sabato 28 aprile 2012

Il Blocco dello Scrittore - Parte 3

«Non ti preoccupare, Debbie» farfugliò il dottore con fare vagamente spensierato, rivolgendo alla donna un mezzo sorriso. Da dietro le lenti spesse i suoi occhi azzurro spento sondarono quelli dell’interlocutrice, scendendo furtivamente a sogguardarle le curve messe in risalto dalle pieghe del vestito. «Qui starà bene, vedrai.»
«Lo spero, Craig. Da quando è cominciata non è più stato lo stesso. E ora che è ridotto in questo stato… Non lo so, spero soltanto che si possa riprendere. E che possa ricominciare a scrivere come faceva prima» mormorò Debbie con una lieve venatura di malinconia nella voce. Scrutò il volto tirato del marito, percorrendogli gli occhi distratti. Charlie sembrava irrequieto. Si mosse sulla sedia con aria agitata, spostando la testa da una parte all’altra senza focalizzare la propria attenzione su di un punto preciso.
«Si è mai comportato in maniera violenta?»
«Chi, Charlie? No, non ha fatto male nemmeno ad una mosca. Un mese e mezzo fa, più o meno, si è lamentato di non riuscire più a scrivere. Ha ricominciato a fumare dopo dodici anni, capisci? E poi si è chiuso in se stesso e ha smesso di parlare. Avrei dovuto portarlo qui già da qualche settimana, lo so, ma credevo di poterla risolvere per conto mio…»
«È normale, Debbie. Fuma ancora?» s’informò il dottore, con il suo camice bianco impeccabile, il suo sorriso artefatto e le sue rughe sepolte sotto un generoso strato di fondotinta.
«Sì, ogni tanto si mette a boccheggiare e invoca una sigaretta. Lo assecondo sempre, temendo di sbagliare…» confessò Debbie.
«E fai benissimo» la rassicurò il dottore, facendo l’occhiolino alla piccola Erika che si nascondeva dietro le gambe della madre, osservando il grande parco lussureggiante del centro di igiene mentale in cui i pazienti girovagavano senza una meta precisa, tenuti d’occhio a debita distanza da una schiera di colleghi di Craig.
«Sto diventando pazzo…» biascicò improvvisamente Charlie, come ridestandosi da un coma durato mille anni. Sollevò la testa, quindi la fece ricadere e fissò il pavimento.
Il dottore gli scoccò un’occhiata diffidente, rispondendo subito con un altro mezzo sorriso stentato all’espressione rabbuiata di Debbie. «No, Charlie, tu non diventerai pazzo…» lo tranquillizzò.
«Cos’è questa voce che viene dallo stereo?» balbettò Charlie, trasalendo e cercando di alzarsi dalla seggiola sulla quale era stato fatto sedere.
«Tranquillo, Charlie. Non ti agitare. Io non vengo dallo stereo» cercò di essere più diretto possibile il dottore, parlando al suo nuovo paziente in tono deciso ma gentile.
«Che cosa può avere?» domandò Debbie, guardando Erika che si avvicinava alle finestre spalancate della stanza. Fuori c’era un bel sole e il parco appariva davvero meraviglioso. Perlomeno, il suo Charlie sarebbe stato ricoverato in un posto piacevole. Questa consapevolezza aiutava a lenire almeno in parte la sua tristezza.
«Così, su due piedi, è difficile dirlo» illustrò il dottore, senza sbilanciarsi troppo.
«Depresso… Muoio… Muoio…» borbottò Charlie, riemergendo dal silenzio con la sua voce impastata e scuotendo la testa di qua e di là.
«No che non sei depresso, Charlie. E non stai per morire. Mi prenderò cura io di te» spiegò pazientemente Craig. Poi si girò a guardare Debbie e di nuovo i suoi occhi scivolarono sulla scollatura della donna, quasi inconsapevolmente. Debbie fece finta di non accorgersene. Craig era un amico di vecchia data e il favore che le stava facendo era enorme. In quel momento lei e Charlie non si sarebbero potuti permettere cure tanto costose, e se Craig non le fosse venuto incontro non avrebbe avuto idea di come fare.
«Tu ed Erika state bene?» volle sapere il dottore, ritornando a sorridere affabilmente.
«Certo, certo. Mia madre viene a darmi una mano quando non ce la faccio con le faccende di casa. È un brutto periodo, ma so che lo supereremo. Grazie, Craig…»
«A che cosa servono gli amici, altrimenti?» ribatté il dottore, ammiccando bonariamente. I suoi occhi erano sempre fermi lì, sulle curve dei suoi seni, ma a Debbie continuava a non dare troppo fastidio. Se Charlie fosse stato cosciente, sapeva che si sarebbe arrabbiato. Ma adesso stava male, e Debbie si sentiva in dovere di aiutarlo. Da quando aveva smesso di scrivere non era più riuscito a dormire e a poco a poco si era ridotto in quelle condizioni. Aveva paura che si lasciasse morire di fame, per questo aveva deciso di ricoverarlo. Avrebbe voluto inseguire qualche altra soluzione, ma purtroppo questa sembrava essere l’unica rimasta.
«Si... sigaretta» gorgogliò Charlie dalla sua sedia, tirando su uno sguardo assente e indirizzandolo verso il vuoto, tenendo le labbra socchiuse. Craig la interrogò con un’occhiata e lei gli concesse un cenno affermativo. Il dottore fece comparire un pacchetto di sigarette dall’ampia tasca del suo camice, ne prelevò una e la inserì con cura tra le labbra screpolate di Charlie, quindi l’accese.
«Ecco, va meglio? Lo sai che fumare non ti fa per niente bene, Charlie? A tua moglie Debbie non piace che fumi. Ti rimprovera spesso questo tuo vizio» gli rammentò Craig mentre aspirava con calma la prima boccata. In risposta, la bocca di Charlie produsse uno sgradevole rumore di risucchio.
Erika era là in fondo. Scrutava il cielo e le chiome luminose degli alberi, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli biondi con le sue mani gentili. Debbie rivolse uno sguardo di riconoscenza al dottore che aveva accettato di prendere in cura suo marito per la metà dei soldi che avrebbe normalmente richiesto a qualunque altro paziente.
D’un tratto, Charlie strinse con forza i braccioli della sedia e inarcò la schiena, brontolando una serie di parole sconnesse. La sigaretta ancora accesa, fumata per metà, gli cadde dalla bocca e rimbalzò sul pavimento pulito della stanza, lasciandovi una macchia di cenere nerastra. Craig si affrettò a posargli le mani sulle spalle per tenerlo giù e tranquillizzarlo.
«Che cosa c’è, Charlie? Qualcosa non va?»
«Che cosa gli sta succedendo?» s’incupì Debbie, avvicinandosi al marito per rassicurarlo con la propria presenza ma bloccandosi a pochi passi da lui, indecisa se avanzare o meno.
«Non lo so» riconobbe Craig con fare dubbioso.
Charlie intanto continuava a muoversi, come se fosse stato immobilizzato da due energumeni che intendessero legarlo e fargli del male. Sembrava un cavallo imbizzarrito, e quest’immagine piacque davvero poco a sua moglie Debbie.
«Mi sembri agitato, Charlie. Forse è meglio se ti porto un po’ fuori» disse Craig. «Aiutami a spostarlo su quella sedia a rotelle» aggiunse poi rivolgendosi a Debbie, che prontamente si riscosse dallo stato di torpore nel quale era piombata. Avvicinarono la sedia a rotelle e fecero alzare Charlie con estrema calma, evitando di compiere movimenti bruschi per non renderlo maggiormente irrequieto. Completato il trasferimento, Craig si pose dietro la sedia a rotelle e incominciò a spingerla verso il corridoio, oltrepassando la soglia della stanza e spostandosi in direzione della porta a vetri che si affacciava sull’immenso parco della clinica.
Debbie lo seguiva senza fretta, imitando la sua andatura blanda e rilassata, tenendo la piccola e silenziosa Erika per mano.
«No… Fermo… Il. Il blocco. Il blocco dello scrittore!» esclamò Charlie, rizzandosi nuovamente sulla schiena e ricadendo subito dopo sulla sua sedia a rotelle.
«Come dici, Charlie? Il blocco dello scrittore?» ripeté il dottore assumendo un tono di voce pacato e mellifluo, sforzandosi di mostrarsi sereno.
«Sì. È proprio da lì che è cominciato tutto quanto. Dal blocco dello scrittore…» mormorò Debbie con sottile amarezza, tentando di non farsi vedere troppo sconsolata dalla figlia che si guardava attorno senza aprire bocca.
«Capisco» annotò Craig continuando ad avanzare. La sedia a rotelle superò la porta a vetri spalancata e il gruppetto uscì all’aria aperta, in una gradevole mattinata di primavera che prometteva cielo sereno, temperature miti e colori sgargianti.
«Io ed Erika andiamo, se per te fa lo stesso» annunciò Debbie dopo che si furono inoltrati lungo il vialetto che serpeggiava in mezzo al parco. La quiete era assoluta, in quel brandello di paradiso strappato ai fiumi di cemento e asfalto della città, e tutto sommato Debbie era felice di poter lasciare suo marito nelle mani di Craig. Era sicura che sarebbe stato bene, lì, e che avrebbero fatto di tutto per metterlo a suo agio.
«Andate pure, nessun problema. Possiamo continuare la passeggiata anche da soli» acconsentì il dottore scoccando un’ultima occhiata fugace al bel corpo di Debbie e alle sue curve attraenti, sorridendo a lei e alla figlia.
«Grazie di tutto, Craig…»
«Figurati, per me è un piacere» replicò il dottore con il suo vasto sorriso composto. Poi, tornando a scrutare il volto assente del suo nuovo paziente, soggiunse: «Non ti preoccupare, Charlie. Ti rimetterò in sesto, parola mia.»
Debbie si avvicinò al viso di suo marito e gli posò un bacio sulla fronte. Sembrava spaventato. I suoi occhi erano distanti, velati dal terrore. Chissà che cosa stava vivendo. Chissà cosa vedeva, cosa sentiva, cosa provava. Lei, francamente, non osava neppure immaginarlo.
Craig osservò Debbie ed Erika allontanarsi per mano, varcare la soglia della grande porta a vetri che si affacciava sul parco e scomparire all’interno del corridoio della clinica. Ritornò a dedicarsi alla sedia a rotelle sulla quale il suo paziente stava immobile, in uno stato di semicoscienza che avrebbe fatto rabbrividire chiunque, e prese a camminare tranquillamente lungo il vialetto che si snodava tra gli alberi e il verde, fischiettando un motivetto che aveva in testa da quando si era svegliato quella mattina.
Svoltò alla prima curva e Charlie si agitò di nuovo, protendendosi di lato e rischiando di cadere a terra. Craig intervenne fulmineo, affiancandosi al paziente e bloccandolo prima che finisse sul vialetto lastricato e sbattesse la testa. «Fermo lì, Charlie. Buono. Su, rimettiti a sedere. Magari più tardi ti posso concedere un’altra sigaretta, prima di rientrare. E questo? Cos’è questo, Charlie?»
Un foglietto di carta ripiegato gli era scivolato fuori dalla tasca della giacca mentre si allungava nel tentativo di scendere dalla sedia a rotelle. Il dottore si chinò a raccoglierlo e lo aprì con una certa curiosità, aggrottando la fronte e inarcando le sopracciglia.
Il foglio di carta era completamente bianco. Solo in alto a sinistra c’erano due righe scritte a macchina, e l’inchiostro pareva leggermente sbiadito. Sulla prima c’era un’unica parola, distesa come un monito spettrale: sangue. Sulla seconda, invece, era riportata una specie di ammissione di colpa: ho fatto del male a Debbie ed Erika. Più in basso, infine, tre pallini rossi scintillavano opachi sotto la luce del sole. Sembravano tre macchioline di sangue rappreso, e Craig decise che non voleva sapere di che cosa si trattasse esattamente.
Appallottolò il foglio di carta senza pensarci troppo e lo lanciò in aria, in direzione di un cestino della spazzatura accanto ad una panchina. La carta stropicciata rimbalzò sul bordo del cesto e ricadde sull’erba, così Craig fu costretto ad avvicinarsi per raccoglierla da terra e fare definitivamente centro. Poi tornò da Charlie e riprese a spingere la sedia a rotelle come se niente fosse, continuando a fischiettare sereno.

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