Le tre porte dell’aula D del complesso didattico erano ormai ostruite
dai cadaveri e dal sangue. Leonardo osservava con orrore le persone chine sui
corpi a divorarli, credendo – e sperando
– di trovarsi nel bel mezzo dell’incubo più vivido e spaventoso della sua vita.
Ma era sveglio, e le urla che gli
squassavano i timpani ne erano la prova più dolorosa.
I ragazzi cercavano di scappare in
ogni direzione, ma i morti continuavano ad avere la meglio e a scaraventarsi su
di loro. Si lanciavano con le bocche spalancate, li agguantavano e li mordevano
con forza, stritolandoli, spesso in più di uno alla volta. Lo spettacolo era a
dir poco raccapricciante.
Che cos’erano? Da dove venivano, e
cosa stavano facendo? Una folla di domande gli si accalcava in testa con
violenza, pretendendo di ricevere risposte che potessero avere anche solo la
parvenza di essere sensate.
Ma non aveva tempo per questo. Doveva ricacciarle indietro e pensare, o non ne sarebbe uscito.
Ma non aveva tempo per questo. Doveva ricacciarle indietro e pensare, o non ne sarebbe uscito.
Valentina…
Gli venne in mente all’improvviso,
come il lampo di una folgore in pieno giorno. La sua ragazza era a scuola, in
quel momento. A Vicenza, in classe, e forse anche laggiù stava capitando
qualcosa del genere in quegli stessi minuti. Bisognava avvertirla prima che le
accadesse qualcosa di orribile.
Prese il cellulare con mano tremante e
faticosamente compose il numero a memoria. Lo ricontrollò un paio di volte,
anche se il display gli aveva già confermato il nome pescandolo dalla rubrica,
sollevando a tratti gli occhi per vedere che nessuna di quelle… cose si fosse avvicinata abbastanza da
saltargli addosso. C’erano ancora molti studenti terrorizzati a fargli da
scudo. Aveva un minuto, forse un minuto e mezzo.
Partì la chiamata. Suonava a vuoto.
Ti
prego amore, rispondi. Rispondi subito!
«Leonardo?» sentì dall’altra parte, il
tono di voce leggermente seccato. «Sono dovuta uscire dalla classe, cosa vuoi?»
Il nodo che gli stringeva la gola
cominciò piano piano ad allentarsi. Per un attimo esitò. Che cosa le doveva
dire? Francamente, non ci aveva pensato. Era troppo preso dall’idea di avvertirla,
di dirle di nascondersi da qualche parte, ma se a Vicenza non stava succedendo
niente per quale motivo avrebbe dovuto ascoltarlo?
«Cos’è tutto quel baccano? Ci sei?» lo
riscosse, ancora più infastidita.
«Ti amo!» gridò, sentendo che
finalmente le corde vocali si erano sbloccate.
«Anch’io, ma…»
«Ascoltami bene, perché non ho molto
tempo. Nasconditi subito, hai capito? Nasconditi, e fallo in fretta! Va’ in
bagno e chiudi a chiave tutte le porte, chiudile bene e sta’ nascosta! Non
uscire per nessuna ragione, mi hai capito bene?» sbraitò, sull’orlo del pianto.
Forse era l’ultima volta che sentiva la sua voce. L’ultima volta che le
parlava.
Stava accadendo tutto troppo in
fretta, non riusciva a riprendere il controllo dei secondi che scivolavano
sulla pelle del suo viso, delle urla che lo riempivano di brividi, della paura
alimentata dagli schizzi di sangue cremisi sulle pareti intonacate di bianco e
sui fogli candidi dei libri e degli appunti di Chimica Organica.
«Ma che cosa dici? Stai…»
«Ti prego!» strillò, con le lacrime
che questa volta affioravano copiosamente e gli annegavano gli occhi.
«Ascoltami, fa’ come ti ho detto! Verrò a prenderti, te lo prometto. Verrò a
prenderti, ma tu devi chiudere a chiave e non devi uscire per nessuna ragione
al mondo, finché non sarò lì!»
«Amore, così mi spav…»
La linea cadde. Fu come se un immenso
paio di forbici avesse troncato di netto la conversazione, con un unico taglio
secco. Una voce femminile si sovrappose al silenzio e gli rimbombò spettrale
nell’orecchio: «È stata attivata la
segnalazione di emergenza. Preghiamo i cittadini di raggiungere al più presto
un luogo sicuro. È stata attivata la segnalazione di emergenza…»
Buttò giù e si lasciò affondare il
telefonino nella tasca dei jeans.
Doveva fare qualcosa alla svelta.
Togliersi di lì, allontanarsi dall’aula. Sì, ma come?
La ragazza e il ragazzo al suo fianco
lo stavano fissando. La ragazza era di bassa statura, gli occhi verdi e i
capelli biondi, un paio di occhiali con la montatura spessa sul viso. Il
ragazzo aveva i capelli castano chiaro arruffati, gli occhi azzurri e la paura
stampata in faccia.
Furono questi gli unici brandelli del
loro aspetto che riuscì a cogliere in quei pochi secondi. Poi vide la ragazza
fiondarsi con determinazione verso le finestre alla loro sinistra e il ragazzo
seguirla.
Nessun commento:
Posta un commento