Ci
volle quasi un minuto intero di silenzio per metabolizzare ciò che Nicola aveva
detto. Non erano notizie facili da digerire. Ma una spiegazione doveva esserci
senz’altro. Magari si stavano preoccupando per niente, ragionò Roberto. Poteva
anche darsi che dentro alla stazione ci fosse un cartello grande come una casa
con su scritto CABINE TELEFONICHE NON
FUNZIONANTI e che il vecchio signor Nicola non l’avesse visto. C’era
anche da tenere in considerazione l’eventualità che avesse avuto la sfortuna di
beccare proprio le uniche tre cabine guaste.
«D’accordo.
Niente paura» intervenne il controllore, inghiottendo a vuoto. «Può succedere,
non possiamo basarci soltanto sulle cabine. Chissà da quanto tempo non vengono
utilizzate. In ogni stazione c’è una biglietteria. Questa non fa eccezione. Hai
visto nessuno, là dentro?»
«Nessuno»
mormorò Nicola, scuotendo il capo imbiancato di polvere della vecchiaia.
«Il
nostro uomo potrebbe essersi andato a fare un caffè. Adesso scendo con il
signor Nicola e andiamo assieme a dare un’occhiata. Nelle biglietterie ci sono
sempre uno o due telefoni fissi che si utilizzano per contattare le sedi o le
altre stazioni in caso di necessità. Useremo quelli, sono decisamente più
affidabili delle cabine pubbliche.»
«Cercate
di farvi mandare un treno in fretta, o perlomeno un autobus!» gridò qualcuno.
«Faremo
il possibile, non vi preoccupate. Non siamo stati molto fortunati, a fermarci
in un posto del genere. Voglio chiedere a qualcuno di voi di venire con me, per
piacere. Con un cellulare. Mentre noi rintracciamo il telefono della
biglietteria, ci serve qualcuno che cerchi una zona qua attorno in cui ci sia
campo. Una lieve altura, o il tetto della stazione stessa.»
Roberto
lanciò un’occhiata d’intesa a Francesca e alzò la mano. «Veniamo noi!» Voleva
vederci chiaro, in quella faccenda, e forse l’unico modo per sapere che cosa
nascondesse il controllore era uscire da quel vagone affollato e parlarci a
quattr’occhi.
«I
due ragazzi là in fondo. Avete un cellulare?»
«Sì.
Con diversi operatori» rispose Roberto, anche se sapeva che non era del tutto
vero.
Francesca
sbuffò. Non era troppo felice di dover scendere. Fuori faceva sicuramente
freddo, e lei aveva il giubbotto nello zaino. Lo avrebbe dovuto aprire per
coprirsi. Roberto la guardò negli occhi e capì che avrebbe aspettato il momento
giusto per fargliela pagare. Una volta arrivati a Firenze, probabilmente.
«Benissimo.
Venite con noi» acconsentì il controllore, e la folla che riempiva il vagone si
spostò per aprire loro uno stretto corridoio verso la porta d’uscita
semichiusa.
Scesero
all’esterno, sul cemento armato, e il gelo graffiò loro la pelle
immediatamente.
Francesca
cercò di scaldarsi strofinandosi le braccia con le mani, ma già il suo respiro
si condensava in piccole nuvolette di vapore. Roberto le aprì lo zaino e le
passò il giubbotto, che lei si affrettò a indossare senza dire una sola parola.
Non era contenta che lui avesse preso per entrambi la decisione di uscire dal
treno. Ma le avrebbe spiegato il motivo della scelta più tardi, quando fossero
stati soli.
«Per
adesso venite con noi nella stazione. Poi da lì vedremo cosa fare» stabilì il
controllore, così lo seguirono in direzione della porta spalancata, attraversando
la barriera di freddo che li separava dalla facciata della stazione e guardandosi
intorno con circospezione.
«Mi
sembra molto strano che non ci sia proprio nessuno. Non è un orario inconsueto»
considerò Roberto ad alta voce mentre camminavano.
«Di
solito c’è sempre gente che sale e scende ad ogni fermata, persino di notte» lo
appoggiò Nicola, con un tono più pacato.
«Questa
è una stazione fuori mano» tentò di spiegare il controllore, ma le sue parole
sembravano inciampare sui propri stessi suoni. «Ho seguito questa tratta
diverse volte, prima di oggi, e non ricordo ci sia mai stata molta affluenza in
questa fermata in particolare.»
«Ma
almeno qualcuno c’era, di solito, giusto?» insisté Roberto, speranzoso di
ricavare qualche informazione in più.
«Sì.
Di solito sì» cedette il controllore, con scarsa convinzione. «Ma non è questo
il caso.»
«Lo
vedo…» commentò Francesca, e varcarono assieme la soglia in penombra della
stazione, abbandonando il cielo color piombo in favore di un soffitto bianco in
parte scrostato dall’umidità.
«Questo
posto fa venire i brividi» farfugliò Roberto raccogliendo una visione
d’insieme. Le pareti erano intonacate di bianco, come il soffitto. L’intonaco
era rovinato in più punti, probabilmente a causa di qualche infiltrazione
d’acqua. C’erano tre file di seggiole, tutte rigorosamente imbullonate al
pavimento. Tracce di fango sulle piastrelle grigie. Parevano recenti, alcune
erano ancora bagnate. Aveva piovuto anche lì, quella mattina. Forse fino a poco
prima del loro arrivo. Il che significava che qualcuno aveva lasciato quelle
impronte di terriccio, giusto? Qualcuno che era passato di lì, nella stazione.
Più di una persona, a giudicare dalla distribuzione del fango.
Una
delle pareti presentava otto cabine telefoniche attaccate al muro, tutte con i
ricevitori e i piccoli scompartimenti di plexiglas ad altezza d’uomo. Un’altra
parete mostrava l’esterno attraverso un paio di finestre sporche. Al centro
c’era una porta, posta esattamente di fronte a quella che portava ai binari.
Anche questa era aperta, e dava su uno spiazzo asfaltato circondato da alberi.
Il parcheggio, con ogni probabilità.
La
quarta parete era quella della biglietteria. C’era un unico sportello, con la
tipica facciata di vetro, sormontato da un tabellone digitale che avrebbe
dovuto esibire gli orari. Il tabellone era spento, ma forse perché avevano
avuto dei problemi con la corrente. In fondo, anche il grosso orologio sulla
facciata della stazione si era bloccato. Doveva essere alimentato da un cavo
elettrico, proprio come il tabellone digitale. Ma allora, se davvero mancava la
corrente, per quale ragione i telefoni avrebbero dovuto squillare a vuoto?
«C’è
nessuno?» domandò il controllore a gran voce.
Nessuna
risposta. L’interrogativo del controllore rimbombò contro le pareti e il
soffitto e ritornò da loro amplificato.
«Quando
riuscirò a contattare la sede di Padova dovrò fare un bel rapporto, in merito a
questa dannata stazione. L’addetto alla biglietteria si ritroverà in brache di
tela nel giro di un paio di giorni al massimo, parola mia» brontolò il
controllore avvicinandosi alla biglietteria.
Diede
un’occhiata attraverso il vetro protettivo. «È vuota. Ma c’è un telefono»
borbottò. «Nicola, vieni qui e prova a chiamare tutti i numeri che ti vengono
in mente. Anche personali, se vedi che quelli per le emergenze non ti danno
risposta. Magari hanno avuto qualche rogna con altri treni, e se ne stanno
occupando…»
«Va
bene» approvò il vecchietto, raggiungendolo e cercando la porta della
biglietteria.
«Io
vado coi ragazzi sul tetto. Vediamo se siamo capaci di prendere una tacca di
segnale, là in cima» concluse il controllore, e fece cenno a Roberto e
Francesca di seguirlo.
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