venerdì 16 gennaio 2015

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 10 (Anteprima)

L’urlo che sgorgò dalla bocca di Giorgio fu raccapricciante. Congelò ogni altro rumore per alcuni secondi, frantumando il silenzio del tiepido pomeriggio autunnale e facendo accapponare la pelle.
La prima cosa alla quale pensò Leonardo fu che adesso, molto probabilmente, gli zombie di fronte al cancello del parco si sarebbero accorti di loro.
La seconda fu che Giorgio era spacciato.
Saltò sul sedile del passeggero, senza starci troppo a pensare, e valutò rapidamente la situazione.
Giorgio gridava fuori tutto il fiato che gli era rimasto nei polmoni. Una buona metà del suo braccio proteso verso la portiera era nascosta da una testa umana con i capelli neri impastati di sangue. Si sentiva lo scricchiolio dell’osso sgranocchiato da denti famelici, e in sottofondo si poteva percepire lo sciacquio sanguinolento di una lenta masticazione.
Leonardo impiegò pochi istanti a capire che cosa fosse accaduto. Era il ragazzino. Il ragazzino morto che avevano appena scaricato dai sedili posteriori della Panda. Si era rialzato mentre ripulivano il resto dell’abitacolo, e ora aveva morso Giorgio.
Marta si affacciò all’interno della vettura e cacciò un grido di terrore che si affrettò a soffocare.
«Merdaaa!» strillò Giorgio, afferrandosi la spalla sinistra con la mano destra e tirando più forte che poteva, nel vano tentativo di strappare il proprio braccio alla morsa spietata del ragazzino morto.
«Sta’ fermo!» ordinò Leonardo, e facendo leva con una mano sul sedile e l’altra sul cruscotto sferrò un calcio in avanti in direzione della testa con i capelli impastati di sangue, costringendo lo zombie a lasciar andare la presa.
Il ragazzino morto arretrò e Giorgio poté ritirare il braccio insanguinato.
Un ringhio sordo scaturì dalle labbra pallide e screpolate del cadavere del ragazzino. Aveva occhi vitrei, dolorosamente vuoti, e a guardarlo sembrava di vedere un animale ferito in procinto di attaccare.
Leonardo lanciò un’occhiata oltre il parabrezza. Come temeva, erano riusciti a catturare l’attenzione degli zombie davanti al parco. Ora avanzavano verso di loro, piano, con l’andatura incerta e ciondolante e le bocche spalancate in nere voragini infernali.
Sollevò la pistola, la puntò e pregò che funzionasse. Non c’era molto tempo. Dovevano muoversi, o nel giro di qualche minuto sarebbero stati sviscerati su quella strada da mani estranee. E il loro viaggio verso Vicenza sarebbe morto con loro.
Premette con forza il grilletto, fino a farsi sbiancare il polpastrello, ma il colpo non partì.
«Cazzo!»
«Sta tornando!» urlò dietro di lui Marta, indicando il ragazzino zombie che si riavvicinava a Giorgio schioccando i denti.
Leonardo fece pressione su una piccola levetta laterale della pistola, supponendo fosse quella della sicura, e riprovò a premere il grilletto puntando la bocca da fuoco sullo zombie.
Di nuovo, il click metallico del grilletto abbassato non fu seguito da alcuno sparo.
«Fanculo!» berciò Giorgio, e propinò un calcio poderoso al ragazzino morto, facendolo barcollare e ricadere indietro sull’asfalto. «Andiamo!»
Marta non se lo fece ripetere due volte. Salì sul sedile posteriore e richiuse la portiera, intanto che anche lo sportello di Giorgio tornava al proprio posto.
Leonardo rimase sospeso per qualche secondo, incapace di accettare l’inutilità del suo intervento. Ma poi Giorgio lo richiamò, e la sua mente rientrò nel presente, su quella maledetta strada infestata.
La chiave girò e la macchina si accese senza troppe proteste.
«Vai!» strillò Marta, e Giorgio accelerò facendo stridere le gomme sull’asfalto.
La Panda rossa scattò in avanti come una belva feroce, ululando e cozzando violentemente contro i primi zombie del gruppo in avvicinamento. Fu come passare sopra un campo di zucche mature: l’auto subì qualche scossone, ma la cosa peggiore fu il rumore. Rumore di ossa e tessuti umani sbriciolati sotto gli pneumatici, e per un momento la macchina slittò sul sangue come su una pozza di ghiaccio, scivolando in avanti fino al cancello in ferro battuto del parco pubblico.
Oltrepassarono l’ingresso e imboccarono un viale pavimentato, troppo stretto per essere percorso in auto. Il parabrezza era interamente ricoperto di schizzi di sangue, perciò Giorgio azionò i tergicristalli per ripulire la visuale.
Il parco era apparentemente sgombro, o almeno così sembrava a un primo sguardo. In ogni caso, non potevano proseguire con la Panda, e alcuni zombie che si erano lasciati indietro si stavano già riavvicinando di buona lena, pronti ad aggredirli. Con tutto il rumore che avevano fatto erano riusciti ad attirarne anche altri.
«Scendiamo. Si va avanti a piedi» annunciò Leonardo aprendo la portiera.
«Ce la fai?» domandò Marta rivolgendosi a Giorgio, che si teneva stretto il braccio sinistro nella mano destra.
«Sì. Ma fa un male cane. Sto perdendo molto sangue, non so per quanto riuscirò ad andare avanti…»
«Intanto ci dobbiamo allontanare da qui. Corriamo verso l’altra estremità del parco, e da lì puntiamo verso gli argini. Una volta arrivati là in cima avremo una visuale migliore e potremo occuparcene. Pensi di potercela fare?» gli chiese Leonardo.
Giorgio annuì, producendo una fugace smorfia di dolore ma affrettandosi a celarla.
Scesero dall’auto. C’era una mezza dozzina di zombie in arrivo dal cancello aperto, ma avevano ancora un vantaggio di un centinaio di metri abbondante. Un altro paio di cadaveri si scorgevano nelle zone del parco a portata d’occhio. Uno sotto un albero sulla destra, un altro poco più avanti lungo il viale. Era comunque fattibile.
«Togliamoci di qui» comandò Leonardo asciutto, e tutti e tre si misero a correre.
La Panda rossa rimase dietro di loro, ferma sul vialetto del parco con i finestrini e i sedili macchiati di sangue e le portiere di nuovo spalancate.
Lo zaino del ragazzino morto, con tutti i suoi libri di scuola, era ancora là dentro. E ci sarebbe rimasto per un bel po’. Forse anche fino alla fine dei tempi. Perché nessuno sarebbe mai più tornato a riprenderlo per caricarselo ancora una volta sulle spalle.
Mentre correvano, Leonardo pensò a questo e si sentì tremendamente triste. Il mondo stava cambiando. Il mondo era cambiato, incurante dei sogni che schiacciava sotto il proprio peso, indifferente alle loro sofferenze, alle loro paure. Tutto ciò che sapeva sulla vita, e che aveva imparato con gli anni ad apprezzare, oramai non esisteva più. E il ricordo a poco a poco si tramutava in un dolore sordo e indistinto.
Vicenza era ancora lontana…

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