«Dove
state andando con questo treno, ragazzi?» s’informò il controllore mentre
salivano la strettissima scalinata interna nascosta dietro la biglietteria.
«Firenze»
rispose prontamente Roberto, notando che Francesca non aveva per niente voglia
di parlare.
«A
trovare alcuni amici o per farvi un giro da soli?»
«Da
soli. Diciamo che l’idea è quella di risolvere alcune questioni in sospeso»
spiegò Roberto con una certa cautela, evitando di lasciare che il problema vero
e proprio trasparisse attraverso le sue parole o il tono di voce.
«Hm
hm» mugugnò il controllore, per far intendere che aveva capito. «Be’, spero che
questa sosta imprevista sia breve. Quanto rimarrete a Firenze?»
«Tre
giorni.»
«Cerchiamo
di non farvi perdere il primo, allora» concluse, e aprì la porticina in cima
alle scale, rivelando di nuovo il cielo livido.
Uscirono
sul tetto della stazione e Roberto ebbe così modo di guardarsi rapidamente
attorno. Era un posto dimenticato da Dio, spoglio e isolato. Attorno vedeva
solo distese di campagna a perdita d’occhio. Il profilo di un campanile
lontano, seminascosto dagli alberi. La stradicciola che abbandonava il
parcheggio della stazione e si immergeva nel verde, soffocando in mezzo alla
vegetazione e ricomparendo a tratti un po’ più in là. Non riusciva a scorgere
alcun incrocio, il che significava che la strada principale doveva essere
distante. E lo stesso valeva per il paese più vicino. Probabilmente quello del
campanile sullo sfondo, troppo piccolo per essere a meno di una mezza dozzina
di chilometri di distanza.
«È
una piccola fermata» disse il controllore, come se avesse letto i pensieri di
Roberto. «Non ci sono grossi centri abitati qui intorno. Ma le stazioni si
trovano tutte a distanze più o meno regolari, e quella precedente era troppo
distante dalla prossima per poter coprire la zona in cui ci troviamo. Così è
stata aggiunta questa stazione. La stradicciola che va dal parcheggio si
ricongiunge alla strada principale a un paio di chilometri da qui. La strada
principale, a sua volta, mette in collegamento una decina di paesi che
altrimenti non avrebbero potuto usufruire in alcun modo della linea
ferroviaria.»
«Conosci
bene questo posto» notò Roberto, mentre guardava Francesca avvicinarsi pian
piano al bordo del tetto e accendere il cellulare.
«È
solo perché questa è una stazione particolare, ecco tutto. Mi piace sapere dove
vado, quando salgo in treno, e conoscere le fermate di una tratta può essere
utile anche nel caso in cui i passeggeri chiedano informazioni su dove
scendere. Faccio il mio lavoro.»
«Voglio
chiederti una cosa» esordì Roberto, senza guardare il controllore negli occhi.
Finse di ammirare il panorama, anche se in realtà c’era ben poco da guardare.
«Vediamo
se posso risponderti.»
«Penso
che tu non ci abbia detto tutto, mentre eravamo in treno» affermò, con un tono
di voce molto controllato. Percepì l’ansia sul volto e nel respiro del
controllore. Era stato diretto, ma andava bene così. Era meglio che girarci
intorno senza concludere niente.
«È
vero, è così» rispose l’uomo dopo qualche istante di esitazione. Lo disse con
un velo di amarezza e un pizzico di titubanza.
Roberto
per un momento si sentì gelare. Ma non parlò.
«Cerca
di capire, però. Non potevo dirlo là dentro, in quel vagone affollato. Non
davanti a tutte quelle persone preoccupate. Certe volte è meglio tacere,
piuttosto che creare allarmismi inutili. Lo sappiamo solo io e Nicola, e
preferirei che tu non lo dicessi a nessuno, quando torneremo sul treno.»
«Sicuro»
lo tranquillizzò Roberto, sentendo di essere a un passo da una verità
estremamente difficile da digerire.
«Quando
il treno si è fermato in questa stazione, io mi trovato nel vagone sei. Stavo
seduto ad aspettare che ripartissimo, e dopo che sono passati cinque minuti ho
pensato fosse meglio andare a controllare se il macchinista stesse bene.»
Roberto
ascoltava. Ascoltava ma aveva paura di sentire ciò che sarebbe seguito.
L’espressione del controllore non prometteva niente di buono. Aveva la fronte aggrottata
nella grottesca caricatura di un cane bastonato, e una goccia di sudore gli
rotolava lungo la tempia malgrado il freddo.
«Ho
attraversato i vagoni lentamente, rassicurando i passeggeri che mi chiedevano
se fosse tutto quanto in ordine. Di solito non ci si ferma a lungo, nelle
stazioni piccole. Un paio di minuti e si riprende la corsa. I passeggeri
abituali sollevavano già alcune perplessità, e mi hanno fatto perdere un po’ di
tempo. Sono arrivato in fondo quando ormai eravamo fermi da dieci minuti, e ho
trovato il signor Nicola che mi fissava con aria sconcertata.
«Gli
ho chiesto se fosse tutto a posto. Non lo conoscevo, e mi ha detto di essere un
ex dipendente di Trenitalia. Gli ho
domandato di nuovo se ci fosse qualche problema, e mi ha risposto di guardare
io stesso. Così ho guardato.
«La
cabina di guida era vuota. Chiusa dall’interno, ma vuota. Nessuno sul sedile,
nessuno a terra. Ho guardato attraverso il vetro di quella porta per quasi
cinque minuti interi, prima di convincermi del fatto che il macchinista non
c’era più. Che era sparito, e che per questo motivo il treno non sarebbe potuto
ripartire.»
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