direzione.
Gli sportelli degli elicotteri si
aprirono prima ancora che le pale avessero iniziato a rallentare e ben presto
l’inquietante mix di urla e tamponamenti di quella tiepida mattinata autunnale
fu cancellato da un frastornante sovrapporsi di scariche di mitragliatrice e
colpi di mortaio.
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