lunedì 16 gennaio 2012

Le Anime di Eglon - Episodio 19 - Braccati

Correva nelle tenebre. Anzi, meglio: fuggiva nelle tenebre, e le sue gambe erano pale di un mulino a vento che guizzavano nell’aria sopra l’infinita campagna olandese.
Tutto ciò che rimaneva di lui, adesso, era quel paio di gambe che correvano a perdifiato nel buio. I suoi passi giungevano attutiti, ovattati alle sue orecchie. Il contatto delle suole con l’asfalto era smorzato da qualcosa che non riusciva ad individuare. Però… Era qualcosa, e questo è quanto.
La confusione che l’immagine di quel mulino sullo sfondo gli suscitava era a dir poco dolorosa. Dolorosa? Sì, avanti, diciamo pure dolorosa. Anche se… No dai, andava bene. Andava bene così, e Gary Hullman non avrebbe saputo spiegare con un aggettivo migliore le proprie sensazioni.
Le sue gambe continuavano a correre nelle tenebre, a fuggire, e i suoi passi e il suo respiro affannato giungevano da lontano, come se fossero rumori separati e distanti dal suo corpo. Il che era impossibile, giusto? Eppure lo percepiva, e quello che avvertiva dentro di sé era innegabile. Come poteva d’altronde giustificare il contrario di ciò che sentiva, se lo sentiva?
Più confusi di così non si può essere, valutò tra sé e sé senza smettere di correre né rallentare l’andatura. Main Street era ai suoi piedi, si srotolava sotto i suoi
(piedi di pietra)
piedi, e lui non si sarebbe fermato finché le luci del giorno non si fossero svelate ai suoi occhi confusi e cerchiati di oscurità.
«Sono Rapidoman, e sto volando sulla strada a velocità spaventosa sulla mia motocicletta fatta di burro fuso! Prova a prendermi, se ci riesci, Uomo Nero!» strillò con un tono di voce paurosamente acuto, per certi versi quasi femminile.
Scoppiò a ridere e subito smise, perché di nuovo fu ipnotizzato da quel movimento ipnotico che le sue gambe producevano mulinando nelle tenebre in una folle fuga
(corsa)
dalle ombre della sua fantasia
(l’Uomo Nero)
che lo inseguivano senza pietà.
La sedia sulla quale si trovava finì pericolosamente in bilico sulle due gambe posteriori, si sbilanciò e cadde all’indietro, producendo un sonoro schiocco sul pavimento di linoleum della cucina accompagnato dalle risate di Gary.
L’acido che si era sparato quella sera era più forte di quelli che usava di solito, ma lui non se ne rendeva nemmeno conto. Tutto ciò che gli importava, in quel momento, erano le sue gambe che come un mulino a vento cercavano di scappare dall’aria ma non ci riuscivano, condannate per l’eternità a farsi afferrare dalla loro nemica e a farsi sbattere di qua e di là come delle puttane.
L’Uomo Nero provava una certa pena per lui, nel profondo del suo animo dilaniato. Ma in superficie, per dirla tutta, lo disprezzava intensamente e lo trovava sfacciatamente patetico.
«Vediamo quanto corri veloce, Rapidoman, con un pallino di piombo nel cervello…» sussurrò l’Uomo Nero appoggiando la canna della pistola sulla fronte imperlata di sudore di Gary Hullman, in mezzo a quegli occhi arrossati e lucidi in cui le pupille erano diventate grosse come fori di proiettile.
Gary esplose in una fragorosa risata, l’ultima della sua miserabile esistenza. «Bye bye baby» canticchiò l’Uomo Nero, e premendo il grilletto si ritrovò la maschera schizzata di sangue fresco.

LE ANIME DI EGLON
PRIMA STAGIONE
EPISODIO 19
BRACCATI

«Fanculo!» berciò Phil mollando il martello e infilandosi il dito in bocca, come un neonato. L’attrezzo da lavoro cadde sonoramente sulle piastrelle del bagno e il tonfo riecheggiò per tutto il seminterrato, facendo trasalire alcuni suoi colleghi.
«Tutto bene, Phil?» s’informò Jeremy Barton facendo capolino nella stanzetta semibuia con un’espressione ansiosa dipinta in volto. Sogguardò il poliziotto, quindi squadrò il martello sul pavimento e il chiodo piegato e un sorriso gli emerse sul volto teso.
«Sì, tutto okay…» rispose Phil tirando fuori il dito dalla bocca per parlare. Jeremy gli lanciò una strizzatina d’occhio e ritornò di là, nel salone grande, per dare una mano ad un altro paio di poliziotti che stavano trasportando a fatica un’enorme cassapanca.
Era stata una fortuna trovare quel posto, ragionò Jeremy mentre dava una mano ai suoi colleghi con l’immenso mobile di legno. Un nascondiglio perfetto per sparire dalla circolazione. E loro avevano decisamente bisogno di non farsi vedere per qualche tempo, altrimenti la situazione in città si sarebbe fatta a dir poco bollente in un battibaleno.
Tutto si era svolto nel giro di due giorni, e di colpo si erano ritrovati lì dentro con un gruppo ben nutrito di poliziotti in divisa antisommossa. Era stato il vicesceriffo Wieler a scovarli, dopo quelle ore di assoluto disorientamento che avevano trascorso nell’abitazione vuota e silenziosa di Phil. Lui, Patrick e Brian Jones si erano asserragliati in casa, pronti a difendersi nel caso in cui qualcuno fosse venuto a cercarli. Non sapevano che fine avessero fatto tutti gli altri poliziotti, scomparsi nel nulla mentre loro stavano fuori in ricognizione. Temevano il peggio, ma non tutta la speranza si era ancora dissolta. Alla fine, la loro paziente attesa era stata ricompensata.
Il vicesceriffo Wieler aveva annunciato che si sarebbe ritirato in bagno per qualche minuto, intorno alla metà del secondo pomeriggio trascorso nella casa abbandonata di Phil. Jeremy e Brian erano rimasti in ingresso con le armi impugnate, intenti ad osservare la strada di fronte all’abitazione e a classificare in un archivio mentale i visi di ogni singolo passante.
Patrick aveva chiuso la porta del bagno dietro di sé, aveva posato la pistola d’ordinanza sul ripiano della specchiera di fianco al lavandino e si era tirato giù la patta, prendendo scrupolosamente la mira.
«Vicesceriffo!» aveva esclamato qualcuno all’improvviso, sottovoce, ma con sufficiente enfasi da far sobbalzare Patrick. «Il vicesceriffo è qui! Presto!»
Patrick Wieler si era riabbottonato i pantaloni e aveva cercato invano la fonte di quella voce misteriosa, finché qualcuno non aveva bussato al vetro della finestra alle sue spalle. Si era voltato di scatto, all’erta, e scorgendo la faccia bonaria e paffuta di Phil si era sentito immediatamente sciogliere la tensione nei muscoli e nella testa.
«Phil! Accidenti, ma dove ti eri cacciato?» aveva domandato d’impulso, come prima cosa. Il poliziotto gli aveva fatto cenno di abbassare la voce e gli aveva bisbigliato di aprire la finestra. Il vicesceriffo lo aveva fatto entrare assieme al collega che lo seguiva e i tre si erano spostati nell’ingresso, dove Jeremy e Brian li avevano accolti con sguardi increduli.
Phil aveva incominciato subito a spiegare: «Dopo che ve ne siete andati la scorsa mattina, lasciandoci qui ad aspettarvi, è successo un casino. Un paio di tizi con la maschera si sono avvicinati alla casa e hanno cominciato a piantonare l’ingresso, passeggiando da una parte all’altra del giardino e guardando insistentemente verso le finestre. Erano armati, e noi stavamo chiusi dentro senza emettere alcun suono. Ne sono arrivati altri due nel giro di una mezz’ora, e assieme si sono fermati di fronte alla porta e hanno suonato il campanello. Abbiamo finto di non esserci, così uno di loro si è messo a lavorare sulla serratura con una forcina. In mezzo minuto aveva aperto la porta e noi ci eravamo spostati di sopra, osservando il pianterreno dalla cima delle scale.
«Sono entrati tutti e quattro, richiudendo la porta in silenzio. Uno si è diretto immediatamente verso la cucina, un altro è partito verso il bagno e il terzo si è mosso in direzione delle scale. L’ultimo è rimasto accanto alla porta, a fare la guardia.
«Per fortuna che Michael aveva un silenziatore dentro il suo zaino, altrimenti sarebbe finita diversamente. Abbiamo aspettato che uno dei ribelli arrivasse a metà delle scale, nascondendoci in una delle stanze. Lo abbiamo seguito con lo sguardo, gradino dopo gradino, finché non era quasi arrivato al pavimento del primo piano. Gli abbiamo sparato un unico colpo al collo, piano, e in due lo abbiamo trascinato nel bagno e abbiamo chiuso la porta.
«Quello che era entrato nel bagno del pianterreno è ritornato due minuti dopo, chiamando il compagno su per le scale. Non udendo alcuna risposta, ha iniziato a salire con la pistola spianata. Appena lo abbiamo visto comparire abbiamo sparato e lo abbiamo preso ad una spalla. Il secondo colpo lo ha abbattuto prima che riuscisse a reagire, ma ormai aveva già tirato un urlo di sorpresa e la copertura era saltata. Gli altri due tizi si sono precipitati in soccorso del compagno attaccato, e noi siamo dovuti uscire allo scoperto per freddarli prima che capissero la situazione e varcassero la soglia d’ingresso alla ricerca di rinforzi.
«Avevamo quattro cadaveri insanguinati riversi sul pavimento, alla fine dell’azione; un gruppo di poliziotti irrequieto e la mia famiglia terrorizzata. Dovevamo andarcene, prima che qualcuno venisse a cercare i ribelli scomparsi. Ma passeggiare tranquillamente per la strada come se niente fosse non sembrava affatto una buona idea.
«È stato allora che mi è venuto in mente l’appartamento interrato che mio fratello ha costruito per mio nipote sotto casa sua. Sei stanze abusive, che non sono mai figurate nel catasto, accessibili soltanto dall’interno dell’abitazione. Ci siamo trasferiti lì, muovendoci un po’ alla volta in gruppetti esigui, e adesso siamo tutti quanti ospiti di mio fratello a tempo indeterminato.»
«Una vera manna dal cielo…» aveva commentato brevemente Brian con fare pensoso. Dieci minuti più tardi si trovavano tutti e cinque nell’ingresso dell’abitazione del fratello di Phil, ad abbracciare i loro amici e colleghi ritrovati.
Jeremy, ripensando a quello che era successo, considerò che Brian aveva ragione: era stato un vero colpo di fortuna avere a disposizione quell’appartamento sotterraneo. In questo modo, se non altro, sarebbero stati al sicuro. Ma c’era un dettaglio che ancora non lo convinceva del tutto: se i rivoluzionari non li avessero trovati da nessuna parte, dove sarebbero andati a cercarli? Dai loro parenti come prima cosa, questo era poco ma sicuro. Ciò includeva Ben, il fratello di Phil, nella lista dei potenziali complici della polizia. E quando gli avessero chiesto di poter perquisire la sua casa per vedere se stesse nascondendo loro qualche poliziotto, che cosa avrebbe risposto Ben?
Per adesso, comunque, non c’era da preoccuparsi troppo. Si trovavano in un rifugio sicuro ed erano ancora tutti sani e salvi. La priorità, ora, era capire che fine avesse fatto il gruppo del vicesceriffo Steve Corall. Una volta ricongiunti con loro avrebbero potuto iniziare a cercare un modo per comunicare con l’esercito che stava accampato fuori dalla città, a pochi chilometri dalle barricate innalzate attorno ad Eglon.
Ben, il fratello di Phil, comparve in fondo alla scalinata che collegava il ripostiglio della sua casa all’appartamento sotterraneo costruito per il figlio. Quest’ultimo si trovava fuori città al momento dell’attacco. Frequentava il college a Memphis, di conseguenza i genitori non avevano sue notizie da quando Eglon era stata occupata.
Ben pareva seriamente preoccupato. Entrò senza dire una parola, si infilò nel bagno e chiuse la porta. Jeremy liquidò la cosa con un’alzata di spalle e tornò al lavoro con i suoi colleghi: dovevano allestire il campo base per le notti a venire, ed era fondamentale riuscire a trovare un posto letto per ciascuno di loro. Sarebbe stato come dormire in caserma su brandine scomode e dismesse, ma era sempre meglio che rifugiarsi sotto qualche ponte sperando che i rivoluzionari non li scorgessero dalla strada.
Dopo qualche minuto, Jeremy sentì un paio di dita picchiettargli sulla spalla. Si voltò e registrò l’espressione cupa di Phil, piazzata a pochi centimetri dal suo volto. «Dobbiamo parlare, e alla svelta. Io, te, Ben, il vicesceriffo Wieler e quel Brian Jones dell’FBI

Katie Simons in un certo senso sapeva, dentro di sé, che rivolgersi alla polizia sarebbe stato quasi del tutto inutile. Ciononostante, i genitori del suo ragazzo avevano insistito affinché si facesse un tentativo in quel senso, così lei alla fine si era dovuta arrendere. Che facessero pure come credevano, allora: sarebbe stato tutto vano, e lei pareva essere l’unica a rendersene conto. Oltretutto, il fatto che i suoi genitori mancassero tuttora all’appello continuava a tormentarla sadicamente, ricordandole che se avesse contraddetto la mamma e il papà di Chris sarebbe rimasta sola. Ineluttabilmente sola, adesso che tutte le persone che amava erano inspiegabilmente scomparse.
La sparizione di un centinaio di ragazzi non era cosa da poco, in fin dei conti. Ma Eglon era una grande città, e per quello che ne sapeva poteva essere capitato loro di tutto. Se ognuno dei giovani presenti alla festa di Tila aveva fatto la stessa fine di Chris, non si poteva obbligatoriamente concludere che anche i loro genitori li stessero cercando. Era molto più probabile che si fossero chiusi in casa, sperando che prima o poi i figli rientrassero ed evitando di mettere il naso fuori dalla finestra per non vedere quello che stava succedendo alla loro città.
Triste, sì, ma quasi sicuramente vero. Il che rendeva Katie sempre più motivata a continuare a cercare il suo ragazzo e, non appena fosse stato possibile, anche i suoi genitori.
«Allora, vediamo… Se ho capito bene, voi mi state dicendo che tutti i ragazzi che c’erano alla festa di Tila Berkovich, la notte del dieci settembre, sono spariti nel nulla. Giusto?» fece loro ripetere forse per la terza volta consecutiva Terence Duke, ex poliziotto ormai in pensione che aveva accettato di riceverli in casa propria dopo gli incalzanti trilli di campanello dei genitori di Chris.
«Esatto, proprio così!» ribadì la donna con un tono di voce incredibilmente acceso, gesticolando concitata.
L’ex poliziotto intrecciò le dita appoggiando i gomiti alla scrivania e si protese burbero nella loro direzione, spalancando gli occhi a tal punto da dare a Katie l’impressione di essere un maniaco in cerca di guai. «Be’, e io che cosa ci posso fare secondo voi?» domandò con fare alienato, quasi che della faccenda gli importasse meno di zero.
«Come sarebbe a dire, che cosa può fare? Può mettersi in contatto con gli altri poliziotti, accidenti! Può cercare i ragazzi, può mettere a frutto la sua esperienza sul campo! Deve aiutarci, signor Duke! Non può fare finta che qui in città non stia accadendo niente! Ci sono già fin troppe persone che chiudono gli occhi e si girano dall’altra parte mentre la gente muore per le strade!» piagnucolò la madre di Chris, sconsolata. Il marito le si avvicinò e le cinse la vita con un braccio, posandole un bacio timido sulla nuca per rassicurarla con la propria presenza.
«Non saprei da dove partire, mia cara signora. Non ho idea di dove siano finiti tutti i poliziotti di Eglon, tanto per cominciare, e di sicuro non sono in grado di sbrigare la pratica per conto mio: sono in pensione da tre anni, dannazione! Tre anni non sono pochi. Non dico che ho dimenticato come si faceva il mio mestiere, ma di certo mi sento abbastanza arrugginito. Troppo arrugginito, per caricarmi sulle spalle un peso simile. Mi dispiace, ma i vostri ragazzi dovrete cercarveli da voi…» bofonchiò, alzandosi dalla sua poltrona dietro la scrivania e accennando alla porta.
Il padre di Chris gli lanciò un’occhiata delusa che fece sentire in colpa persino Katie. Il viso duro di Terence Duke vacillò debolmente, ma non si scompose. I tre si avviarono mollemente in direzione dell’ingresso dell’abitazione, sconfitti.
Terence Duke aprì loro la porta in modo da dimostrare la sua scarsa attitudine alle buone maniere. Per prima uscì la madre di Chris. Katie la seguì senza fiatare, e quando si volse per vedere dove fosse il padre del suo ragazzo si accorse che l’ex poliziotto lo aveva fermato e gli stava parlando.
«È l’unico aiuto che possa darvi, ora come ora. Mi raccomando, fai attenzione. Non credere che sia una cosa da poco. In tempi come questi, potrebbe rivelarsi assai più utile di un banale pezzo di pane» sentì farfugliare. Scorse un movimento, uno scambio furtivo, e intravide la sagoma di un revolver passare dalla mano di Terence a quella del papà di Chris. Quest’ultimo afferrò saldamente l’arma, la infilò nella tasca del cappotto e uscì assieme alla moglie, ringraziando il signor Duke con aria riconoscente e incamminandosi lungo il marciapiede.
Katie lo seguì taciturna, consapevole della gravità della scena alla quale aveva appena assistito. Quel revolver, accompagnato da quelle parole, racchiudeva in sé un solo significato: il peggio doveva ancora venire.

«D’accordo, qual è il problema?» s’informò il vicesceriffo Patrick Wieler, seriamente ansioso per via delle espressioni buie degli altri quattro uomini che assieme a lui si erano radunati nel soggiorno della casa di Ben.
«Calma, calma» intervenne Phil, provando ad esordire con scarso successo. «Ne dobbiamo parlare con calma, altrimenti viene fuori un casino…» mormorò subito dopo rivolgendosi al fratello, il quale annuì amareggiato e si sforzò di trarre un profondo respiro prima di cominciare a dare le cattive notizie.
«Non potete più stare qui» principiò in maniera ruvida, e Phil alzò gli occhi al cielo con fare esasperato.
Jeremy rimase immobile a fissarlo, tentando di assimilare le parole appena udite e di dare loro un senso. «Che cosa vuol dire, che non possiamo più stare qui?»
Ben sospirò, forse un po’ più energicamente del normale, e quando riprese a parlare guardava la parete di fronte a sé per non incrociare lo sguardo degli altri quattro. «Non potete più stare qui. Né voi, né tutti gli altri poliziotti.»
Patrick Wieler cercò il volto di Phil con fare inquisitorio, individuandolo e interrogandolo a bocca spalancata. Phil produsse un sorriso amaro.
«Mi rincresce davvero molto, ma io e la mia famiglia non possiamo permetterci un rischio simile. Sono un semplice banchiere, io, e mia moglie lavora alle poste. Siamo gente comune che vuole solo la tranquillità, e da quando siete arrivati qui non riusciamo a smettere di pensare che ci potrebbero scoprire da un momento all’altro. Avete visto i manifesti contro la polizia che hanno fatto circolare nelle giornate scorse. Siete ricercati. Braccati. Tutti voi, nessuno escluso. E chi vi darà rifugio e protezione sarà considerato egualmente colpevole. C’è scritto su quei maledettissimi fogli, non me lo sto inventando.
«Da quando mia moglie ha visto quel poliziotto impiccato a Main Street, che pendeva dal lampione sulla strada in mezzo alla gente terrorizzata, non ha più chiuso occhio. Ha paura per noi e per i nostri figli. Mi ha detto che o ve ne andate voi o se ne va lei. Non ho altra scelta, mi spiace» spiegò con voce piatta e monotona, allargando le braccia in segno d’impotenza.
«Ti capisco, fratello» mormorò Phil. «Anche io farei lo stesso, se mia moglie mi dicesse così. Hai la mia comprensione. Avete già fatto fin troppo per noi, avete rischiato molto.» Il suo tono, però, era asciutto e distante, risentito. Il suo sorriso sembrava essere stato soppresso per sempre.
«Questo vuol dire che dovremo andare tutti quanti da qualche altra parte?» chiese Brian Jones tranquillamente, senza lasciar trapelare alcuna emozione. Jeremy lo fissò come istupidito e si rese conto che l’amico era rimasto freddamente indifferente alle parole di Ben, quasi che non lo riguardassero affatto. Pareva sereno, e lui proprio non capiva come potesse esserlo di fronte alle oscure prospettive che si profilavano sul loro orizzonte.
«Sì, temo di sì. Ho ottenuto di farvi stare qui fino a domani mattina, così avrete un po’ di tempo per cercarvi un altro rifugio. Tua moglie e i tuoi figli, Phil, potranno naturalmente rimanere quanto vorranno. Anche tu, se vuoi, puoi restare» soggiunse Ben con fare incerto.
Phil parve rifletterci un po’ su, quindi piantò lo sguardo negli occhi stanchi del fratello e ribatté: «No, devo andare con gli altri. Se vogliamo rimettere in piedi la città, dobbiamo darci da fare tutti assieme. Dobbiamo collaborare, e non cedere alle pretese di quei ribelli. Agendo uniti avremo qualche possibilità in più di scovare un modo per liberare Eglon.»
«D’accordo» approvò Ben. «Tua moglie e i tuoi figli rimarranno, allora, e tu partirai.»
«Va bene» confermò Phil, distogliendo finalmente lo sguardo da quello del fratello maggiore.
«Per quanto riguarda noialtri, ci conviene avvisare immediatamente i colleghi disotto che questa è l’ultima notte che trascorreremo al sicuro» borbottò il vicesceriffo Wieler sciogliendosi dal gruppo e dirigendosi con passo deciso verso lo sgabuzzino che comunicava con l’appartamento interrato.
«Ancora una volta, mi dispiace» bisbigliò tristemente Ben, e Brian Jones gli batté una pacca sulla spalla.
«Non ti preoccupare» lo rassicurò l’agente dell’FBI. «Non stai condannando a morte nessuno. Fai solo quello che ritieni giusto per la tua famiglia. So già dove possiamo andare, e se tutto andrà bene non ci succederà niente. Domani avremo da camminare un po’, gente.»

Sonny Dangerwood si accomodò sulla sedia di fronte a quella che ospitava il padrone di casa già addormentato e osservò il tramonto fuori dalla finestra della cucina, oltrepassando con lo sguardo l’esiguo spazio tra le tende scostate.
Era già da qualche giorno che viveva lì, ospite di quell’uomo che gli aveva salvato la vita quando pensava di essere ormai finito nelle mani dei Sorveglianti. Aveva scoperto che si chiamava Terry McCallister, il suo protettore. Si trovava bene in quell’abitazione piccola ma funzionale. Era diversa da casa sua, certo, ma ci si era presto abituato. D’altro canto, casa sua non esisteva più…
Questo pensiero gli fece salire un’immensa tristezza. Una lacrima solitaria gli si formò all’angolo dell’occhio sinistro e senza avvisare nessuno prese a scendere agilmente la ripida scarpata della guancia incavata di Sonny, che se ne rese conto a malapena superficialmente. La casa in cui lui e sua moglie erano vissuti per anni non c’era più. Era stata rasa al suolo, e ora di essa non rimaneva altro che un cumulo di macerie. I suoi ricordi più preziosi erano stati cancellati con lei, nello stesso momento.
Ma che dico? I miei ricordi sono sempre con me, non possono trovarsi tra le mura di una vecchia casa e nemmeno negli oggetti della mia vita passata. Sono nella mia testa, i miei ricordi più preziosi. Il volto e la voce di mia moglie sono tra i miei pensieri, e quelli non possono essere rasi al suolo. Continueranno a vivere finché avrò respiro.
Questa riflessione fugace aiutò a consolarlo e a mettergli il cuore in pace, trasformando quel tramonto insanguinato che vedeva dalla finestra in uno splendido pezzo di vetro colorato.
Terry era un motociclista, da quello che aveva capito, e quella sera si era addormentato sul tavolo della cucina perché aveva trascorso tutta la giornata in sella a girovagare per la città in cerca di carburante. Gli aveva raccontato che tutti i distributori di benzina avevano chiuso e che adesso l’unico modo per procurarsene era pagarla profumatamente ai privati. C’erano dei tizi che la rivendevano a prezzi esorbitanti, aveva detto Terry prima di prendere sonno sulla sedia, e lui, sebbene riluttante, aveva comprato venti litri e aveva chiuso le taniche in un armadio del garage, bloccandolo con una catena e un lucchetto resistente. Temeva che qualcuno potesse irrompere in casa sua a rubargli il carburante, e Sonny iniziava a poco a poco a pensare che non era un timore del tutto infondato, in fin dei conti.
Anche le sigarette erano finite, gli aveva poi spiegato stancamente Terry, le palpebre pesanti che insistevano per potersi chiudere. Tabaccai e distributori automatici erano rimasti a secco, perché la gente aveva fatto scorta. Pure per quelle c’erano dei privati che avevano iniziato a vendere di qua e di là qualche stecca, ma presto sarebbero finite e non ci sarebbe più stato modo di procurarsele da nessuna parte.
Il problema maggiore, in ogni caso, era quello del cibo. I supermercati di tutta Eglon erano stati totalmente svuotati. I magazzini erano deserti, gli scaffali sgombri, così i vari proprietari avevano chiuso l’attività. Ovunque, le porte dei negozi di alimentari erano abbellite da cartelli scritti a mano che annunciavano semplicemente: CHIUSO – SCORTE ESAURITE.
Per il momento, fortunatamente, l’acquedotto era ancora funzionante. L’acqua del rubinetto era pulita e si poteva bere senza problemi, ma per quanto ancora sarebbe durata? Terry era convinto che fosse questione di tempo prima che togliessero loro anche quella, bloccando l’erogazione dall’esterno. L’avrebbero fatto nella speranza di far crollare i rivoluzionari, di tagliare loro ogni risorsa e costringerli ad uscire dalle barricate. In quest’ottica, Terry profetizzava che avrebbero interrotto anche la fornitura di corrente e gas. Entro qualche giorno al massimo, diceva. Forse, addirittura, nelle prossime ore.
Era stato Terry ad illustrargli chi erano i Sorveglianti e che cosa avevano fatto nel suo quartiere il giorno dopo l’attacco, poco prima che Ben Dolovan fosse catturato e giustiziato, appeso a quel lampione lungo Main Street. Quando aveva udito quella narrazione, Sonny si era chiaramente sentito rabbrividire.
Adesso, però, era relativamente tranquillo e scrutava il crepuscolo all’orizzonte con il respiro pesante di Terry in sottofondo. Sapeva che in quelle ore i rivoluzionari si stavano attivando per stanare gli ultimi poliziotti rimasti in città. Terry l’aveva sentito dire ad alcuni ribelli quel pomeriggio, durante il suo giro in motocicletta. Ne parlavano anche alcuni compari del tizio da cui aveva comperato la benzina per quattro dollari al litro.
I poliziotti, braccati come animali, non avrebbero dormito quella notte. E se lo avessero fatto si sarebbero ritrovati nella stessa posizione di Ben Dolovan: appesi ad un lampione lungo Main Street.Che cosa sta succedendo in cittò, signor Grau?»

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