sabato 1 dicembre 2012

Solo andata, no ritorno - 5

La stazione troneggiava sui binari, muta e massiccia. Incombeva sul treno fermo, il treno con la scritta Trenitalia sulle fiancate dei vagoni, ormai sbiadita dalle intemperie che aveva dovuto sopportare nel corso dei suoi lunghi viaggi.
Nello scompartimento, Roberto infilò il libro nello zaino e aspettò che Francesca facesse altrettanto. La prese per mano. Aveva in volto un’espressione parecchio preoccupata. Lui cercava di nascondere la propria ansia e simulare sicurezza, di modo da infonderle un po’ di serenità. Ma non pareva servisse a molto.
«Siamo fermi Dio solo sa dove e il treno non riparte. Quanti passeggeri ci saranno a bordo?» biascicò la ragazza.
«Non saprei dirti. Non molti, credo.» Era una stima più che azzardata. Potevano esserci mille persone, in realtà, su quel treno. Mille sconosciuti, fermi in un posto che sembrava vuoto. Non prometteva troppo bene, ma c’era sempre da tenere in considerazione l’eventualità che il treno si rimettesse in marcia da un momento all’altro.
Guardò fuori dal finestrino un’ultima volta, squadrando la stazione immobile. Non sapeva ancora che presto avrebbe cominciato a odiarla più di ogni altra cosa al mondo. Per adesso gli comunicava soltanto un triste senso di indifferenza e abbandono.
Uscirono sul corridoio del vagone e videro un uomo venire verso di loro.
«Quanti vagoni ci sono ancora?» chiese, fermandosi un istante a esaminarli con aria diffidente.
«Non lo so. Altri tre, mi pare, ma non ne sono sicuro. So che eravamo parecchio in fondo, quando siamo saliti» rispose Roberto, disorientato. «È successo qualcosa?»
«A me hanno solo detto di fare il giro del treno e invitare tutti a venire sul primo vagone. Devono parlare ai passeggeri.»
«Chi?»
«Boh, due tizi. Uno mi pare sia un controllore. Ha la divisa di Trenitalia
«D’accordo, andiamo là allora» acconsentì Roberto.
Scambiò un’occhiata d’intesa con Francesca e le afferrò la mano, facendole strada verso il primo vagone del convoglio.
«Credi che faranno arrivare un altro treno per proseguire la corsa, se questo è rotto?» gli domandò la ragazza, mentre passavano con calma tra i sedili vuoti da un vagone all’altro.
«Suppongo di sì. Ci vorrà un po’, però. Forse tarderemo di un paio d’ore, poco più.»
«Uffi. E io che speravo di arrivare a Firenze per l’ora di pranzo…»
Aprirono la porta d’accesso al secondo vagone e lì si trovarono bloccati da una moltitudine di passeggeri irritati con zaini, borse e valigie al seguito. Tutti premevano per andare verso il primo vagone, ma evidentemente non c’era più spazio. Roberto prese in considerazione l’idea di chiedere informazioni a qualcuno, ma poi la scartò. Troppo caos, là in mezzo. E la gente discuteva animatamente, sfiorando la soglia del rumore raggiungibile da una schiera di trapani pneumatici in azione. Sbuffò e strinse più forte la mano di Francesca, cercando di farsi largo.
Quando ebbe conquistato le ultime posizioni nel primo vagone del treno sentì che la calca iniziava pian piano ad ammutolirsi. Qualcuno faceva loro segno di tacere, e il messaggio passò dall’uno all’altro finché non ci fu silenzio.
«Signori, abbiate pazienza per qualche istante. Questa comunicazione è importante, non solo per me ma anche per tutti voi» scandì una voce in fondo al vagone. C’era un vago brusio di sottofondo, ma non era abbastanza forte da coprire le parole dell’uomo che parlava. Doveva essere il controllore di Trenitalia, valutò Roberto.
«Al momento stiamo cercando di stabilire un contatto con le stazioni dell’intera tratta e con la sede di Padova. Ma i nostri mezzi di comunicazione non funzionano, e qui pare che i telefonini non ricevano alcun segnale. Il treno non può ripartire per questioni tecniche. Sono l’unica persona, qui, autorizzata da Trenitalia a prendere decisioni in queste circostanze, perciò in qualità di pubblico ufficiale vi chiedo di mantenere la calma e di collaborare.»
Sì, constatò Roberto, era davvero il controllore a parlare. Adesso riusciva a scorgere la divisa e il suo profilo in lontananza.
«Anche se il treno non può muoversi, vi chiedo comunque di non scendere finché non vi sarà stato dato l’okay da parte mia. Ora manderò il signor Nicola, qui, che è un ex tecnico di Trenitalia in pensione, a cercare qualche operatore nella stazione che vedete fuori dai finestrini. Lì ci saranno anche delle cabine telefoniche, e il signor Nicola provvederà a fare una telefonata alla sede di Padova per segnalare il guasto e richiedere un intervento.»
Roberto vide il signor Nicola, un vecchietto con la schiena ingobbita e gli occhiali da vista, salutare la gente imbarazzato con la mano. Accanto a lui c’era una donna più o meno della stessa età, con i capelli tinti color rosso fuoco. Doveva essere sua moglie, pensò, perché gli teneva l’altro braccio.
«Appena avremo notizie da Padova vi sapremo dire altro, come ad esempio quando arriverà il treno che ci porterà a destinazione» concluse il controllore. «Per il momento è tutto.»
Ma Roberto riuscì a scorgere i suoi occhi, e quelli sembravano voler dire qualcos’altro. No, non era veramente tutto, per il momento. Non ancora. C’era un’altra cosa da dire, ma non ne era stato capace.
Il suo sguardo tradiva la sua paura.

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