Era la loro occasione. Anzi, la loro unica occasione, molto probabilmente.
Leonardo si affacciò per primo sul
ripiano più alto delle scale antincendio esterne. Erano scale di metallo
verniciate di rosso, che dall’uscita d’emergenza dell’ultimo piano portavano
fino a uno spiazzo libero sul retro dell’edificio, in prossimità di un
minuscolo giardinetto che si ricollegava poi alla strada per mezzo di un
angusto viale pavimentato.
La situazione sembrava essere
tranquilla. Non c’erano zombie nei paraggi, per il momento. La battaglia che i
militari avevano ingaggiato in strada doveva averli attirati quasi tutti.
Era un bel volo dal tetto alla
piattaforma delle scale, ma con un po’ di fortuna sarebbero atterrati illesi.
C’era solo da sperare che nessuno di loro si ferisse nel tentativo, altrimenti
gli altri sarebbero stati costretti a lasciarlo indietro per salvarsi la pelle.
«Non voglio venire giù. Voglio solo
svegliarmi. Tornare a domenica scorsa, quando ero a casa con i miei genitori e
andava tutto bene!» sibilò Giorgio con fare irrequieto.
Marta lo prese per le spalle e lo
scosse con vigore. «Stammi bene a sentire: adesso smettila di pensare a tutte
queste cazzate e fai quello che ti dico io, okay?» Il suo tono di voce lasciava
intendere che ci fosse una specie di minaccia velata nelle sue parole. Il
ragazzo inghiottì a vuoto e annuì.
«Vado» annunciò Leonardo, poi prese un
bel respiro e si gettò oltre il bordo del tetto.
Per un istante si immaginò spiaccicato
sull’asfalto ai piedi del complesso didattico, e vide Valentina chiusa nel
bagno del liceo che piangeva mentre un fiume di zombie grattava contro le porte
chiuse e reclamava a gran voce il suo sangue e le sue lacrime.
Atterrò dritto in piedi e piegò
d’istinto le ginocchia per ammortizzare il colpo. Ciononostante percepì una
rapida frustata di dolore nei muscoli delle gambe, che si diradò in un attimo
senza lasciare traccia.
Giorgio e Marta saltarono sulla
piattaforma una manciata di secondi più tardi e Leonardo aiutò la ragazza a non
perdere l’equilibrio. Giorgio produsse una smorfia di dolore appena arrivò a
destinazione, ma si affrettò a nasconderla.
«Andiamo» ordinò Leonardo lanciandosi
giù per le scale a gran velocità, mentre il respiro gli si accorciava e le
gambe gli pulsavano per lo sforzo.
«Non abbiamo niente con cui
difenderci. Ci vedranno subito e ci accerchieranno. Che cosa faremo,
attraverseremo la strada di corsa come se stessimo per perdere il treno?» lo
rimbeccò Marta quando furono quasi arrivati in fondo.
Leonardo non rispose. Saltò via gli
ultimi quattro gradini e finì sullo spiazzo asfaltato di fianco al giardino.
Scoccò un’occhiata d’intesa ai due compagni e si portò l’indice alla bocca per
far loro segno di stare in silenzio. Quindi partì di corsa lungo il vialetto
pavimentato che portava verso la strada, nella direzione dalla quale
provenivano gli spari e i ronzii attutiti dei motori degli elicotteri atterrati
fra le automobili.
C’erano degli zombie nel cortile. Una
ragazza con un braccio spezzato e un grosso morso insanguinato sulla coscia e
un paio di uomini con le espressioni vacue e i denti giallastri pronti ad affondare
nella carne. Ciondolanti, avanzavano anche loro in direzione degli spari, ma
quasi istintivamente ruotarono le teste per guardare Leonardo, Marta e Giorgio
e cominciarono a stringersi verso di loro.
«Li vedi?» domandò Marta ansimante,
senza rallentare.
«Siamo più veloci. Possiamo seminarli»
ribatté Leonardo con sicurezza.
«Finché sono tre, sì. Ma dopo?»
Poiché non aveva una risposta da darle
preferì tacere. Era la scelta giusta mettere a repentaglio la propria vita
così, senza nemmeno pensarci, trascurando la possibilità di cercarsi un posto
sicuro e temporeggiare?
Ma se si fossero chiusi da qualche
parte sarebbe stata la fine. C’erano troppi morti in giro, troppi zombie, e se
avessero cercato un rifugio non avrebbero più avuto l’occasione di uscire e
sarebbero rimasti là ad aspettare l’inevitabile arrivo di altri cadaveri con le
bocche spalancate.
Avevano bisogno di qualcosa con cui
proteggersi. Un’arma, anche solo un pezzo di legno per aprirsi la strada e
tenerli a bada. Meglio ancora, una pistola.
L’idea lo fece rabbrividire. Una
pistola, già. Poche ore prima pensava al treno in ritardo, agli esami di
dicembre e all’ora di pranzo, e adesso stava disperatamente fuggendo da un’orda
di persone morte che cercavano di acciuffarlo e divorarlo.
Tutto questo non aveva assolutamente
senso. Come si faceva a rimanere lucidi, a non impazzire?
Ma correre sì che aveva senso, invece.
E anche cercare di arrivare da Valentina. Doveva raggiungerla, stare con lei.
Anche solo per morire accanto al suo viso. Non poteva sopportare l’idea di esserle
così lontano in un momento simile, l’idea di non poterla mai più rivedere,
nemmeno per una volta soltanto…
Uscirono dal viale pavimentato
dell’università e finirono in strada.
«Attento!» gridò Marta dietro di lui,
e Leonardo si scansò appena in tempo per evitare un morso al braccio sinistro.
Lo zombie che gli stava di fianco,
irritato, ritirò le fauci insanguinate e allungò le braccia per afferrarlo. Leonardo
indietreggiò di un passo e si spostò di lato, distendendo la gamba e facendo inciampare
il cadavere. Lo zombie finì riverso sull’asfalto, ma subito si girò sulla
schiena e tentò di rialzarsi.
«Via!» tuonò Leonardo.
I tre ripresero a correre.
Attraversarono un parcheggio, evitando quattro zombie che giravano attorno alle
auto per raggiungerli. Gli spari erano alla loro sinistra. Duecento metri,
forse un po’ di più.
«Andiamo dai soldati!» bofonchiò
Giorgio ormai senza fiato.
«Ci scambieranno per zombie!» lo
bloccò Leonardo. «Imbocchiamo quella via e andiamo avanti in quella direzione.
Verso la stazione dei treni.»
«Sarà pieno di morti laggiù, non ci
possiamo andare!» protestò Marta, rallentando il passo e fermandosi dopo poco.
Leonardo si immobilizzò e si voltò a
guardarla.
«Ha ragione» confermò Giorgio, piegato
sulle ginocchia nel vano tentativo di far entrare più aria possibile nei
polmoni. «Troppi morti. La stazione è sempre affollata. Non possiamo.»
Leonardo si prese un paio di istanti
per riflettere. I due compagni non avevano torto. Malgrado tutto, però, lui
aveva bisogno di tornare a Vicenza. Doveva farlo in fretta, perché a Vicenza
c’era la sua Valentina e doveva andare da lei a proteggerla. Non poteva
permettersi un solo attimo di esitazione. Seguire i binari ferroviari sarebbe
stato più sicuro che camminare per strada.
«Io devo andare a Vicenza» disse
finalmente, risoluto. «La mia ragazza è là che mi aspetta. Le ho promesso che
sarei andato a prenderla.»
«Non manterrai la promessa facendoti
ammazzare!» berciò Marta, sull’orlo di una crisi di pianto.
«Ci devo almeno provare…»
«Oh mio Dio» farfugliò Giorgio
indicando un punto indefinito davanti a sé.
Un centinaio di metri più avanti, un
manipolo di soldati armati di mitragliatrice stava mettendo in piedi una
barricata improvvisata con degli spessi pannelli antiproiettile. Un fiume di
zombie procedeva verso di loro dalla parte opposta della strada. I militari
finirono di installare le protezioni e presero posizione dietro di esse,
spianando i mitragliatori e aprendo il fuoco.
L’aria fu triturata dai colpi di
proiettile, poi sminuzzata con un paio di granate e infine spazzata via da
un’altra serie di scariche di mitra.
Erano stati rapidi, pronti, efficaci.
La nuvola di fumo che aveva avvolto
gli zombie si diradò con calma, rivelando un massacro di sangue e corpi
maciullati che si contorcevano e strisciavano sull’asfalto, ancora spinti da
una forza inspiegabile che faceva loro digrignare i denti.
Ma dietro c’erano altri zombie. Altri
morti, attratti dal frastuono e, forse, dall’odore del sangue, che nonostante
gli spari e gli scoppi avanzarono fino alle protezioni e le investirono con una
potenza tale da abbattere le barriere di fortuna e assalire i soldati.
Videro denti che affondavano, unghie
che tranciavano, mascelle che masticavano.
«Sono dietro di noi!» strillò Giorgio,
e Leonardo e Marta si girarono e li videro. Un altro gruppo di zombie, a pochi
passi dalla loro posizione, che puntavano su di loro e venivano avanti barcollando,
apparentemente determinati a procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti al
più presto.
«Di là» indicò Leonardo, correndo via
un’altra volta con i due compagni di fuga al seguito, mentre gli spari alle
loro spalle si smorzavano e i lamenti dei morti crescevano d’intensità nelle
loro orecchie.
«Ehi, ci sono dei civili!» constatò
all’improvviso una voce, comparendo dal nulla come se emergesse da un pozzo di
tenebre rafferme.
Una rapida scarica di colpi perforò
loro i timpani. Leonardo si volse e passò in rassegna i corpi degli zombie che
un attimo prima li inseguivano, ora distesi a terra in una pozza di sangue con
le teste sfondate.
Cinque soldati dell’Esercito italiano
si piazzarono di fronte ai tre ragazzi e li presero di mira con i fucili.
«Siete stati morsi, ragazzi?»
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