lunedì 21 settembre 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 31

«E adesso, signore?» bisbigliò uno degli ufficiali alle sue spalle. Ma il comandante Smith non lo sentì. I suoi uomini erano agitati, si spostavano da un piede all’altro in attesa del suo segnale. Lui, però, non riusciva ad aprire bocca. Non riusciva più a parlare. Non sapeva che cosa dire, ma tutti quei soldati dipendevano da lui. Dalle parole che sarebbero uscite attraverso le sue labbra nei prossimi istanti.
Un grosso blocco di cemento e asfalto lacerato dall’esplosione si staccò dal mezzo metro di ponte rimasto prodigiosamente appiccicato alla riva orientale del fiume. Il frammento di pietra precipitò al rallentatore nella mente di Smith, compiendo nell’aria movimenti di pochi centimetri alla volta. Finché alla fine non scomparve, rigettando nell’aria, come unico segnale del proprio arrivo, il rumore del tonfo prodotto nel momento in cui raggiunse il pelo dell’acqua e vi si immerse.
«Fuoco!» aveva appena urlato un ribelle dall’altra parte del fiume, e la sua voce alterata da un megafono investì i soldati dell’Esercito degli Stati Uniti come un’ondata di piena.
Ma ancora non erano incominciati gli spari. Il nuvolone di fumo nero innalzatosi dall’esplosione del ponte era stato disperso, spazzato via dal vento. Le urla degli uomini precipitati nel fiume assieme ai resti del viadotto si erano spente in fretta. Adesso rimanevano il vuoto e il silenzio a fare da cornice a quello scenario spietato, alla fotografia scattata oltre quel tratto di barricata infranta. I militari americani, con le armi impugnate e i volti scolpiti nella carne dalle mani del terrore, si stringevano in un gruppo compatto e agitato, circondati da quella moltitudine di maschere variopinte che li tenevano sotto tiro. I carri armati, immobili come moderne statue totemiche di un’era macchiata di sangue, lasciavano presagire con la loro sola presenza quello che sarebbe successo di lì a poco.
«Signore, che cosa dobbiamo fare?» insistette l’ufficiale alle spalle del comandante Smith, la voce sempre più fievole e incrinata.
Il capo dei ribelli aveva già berciato il suo ordine, quel «Fuoco!» che aveva spinto i soldati intrappolati sul suolo della città di Eglon a richiudersi in un drappello più omogeneo. Ma erano poche decine di uomini isolati e spaventati, messi di fronte a una moltitudine di bestie senza volto e senza umanità che li avrebbero macellati alla stregua di sanguinolenti pezzi di carne disossata. Nessuno aveva ancora premuto il grilletto, ma era questione di qualche istante prima che l’esecuzione spruzzasse di sangue la corrente limpida del fiume Arkansas.
Esitavano, e Smith non riusciva a capire perché. I suoi uomini stavano immobili, le mitragliatrici spianate, pronti a morire per quella pace e quella libertà che speravano di portare alla città di Eglon, e che invece era stata affondata con le macerie del ponte distrutto.
Ma, soprattutto, non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto. Pareva che filasse tutto per il verso giusto. Il Commando Alfa era penetrato in città e aveva fatto saltare dall’interno un tratto della barricata. Il ponte era preso, il passaggio si presentava libero, e non rimaneva che trasferire le truppe da un versante all’altro e intraprendere le prime fasi di una lenta ma vittoriosa riconquista.
Che cosa era andato storto, maledizione?
«Signore, attendiamo ordini. Dobbiamo fare qualcosa… ritirarci, perlomeno» perseverò l’ufficiale dietro di lui, che ancora non aveva udito alcuna risposta da parte del superiore.
«Fuoco!», aveva urlato quel ribelle con il megafono. E i fucili non cantavano, le pistole non gridavano, gli uomini non morivano. Che cosa stava capitando?
Un fischio acuto e penetrante, sibilato da immense labbra screpolate, si impadronì dell’aria e del silenzio con un abile colpo di mano, incenerendo ogni incertezza e trasformando l’attesa e l’esitazione nella prospettiva di un bagno di morte.
Il cielo plumbeo, nuvoloso, che scaricava la sua pioggia debole e irritante sulla città di Eglon, fu solcato da un’infinità di profonde artigliate scure. E solo quando i mortai lanciarono il secondo attacco il comandante Smith si riprese e ordinò bruscamente la ritirata.

LE ANIME DI EGLON
PRIMA STAGIONE
EPISODIO 31
REPRESSIONE

I soldati speciali del Commando Alfa scesero le scalette della torre di guardia a uno a uno, con calma, dopo aver gettato disotto le armi e aver dichiarato la propria resa. I venti uomini che li attendevano ai piedi della piccola costruzione di legno, armati fino ai denti, i visi coperti da maschere impenetrabili, li accolsero senza proferire parola e li ammanettarono.
Zero Uno, mentre i polsi gli venivano legati, disse semplicemente: «Voglio parlare con il vostro capogruppo. Ho una proposta per lui.»
«Zitto» gli intimò uno dei ribelli, in tono blando, e strinse le manette più forte prima di strattonarlo verso i compagni e costringerlo a mettersi in fila per raggiungere la strada.
I sibili dei mortai invasero l’aria tutto d’un tratto, senza alcun preavviso. Furono lunghi, quasi interminabili, e Zero Uno perse subito il conto dei secondi. Poi, a un certo punto, quando pareva che quei fischi dovessero andare avanti fino all’ultimo tramonto del mondo, seguirono le esplosioni in contemporanea all’esterno, che sommandosi originarono un fragore incredibilmente potente.
I soldati speciali del Commando Alfa si scambiarono sguardi rabbuiati, ma i rivoluzionari ripresero a spingerli con indifferenza.
La strada che stavano percorrendo non andava verso la breccia aperta sulla linea delle barricate, in corrispondenza del ponte appena fatto saltare. Si inoltrava invece in mezzo agli edifici, proseguendo in una direzione sconosciuta. Zero Uno inghiottì a vuoto e sperò che ci fosse ancora qualche possibilità di salvezza per loro. Erano in sette, e nella scorta di uomini mascherati che li accompagnava aveva contato ventidue elementi. L’inferiorità numerica era schiacciante, dal punto di vista tattico. Non potevano sperare di sottrarre le armi ai loro custodi e farli fuori, perché gli altri due terzi del gruppo non sarebbero certo rimasti impassibili a guardare.
Incrociò furtivamente lo sguardo di Zero Quattro e lo rassicurò con un cenno del capo. Ma Zero Quattro era cupo, affranto, riabbassò la testa e si mostrò sconfitto. Aveva a casa una bambina di due anni e una moglie di ventisette, il buon Zero Quattro, e adesso stava probabilmente pensando a loro. Non aveva la testa lì, a Eglon. Non più, ormai. Per questo motivo non poteva contare su di lui.
Ma, a ben pensarci, anche gli altri avevano i loro pensieri per la testa, i loro cari dei quali preoccuparsi. Zero Due aveva i suoi gemelli di undici anni, anche se era divorziato. Zero Tre e Zero Cinque avevano le loro famiglie altrettanto numerose. Zero Sei stava provando ad avere figli, e Zero Sette aveva la fidanzata che lo aspettava sulla porta di casa con le lacrime agli occhi per riabbracciarlo. Lui, dunque, era l’unico a non avere nessuno a cui pensare. E forse questo poteva rivelarsi un vantaggio, nelle prossime ore.
Magari proprio da questo sarebbe dipesa la loro remota possibilità di sopravvivenza.

Maschera Blu sondò con attenzione gli sguardi impauriti dei soldati statunitensi schierati alla bell’e meglio di fronte a lui. Davano le spalle alla riva del fiume, ed erano circondati dai fucili dei suoi ribelli. Al di là del corso d’acqua, attraverso la breccia aperta nella barricata, intravedeva la fuga scomposta e disordinata dell’Esercito. I mortai avevano mietuto poche vittime, conciato male un pugno di feriti. Ma lo scopo dell’attacco non era certo quello di decimare gli avversari: era sufficiente metterli in rotta, farli retrocedere verso l’accampamento e levarseli dai coglioni per qualche altro giorno. Per quanto lo riguardava, potevano anche sopravvivere tutti quanti, bastava soltanto che non ritentassero a breve di assalire le difese della città.
Sollevò il megafono lentamente e se lo avvicinò all’apertura sulla maschera in corrispondenza della bocca. «Il grande, potente, invincibile Esercito degli Stati Uniti d’America. Non vi siete accorti delle cariche piazzate attorno ai pilastri che sorreggevano il ponte. Non ve ne siete preoccupati, ed ecco il risultato. Siete entrati in città, e siete soli. Benvenuti a Eglon.»
I ribelli stavano immobili come file di grottesche statue colorate. Pareva quasi che non respirassero nemmeno. I militari li osservavano con crescente e manifesto terrore.
«Il protocollo prevede la vostra immediata esecuzione. Dovremmo fucilarvi, per essere pienamente corretti verso di esso. Ma dipende da me, adesso, decidere cosa ne sarà di voi. E penso che uomini forti, valorosi e ben addestrati non vadano sprecati tanto alla leggera.»
Le sopracciglia inarcate, le fronti aggrottate, tutti i soldati statunitensi ascoltavano avidamente le parole di Maschera Blu, leggendo in esse l’ultimo sprazzo di speranza delle loro esistenze segnate.
«Non delegittimerò il protocollo. Non ho la minima intenzione di fare una cosa del genere. Esso afferma che è giusto preservare delle vite, se rappresentano un qualche valore. A patto che quelle giurino cieca fedeltà alla causa. Sarete messi alla prova, soldati. Costantemente, giorno dopo giorno, finché non mi avrete dimostrato la vostra inattaccabile fede. Quando mi sarò reso conto di poter avere fiducia in voi, sarete ricompensati. Se invece tradirete questa fiducia, soffrirete come bestie.»
I soldati erano scuri in volto, concentrati, attenti alle parole di quell’uomo che stava chiedendo loro di salvarsi. Loro volevano essere salvati. Ma non era per nulla scontato che il prezzo da pagare fosse abbordabile.
Due ribelli si avvicinarono a Maschera Blu e ascoltarono un ordine quasi silenzioso. Sparirono tra le linee armate e ricomparvero subito dopo con un lungo rotolo di stoffa. Di fronte agli sguardi confusi e meravigliati dei soldati fu distesa un’enorme bandiera a stelle e strisce, la bandiera degli Stati Uniti d’America.
«Volete vivere?» domandò loro Maschera Blu, riprendendo a parlare nel megafono. Aspettò qualche attimo, come per dare il tempo ai militari di pensarci seriamente. «Se la risposta è sì, avvicinatevi alla bandiera uno per volta e sputateci sopra.»
I militari, spiazzati, si guardarono l’un l’altro e si interrogarono con gli sguardi, producendo espressioni sbalordite e sconvolte. Il ribelle con il megafono, dietro la sua maschera, sogghignò freddamente.
«Sputate sul simbolo della vostra nazione, su questa bandiera alla quale ogni giorno, fino a oggi, avete presentato il vostro rispettoso saluto. Sputateci sopra e dimenticate di aver giurato di proteggerla a costo della vita. Fatelo, e capirò se davvero desiderate vivere.»
Ancora una volta i soldati si consultarono rapidamente, guardandosi in faccia. Bastò una sola occhiata per capire chi avrebbe abbandonato lo schieramento e chi no. Maschera Blu assaporò quel momento con impensabile piacere, pregustando un assaggio di ciò che di lì a poco tempo sarebbe successo a Eglon.
Finalmente, un soldato lasciò cadere sull’asfalto la propria mitragliatrice e si avvicinò alla bandiera, seppure titubante. Gli altri lo guardarono sbigottiti, quasi con orrore, mentre si fermava di fronte al vasto rettangolo di stoffa colorata e ci sputava sopra. Tirò su gli occhi per cercare un segno di benevolenza da parte del capo dei ribelli, e Maschera Blu annuì debolmente e fece cenno ai suoi uomini di andarlo a prendere.
A poco a poco, altri soldati iniziarono ad avvicinarsi alla bandiera americana e a sputarci sopra. Uno, due, tre, quattro… I primi lo fecero con riluttanza, gli ultimi quasi provandoci gusto. L’undicesimo, addirittura, gettò a terra le armi e si abbassò la patta dei pantaloni mimetici, liberando la vescica sulle stelle degli Stati Uniti. Maschera Blu scrutò bene il volto di quest’ultimo e lo registrò, imprimendoselo a fondo nella memoria.
In tutto, sedici soldati avevano accettato di rinnegare la propria bandiera. Ne erano rimasti perciò altri trenta, più o meno, che non si erano mossi dalla loro posizione. Stavano ancora là, fermi con il fiume che scorreva alle spalle, incapaci di usare le armi che stringevano in pugno.
«E voialtri niente?» chiese cortesemente Maschera Blu, riferendosi a quelli che si erano rifiutati di seguire i suoi ordini. Attese cinque secondi, scandendoli nella propria testa con calma, quindi lanciò il comando finale con estrema noncuranza: «Fucilateli.»
Per alcuni secondi il silenzio di Eglon fu spaccato dai tuoni degli spari. Poi tornò a ricomporsi, come se i ribelli lo avessero incollato di nuovo assieme con un pezzetto di nastro adesivo. E i cadaveri sanguinolenti dei trenta soldati americani giustiziati furono serenamente fatti precipitare dalla riva del fiume nelle acque sottostanti.

Dalla cima di un vecchio palazzo disabitato, Jeff Turner osservava la ritirata scomposta dell’Esercito in compagnia di Frank e del vicesceriffo Steve Corall. Per un attimo aveva sperato che ce la stessero facendo. Anzi, l’aveva addirittura creduto. Ma poi, quando il ponte era saltato in aria, aveva capito subito il perché di quella manovra. Inizialmente si era domandato come mai i ribelli non attaccassero i soldati che liberavano il ponte dalle vecchie automobili sfasciate. La risposta era arrivata pochi minuti dopo, accompagnata da una colonna di fumo nero che per un attimo aveva oscurato persino i carri armati statunitensi.
Non c’era più alcuna possibilità di vedere altri militari all’interno del perimetro della città. Non abbastanza presto, perlomeno. Eccetto che per quei sedici disertori che avevano avuto fegato a sufficienza da sputare sulla propria bandiera.
Da lassù si vedeva tutto quanto, e questo poteva rivelarsi pericoloso, perché si trovavano in una posizione troppo scoperta. D’altro canto, però, i ribelli erano quasi tutti impegnati attorno a quell’unico foro aperto sulla barricata, perciò era inutile stare tanto a preoccuparsi. Nessuno li avrebbe notati, nessuno si sarebbe sognato di fare domande. C’erano già in ballo questioni in abbondanza, tutto sommato.
«L’operazione scatterà stanotte, allora» mormorò il vicesceriffo Corall, con il tono di voce di un uomo che parla abitudinariamente con se stesso.
«Proprio così. Vorrei poter dire che andrà tutto per il verso giusto, che il sindaco Green accetterà di collaborare… Ma temo che mentirei» confessò Jeff, la pioggia leggera che gli tamburellava sulla nuca e sulle spalle.
«Come pensi che andrà a finire?» s’informò il vicesceriffo, sorpreso.
«Goode vuole ammazzare Thomas Green. Non si fermerà di fronte alle nostre proteste, né tantomeno davanti a quelle del figlio di Green. È convinto che farlo fuori servirà a far capire ai ribelli che non scherziamo, e che nessuno di loro è completamente al sicuro. In realtà, ammazzando Green non faremo altro che obbligare quei bastardi a trovarne uno altrettanto pazzo per sostituirlo. Sto pensando a Victor Johnson, ma ce ne sono anche altri.»
«Una bella porcheria sott’olio» commentò asciutto Frank, lasciando Steve Corall lievemente spiazzato. «Svuoti una lattina e te ne viene in mano un’altra. È così che si diventa alcolizzati, boss. Non mi piace. Non mi piace proprio un emerito cazzo.»
«Lo so, Frank. Non piace neanche a me, ma è Goode, qui, che comanda» ammise Jeff, sogguardando con la coda dell’occhio il vicesceriffo Corall che se ne stava in silenzio.
«Vorrei che ci si ricordasse dei ragazzi scomparsi. Sono decine e decine, e nessuno sa che fine abbiano fatto. Le famiglie sono in ansia per i loro figli. Io sono preoccupato per la mia, non so se sta bene, se è ancora viva, se mi sta aspettando. Dovrei cercarla, e non stare qui, ad aiutare un criminale che vuole organizzare un attentato al sindaco» bofonchiò il poliziotto, mostrandosi stanco e vulnerabile. Lui e i suoi uomini erano ormai al servizio di Joey Goode, ed era evidente che la cosa non gli piaceva, ma allo stesso tempo pareva non avere il coraggio di abbandonare Goode per andare a ricongiungersi con il gruppo di Patrick Wieler. Forse era una specie di questione d’onore, pensò Jeff Turner. Ad ogni modo, Steve aveva ragione: togliere di mezzo Thomas Green non avrebbe portato a nulla. Stavano solo sprecando tempo ed energie per inseguire l’ombra di uno scoiattolo ormai lontano. Era una caccia alla streghe nell’era dei computer, un progetto inutile, insomma.
«Ammazziamo a Goode quel rompipalle di Thomas Green e poi chiediamogli di concentrarsi su qualcosa di più concreto. Quando si accorgerà che l’intera operazione non sarà servita manco a stanare una marmotta dal buco, accetterà qualsiasi proposta» azzardò Frank, piuttosto sicuro di sé.
«A meno che non andiamo incontro a un misero fallimento. In questo caso, rischieremmo di perdere troppi uomini e troppe risorse per poter tentare qualcos’altro» rettificò Steve Corall con amarezza, e la loro attenzione fu attratta da un movimento inaspettato. I ribelli si erano rimessi in marcia, lasciando una guarnigione a difesa della breccia sulla barricata. Si stavano dirigendo verso Main Street, probabilmente in direzione del municipio.
«E adesso dove vanno?» borbottò Frank, sbuffando.
«A giustiziare gli infiltrati, probabilmente» ipotizzò Jeff, senza sapere di aver indovinato.

«Ascoltami molto bene, Daniel. Abbiamo una sola possibilità di successo, e dobbiamo sfruttarla al meglio. Okay?»
Il ragazzo annuì. Pareva seriamente intenzionato a dargli una mano, ma c’era sempre l’eventualità che si tirasse indietro all’ultimo. Prevedendo che si potesse verificare una cosa del genere, occorreva organizzare un piano di riserva e studiare una via d’uscita. Le armi e le munizioni erano molte, ma gli uomini no: quelli finivano in fretta, e per questo bisognava tenerli in considerazione. Non si potevano sprecare così alla leggera, perché poi sostituirli sarebbe stato difficile.
«Tuo padre starà fuori per poco tempo. Esce sempre a quell’ora per fumarsi una sigaretta. Avrai cinque minuti, non di più. Ti avvicinerai dalla piazza, disarmato. Lui ti lascerà passare, sarà contento di vederti, e le sue guardie non creeranno problemi.»
Il ragazzo lo seguiva. Era sveglio, o almeno dava l’impressione di esserlo. Joey sperava di potersi realmente fidare di lui, ma sapeva che non sarebbe stato facile nascondergli le sue vere intenzioni fino alla fine. Avrebbe cominciato a nutrire qualche dubbio durante l’operazione, quasi sicuramente. Poteva mandare a monte tutto quanto. C’era da sperare che non se ne rendesse conto, oppure che lo accettasse e si facesse da parte. Il sindaco Green andava eliminato, e perlomeno su questo, in tutta la città di Eglon, non ci pioveva.
«Il tuo compito è molto semplice, amico: dovrai cercare di farlo scendere verso la piazza, attirandolo lontano dal municipio in qualche modo. Mettiti a parlare con lui, digli che gli devi mostrare una cosa, non lo so… L’importante è il risultato, okay? Tu lo porti in mezzo alla piazza e noi interveniamo, risaliamo Main Street a bordo delle auto e lo carichiamo a forza in una delle vetture. Qualcuno dei poliziotti ci fornirà il fuoco di copertura necessario alla fuga. Dopodiché sarà fondamentale riuscire a sparire prima che si organizzino per venirci dietro. Tutto chiaro?»
Daniel annuì di nuovo, e la sua espressione convinta rassicurò almeno in parte Joey Goode sulla riuscita del piano.

Main Street era silenziosa. Non perché nessuno fosse sceso in strada ad assistere allo spettacolo, ma perché la gente se ne stava a osservare col fiato sospeso. Non era la prima volta che i rivoluzionari facevano una cosa del genere. E, se i calcoli della maggioranza della popolazione non erano errati, non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
Era appena passato mezzogiorno. La pioggerellina sottile e fastidiosa della mattina non se n’era ancora andata, ma gli abitanti di Eglon quasi non se ne accorgevano. L’acqua che bagnava i loro volti e inumidiva i loro capelli era un fattore marginale, in mezzo alla ressa taciturna che aveva intasato uno dei più grossi incroci di Main Street.
Un carro armato era stato posizionato in mezzo all’intersezione tra le due strade. Gli altri erano stati portati via, distribuiti nei punti nodali della città per arginare sul nascere eventuali rappresaglie con la sola forza dissuasiva del terrore. Maschera Blu stava in piedi sul mezzo corazzato, come sempre, con il suo fedele megafono nella mano destra e un grosso fucile da caccia nella sinistra. Non aveva ancora proferito parola, ma già tutti avevano intuito quello che stava per succedere. Era tempo di liberarsi dei soldati speciali americani che avevano forato la barricata.
I sette uomini del Commando Alfa vennero allineati davanti al carro armato, con le teste nascoste in cappucci neri legati al collo per mezzo di una corda. Indossavano ancora le loro divise, ma erano disarmati. Di fronte a loro furono fatti schierare i sedici soldati statunitensi che quella mattina avevano rinnegato la propria fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti, giurandola ai ribelli e accettando di divenire loro prigionieri.
«Cerchiamo di fare in fretta. Abbiamo altri affari da sbrigare, oggi, e l’attesa divora i minuti» sibilò Maschera Blu al megafono, e la folla di spettatori curiosi indietreggiò per lasciare spazio ai rivoluzionari incaricati di assassinare i militari.
Stan Payton era parecchio indietro, ma riusciva comunque a vedere bene quello che stavano facendo. Accanto a lui, gli agenti dell’FBI Gregory Donington e Brian Jones allungavano il collo per ottenere una visuale migliore. Più avanti, a loro insaputa, anche Jeff Turner e il vicesceriffo Corall si comportavano nella stessa maniera, cercando di mimetizzarsi nella massa e non attirare troppo l’attenzione.
«Devo parlare con il capogruppo!» sbraitò uno dei soldati speciali incappucciati. La sua voce, flebile, sembrava essere soffocata da un improvviso eccesso di saliva.
«Ti ascolto» rispose la voce naturale di Maschera Blu. Il ribelle saltò giù dal carro armato con un abile balzo e abbassò il megafono, avvicinandosi all’uomo che lo aveva interpellato.
«Sono il soldato speciale Zero Uno, guida del Commando Alfa. Ho bisogno di parlarti in privato. Da quello che mi pare di capire, ci troviamo in un posto un po’ affollato…»
«Non c’è nessun problema. Puoi parlarmi qui, se davvero devi dirmi qualcosa. Davanti all’intera popolazione» ribatté freddamente Maschera Blu, con slancio.
Il soldato speciale parve esitare. «Si tratta di un’informazione molto importante.»
«E hai intenzione di regalarmela o di stabilire un prezzo entro sera?» replicò il ribelle, assolutamente calmo. Il suo interlocutore fu colto da un tremito veloce.
«Sono disposto a fare uno scambio. Un’informazione per la liberazione dei miei compagni. Lascia uscire dalla città i miei sei uomini, e io ti darò quest’informazione. Dopo, puoi fare di me quello che desideri» propose titubante Zero Uno, visibilmente terrorizzato.
«Mi stai chiedendo di liberare sei uomini che sto per giustiziare, amico. Sei uomini che tutta Eglon aspetta di vedere appesi per il collo a un lampione. Dubito che l’informazione a tua disposizione possa valere tanto.»
L’atmosfera si fece di colpo più scura e raccolta. I secondi che trascorsero tra l’affermazione di Maschera Blu e la risposta di Zero Uno passarono come gli istanti che intercorrono fra il bagliore di un lampo lontano e il fragore del tuono che romba.
«Potresti essere costretto a cambiare idea» biascicò finalmente il soldato speciale, e il rivoluzionario scoppiò a ridere di gusto.
«Okay. Mettiamo per gioco che tu abbia un’informazione per me abbastanza preziosa da garantire la salvezza di sei uomini. Dimostramelo, e ti do la mia parola che i tuoi compagni sopravvivranno per vedere il sole ancora. Dammi la tua informazione qui, adesso, davanti a questa gente, e ti assicuro che il resto dei componenti del Commando Alfa sarà trasportato in una prigione all’interno della quale continueranno a vivere fino alla fine della Rivoluzione» mormorò Maschera Blu, e il suo tono era sincero.
«D’accordo» acconsentì Zero Uno, sospirando malinconico. D’altronde, non poteva fare altro che credergli. «Ho parlato con il Segretario della Difesa prima di partire per questa missione. Doveva darmi dei ragguagli sugli ultimi sviluppi del piano accettato dal Presidente, e mi ha parlato di un altro progetto in corso di approvazione.»
L’attenzione di tutti i presenti apparteneva a Zero Uno, adesso, e nemmeno un respiro guastò il sapore amaro e pungente della sua informazione.
«Il fascicolo che in questo momento si trova sulla scrivania del Presidente degli Stati Uniti è stato sottoscritto dalle maggiori potenze mondiali. Dopo un acceso dibattito avvenuto nel segreto delle mura dei palazzi del potere, l’Unione Europea ha chiesto agli Stati Uniti di prendere in considerazione l’idea di un attacco congiunto alla città di Eglon. Un attacco aereo, rapido e massiccio, che con un bombardamento mirato vada a radere al suolo l’intera area all’interno del perimetro contrassegnato dalle barricate. Il Segretario della Difesa sembra essere favorevole alla proposta. Manca soltanto la firma del Presidente, e poi Eglon sarà cancellata da tutte le mappe.»
«Non possono fare una cosa del genere!» sbraitò un uomo in mezzo alla folla, spaventato.
«Possono, e lo faranno, se tutte le parti alle quali spetta la decisione saranno d’accordo. L’ONU ha ammesso ufficialmente che la questione è quanto mai delicata, concedendo piena libertà di manovra agli Stati Uniti per sanare la situazione. Il mondo è preoccupato. Terrorizzato. Questa Rivoluzione sta portando scompiglio in tutti i Paesi del globo, e i poteri centrali non intendono tollerare la condizione di allarme nella quale si trovano già da settimane. Qualche bomba e tutto sarebbe risolto e archiviato. La mente collettiva sociale dimentica in fretta certe cose, potete starne certi.»
Tra la folla iniziarono a serpeggiare mormorii di profonda inquietudine, che crebbero velocemente d’intensità come un tornado scontratosi con un suo simile.
«I miei complimenti, Zero Uno: hai vinto, la tua informazione vale qualcosa» sentenziò Maschera Blu in un tono di voce assolutamente controllato.

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