Roberto
impiegò un paio di minuti ad assimilare la nuova drammatica informazione, ma
alla fine si riprese e annuì in silenzio, per indicare al controllore che aveva
capito.
«Ehi,
venite a vedere!» li chiamò Francesca.
Il
ragazzo scattò verso di lei e la raggiunse, seguito dall’uomo. Aveva paura che
si fosse fatta male, ma invece non era così. Stava semplicemente guardando giù,
oltre il parapetto che delimitava il tetto piano e quadrangolare della
stazione. Lì erano un po’ in pendenza, perché sul cemento armato c’erano i fori
di una grondaia. Un sistema come un altro per evitare che l’acqua si
accumulasse, col rischio di pesare eccessivamente sulla struttura e filtrare
attraverso i muri. A giudicare dalle infiltrazioni sul soffitto che avevano
visto al pianterreno, non doveva essere molto efficace.
Roberto
seguì lo sguardo della sua ragazza e si ritrovò a fissare il modesto parcheggio
della stazione, quello che avevano intravisto dalla porta giù da basso, dal
quale partiva la stradicciola che portava verso i paesi più vicini.
C’erano
delle automobili parcheggiate. Le contò in fretta: erano tredici. Tredici auto
ferme, spente, tutte diligentemente inquadrate tra le righe scolorite che segnavano
i posteggi. Non registrò alcun movimento. Ma i veicoli c’erano. Erano lì,
giusto? Allora, per forza di cose, dovevano esserci anche i conducenti da
qualche parte. O, perlomeno, prima o poi sarebbero arrivati a riprendere le
macchine.
«Devono
averle lasciate qui per prendere il treno. E di solito non si lascia l’auto nel
parcheggio della stazione per una settimana: è gente che tornerà in giornata»
ipotizzò il controllore, mostrandosi abbastanza sicuro di ciò che sosteneva.
«Forse
è meglio se scendiamo a dare un’occhiata. Qui, in ogni caso, il telefonino non
prende un accidente…» propose Roberto, sogguardando di sfuggita lo schermo
impassibile del cellulare.
«Il
tuo? Ricevi qualcosa?» s’informò il controllore rivolgendosi a Francesca. La
ragazza fece cenno di no con la testa e l’uomo sospirò. «Andiamo a vedere se
attorno alle auto c’è qualche segno di vita.»
Rientrarono,
chiusero la porta che dava sull’esterno e scesero le scale. In fondo alla
gradinata semibuia c’era Nicola ad aspettarli, con aria abbattuta.
«Niente
da fare. Anche con il telefono della biglietteria qualsiasi numero suona
libero. Nessuna risposta dall’altra parte. Sapete, è possibile che ci sia
qualche problema con le linee. Capita, di tanto in tanto, che un cavo si rompa
o che uno dei piloni marcisca e crolli in mezzo al bosco. Siamo in una zona di
campagna, incidenti del genere non vengono sistemati tanto in fretta come si
farebbe in città…» considerò il vecchio, parlando adagio. Le sue stesse parole
sembravano convincerlo poco, ma si strinse nelle spalle e annuì di nuovo fra
sé, con il modo di fare di chi la sa lunga.
«Può
darsi che sia così. Sarebbe una considerevole serie di circostanze sfortunate,
ma dalla nostra non abbiamo altro che il caso per darci una spiegazione» buttò
lì il controllore, pensieroso. «Comunque, stiamo andando fuori a dare
un’occhiata al parcheggio. Ci sono diverse automobili, e forse i conducenti
arriveranno presto a riprendersele. Tanto vale dare uno sguardo in giro.»
Uscirono
e Roberto squadrò le vetture ferme con una punta di inquietudine nell’animo.
C’era un elemento che rendeva l’intero scenario surreale, ma non riusciva a
spiegarselo. Poteva essere il cielo color piombo, aveva pensato da sopra il
tetto della stazione. Ma non era quello. E non era neppure l’odore di pioggia
che aleggiava nell’aria, quell’odore di asfalto bagnato che accompagna ogni acquazzone
degno di tale nome. Era qualcos’altro. Qualcosa di decisamente più sinistro, ecco. Qualcosa fuori posto.
«Guardiamo
se ci sono contrassegni sul parabrezza. Non è un parcheggio a ore, perciò è
inutile controllare il disco orario. Non cerchiamo ricevute di pagamento,
perché tanto qui i posteggi sono gratuiti. Vediamo solo di trovare qualcosa che
ci possa far capire quando torneranno
indietro.»
Roberto
passò di fronte a una Ford e la
esaminò con attenzione. Notò che Francesca lo seguiva, ma non se la sentì di
dirle di controllare un’altra macchina. Un paio d’occhi in più faceva sempre
comodo, e poteva anche darsi che lei notasse qualcosa che a lui poteva
sfuggire.
«La Peugeot è vuota. Sembra nuova di zecca.
L’assicurazione è del mese scorso» commentò Nicola a breve distanza.
«Anche
questa Lancia non ha niente da dirci.
Ragazzi, voi girate per di là, io e Nicola controlliamo quelle macchine in
fondo» ordinò il controllore, indicando con un cenno del capo i punti che
nominava.
Si
spostarono, tanto la Ford non aveva
niente in vista, e passarono dietro a un furgoncino con una botta sulla
fiancata. Roberto spiò nell’abitacolo e non registrò la presenza di alcun
particolare che potesse essere loro utile.
«Ormai
siamo bloccati in questa stazione già da più di un’ora. Vuoi davvero che
nessuno, alle prossime fermate, si sia accorto del ritardo?» mormorò Francesca,
occhieggiando incuriosita un maglioncino accasciato sul sedile del passeggero
di una Fiat Punto.
«Magari
cercano di contattarci. Certo è strano che qui alla biglietteria non ci sia
nessuno. Ma se le linee telefoniche sono guaste e l’addetto se l’è squagliata
prima delle fine del turno…»
«Ma
quella macchina non è aperta?» lo interruppe Francesca, allontanandosi a passo
spedito. Roberto guardò nella sua direzione e non vide nulla. Lasciò perdere la
Punto e seguì la ragazza, che nel
frattempo aveva rallentato e girava attorno a un’Alfa Romeo.
Passò
dalla parte del guidatore e squadrò con orrore crescente la portiera
spalancata.
Ci siamo. Questa non è più una dannata coincidenza. Non può esserlo.
«Abbiamo
trovato qualcosa!» chiamò, ascoltando poi i passi frettolosi di Nicola e del
controllore che correvano a vedere.
Francesca
si spostò accanto alla portiera e guardò nell’abitacolo vuoto. «C’è un
portafoglio, qui dentro. Sul sedile di fianco» annunciò, muovendo lo sguardo
febbrilmente da una parte all’altra.
«Se
l’è dimenticato qualcuno?» domandò il controllore, avvicinandosi alla vettura
aperta.
«No,
non sembra essere stato dimenticato. Piuttosto, sembra essere stato appoggiato lì dov’è» lo contraddisse la
ragazza, protendendosi verso l’interno. «Il freno a mano è stato tolto. Ma so
che molta gente non lo mette mai quando smonta.» Si sedette al posto di guida,
e inarcò le sopracciglia in un’espressione confusa. Sollevò gli occhi impauriti
e li puntò su quelli di Roberto. «Le chiavi sono ancora inserite.»
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