Bisogna
lasciare che la pioggia lavi via tutte le lacrime dei nostri padri, prima di
cominciare a sperare che venga un acquazzone a mescolarsi con le nostre per
farle sparire.
Le lacrime.
Che cosa sono esattamente le lacrime, secondo voi? A parer mio si tratta di
piccoli pezzettini luccicanti di uno specchio che esiste dentro ciascuno di
noi. O, almeno, così mi piace pensarla. Frammenti di uno specchio che si
sgretola ogni volta che soffriamo. I nostri occhi, incaricati di sputarli fuori
per permettere ad un nuovo specchio di ricomporsi, fanno sempre bene il loro
lavoro. È lo specchio della nostra serenità interiore, della nostra felicità,
del nostro stare bene, e ogni volta che soffriamo questo specchio va in
frantumi e noi piangiamo. E poi, faticosamente, dobbiamo costruirne un altro in
vista della prossima stilettata al cuore.
Quella sera
del diciassette di giugno, della quale vi voglio raccontare, era toccata a mia
sorella vedere il proprio specchio sbriciolarsi come un bicchiere lasciato
precipitare dal novantanovesimo piano di un immenso grattacielo. Era stata
piantata dal suo ragazzo, con il quale aveva condiviso gli ultimi sei mesi
della propria dura realtà adolescenziale, e si sentiva letteralmente distrutta.
Distrutta come si sarebbero sentiti quel bicchiere e quello specchio, se
soltanto avessero potuto provare qualcosa. Ma gli oggetti, come ben sapete, non
sono capaci di provare emozioni. Le persone invece sì, e mia sorella in quei
momenti avrebbe volentieri scambiato la propria esistenza con quella di un bicchiere
pur di non stare così male.
Forse sarei
dovuto rimanere a casa con lei, quella sera. Qualche volta ci penso, e mi
maledico per non averlo fatto. Ma sapete anche voi come vanno queste cose.
C’era una festa alla quale mi avevano invitato. Niente di che, solo una cena
con i vecchi compagni di classe. Ma avevo già detto che ci sarei stato, e mia
sorella se la sarebbe cavata bene anche senza di me. Non era la prima volta che
soffriva per amore. E, basandomi sulla mia esperienza passata, potevo affermare
con una certa sicurezza che molto probabilmente non sarebbe stata nemmeno
l’ultima.
E invece lo
fu, anche se in una maniera del tutto inaspettata.
Credo sia la
prima volta che riesco a scrivere questa storia. Ho tentato in svariate
occasioni di farlo, in passato, ma non ci sono mai riuscito. Vediamo se
stavolta sarò capace di arrivare fino in fondo.
Partiamo da
quando rientrai in casa, pochi minuti prima della mezzanotte, un po’ alticcio
ma ancora sufficientemente lucido. Il soggiorno al piano terra era
completamente buio, e lì accesi le luci senza preoccuparmi e andai verso il
frigorifero per concedermi un bel bicchiere d’acqua ghiacciata. Faceva
piuttosto caldo, in quel periodo. L’estate si era presa per tempo e aveva
cominciato a farsi sentire puntuale. Finii di bere e chiusi a chiave la porta,
quindi presi le scale e spensi la luce del soggiorno.
Per non
svegliare i miei genitori e mia sorella, che presumibilmente stavano già
dormendo da qualche ora, salii le due rampe di scale che mi separavano dalla
mia camera da letto nell’oscurità più completa, rischiarandomi un po’ i gradini
con la luce emanata dallo schermo del cellulare.
Le scale che si
arrampicavano verso la mia camera erano le più rumorose, per cui mi tolsi le
scarpe prima di iniziare a percorrerle e passai da un gradino all’altro in
punta di piedi, respirando piano, col telefonino proteso in avanti per evitare
di inciampare in qualche ostacolo reso invisibile dalle tenebre. D’un tratto,
un rumore come di risucchio invase l’aria. Doveva essere mia sorella, pensai.
Quella sera, quando me n’ero andato, lei si era chiusa in camera mia a
piangere, perché diceva che la sua stanza era troppo piena di ricordi.
Fu mentre mi
separavo dall’ultimo scalino che il campanile del paese fece rimbombare
nell’aria il suo primo rintocco. Era mezzanotte, e con le urla sorde delle
campane nelle orecchie spinsi delicatamente la porta della mia camera da letto
e mi resi conto che mia sorella si trovava ancora lì, distesa sul mio letto a
piangere.
La finestra
era aperta, e la prima cosa che feci fu puntare lo schermo del cellulare in
direzione del letto. E allora lo vidi: vidi quell’uomo, anzi no, quell’essere, proteso sul viso di mia sorella,
con la lingua che penzolava fuori dalle labbra e le leccava via le lacrime che
le uscivano dagli occhi.
La creatura
scomparve subito, ma le lacrime rimaste sul volto di mia sorella no. È ancora
in coma da allora, con gli occhi perennemente sbarrati. E non credo che si
risveglierà mai più.
Nessun commento:
Posta un commento