La parola “rete”, un vocabolo piuttosto comune e all’apparenza insignificante, cela dietro il proprio univoco aspetto due volti ben distinti, talmente diversi da risultare persino contrapposti: una rete può essere vista come un intrico di nodi che creano illimitati collegamenti tra tutte le sue parti, anche tra le più distanti, ma può altresì richiamare alla mente una trappola letale alla quale è quasi impossibile, se non si è attrezzati a dovere, sottrarsi.
Questa duplice interpretazione si riflette in maniera identica nella “Rete”, quella con la “R” maiuscola, trovandovi riscontro immediato. Viviamo nell’“Era della Rete”, questo è ormai innegabile; ciascuno di noi è un piccolo puntino luminoso su di uno schermo che raffigura il planisfero, e ogni singolo puntino è collegato direttamente o indirettamente a tutti gli altri, da una faccia del globo terrestre fino a quella totalmente opposta.
Sembra una favola, ad un primo sguardo. Il mondo intero collegato attraverso una serie interminabile di contatti che genera la possibilità di instaurare una comunicazione universale. Informazioni che viaggiano su cavi o su onde ad alta velocità, giungendo a destinazione in un batter d’occhio e consentendo in questo modo di trasmettere qualunque tipo di dato in tempo reale. Un’innovazione senza precedenti nella storia, che può essere definita una vera e propria “rivoluzione”.
Ecco che la rivoluzione tecnologica, attraverso Social Network, Internet e New Media, ha innescato una modificazione degli schemi comportamentali ed esistenziali della società, trasformando il trasporto di informazioni in una possibilità non soltanto rapidamente realizzabile, ma addirittura aperta a tutti.
La Rete, nascendo in questo contesto e con questi precisi fini, si è successivamente configurata a poco a poco come uno specchio del tessuto sociale, facendo infine emergere la propria ambivalenza: unendo ogni singolo soggetto in un gomitolo inestricabile di collegamenti comunicativi e al contempo costringendolo all’interno delle proprie barriere, delimitandone i movimenti entro i propri confini e, in sostanza, controllandolo sempre, costantemente, in ogni punto dello spazio e del tempo.
Quest’ultima considerazione si presenta quanto mai agghiacciante ai nostri occhi. Ovunque andiamo, qualunque cosa facciamo, persino ogni nostro pensiero: tutto è accuratamente monitorato e puntualmente sorvegliato dalla Rete. La Rete sa quali voti prendiamo a scuola, conosce i nostri stipendi e i nostri conti bancari, osserva i nostri movimenti attraverso le decine di telecamere che incontriamo per la strada, registra i nostri acquisti al supermercato, ascolta le nostre telefonate e legge i nostri messaggi, le e-mail, le riflessioni e i progetti annotati sui Social Network, nonché le nostre passioni, calcola quanta strada percorriamo ogni giorno in auto in base al nostro rifornimento dal benzinaio, misura in media quanta acqua e quanta elettricità consumiamo ogni ora e così via.
La Rete sa tutto di noi. Ma noi quanto sappiamo effettivamente della Rete?
Anche le nuove tecniche di mercato si fondano oramai sull’istantaneità dell’informazione attraverso la Rete: ognuno di noi è bombardato giorno dopo giorno dalle pubblicità delle più svariate tipologie di prodotti. Come fuggire a questa infinita serie di attrattive che ci mitragliano dalla mattina alla sera? Purtroppo, a quanto pare, di possibilità ce ne sono davvero poche.
Così, come afferma William Boyd attraverso i pensieri del protagonista del suo romanzo “Una tempesta qualunque”, l’unico modo per scomparire dal mondo e sottrarsi al controllo della Rete è rifiutarsi di usufruire delle comodità che essa offre: niente telefoni, niente carte di credito, niente computer.
Che cosa significa tutto questo? Vuol dire forse che la nostra libertà è limitata, fittizia? In un certo senso, sì. Tuttavia, dovendo accettare per forza di cose il fatto di essere continuamente monitorati, resta comunque a noi la possibilità di decidere fino a che punto farci controllare. Se dobbiamo essere connessi tra di noi attraverso questa Rete, almeno accertiamoci di non venirne completamente assorbiti.
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