lunedì 19 agosto 2013

Accordi nel Buio - 3

Si ridestò, affiorando adagio dall’immobile superficie del lago dei pensieri, e si ritrovò in quel marciapiede dov’era stato fino ad un attimo prima, con quella chitarra elettrica che ancora gli sconquassava la testa suonando accordi intensi e inebrianti. Un’auto gli passò lenta accanto, ma non si fermò. I suoi fari facevano luccicare a malapena l’asfalto asciutto, e le stelle continuavano a non fiatare, sospese nel vuoto come occhi bramosi di udire il seguito della sua storia. Sospirò e continuò a ricordare, mentre un’eco recondita farfugliava senza tregua: Venticinque anni. Venticinque, maledizione.
Obbligò il dolore a gocciolare aspro all’interno delle sue labbra, così da poterlo assimilare con più calma e riuscire a sopportarlo. Sì, la musica era scomparsa dalla sua testa quando aveva compiuto sedici anni, e tutto era ritornato alla piatta normalità di sempre. I campionati di baseball erano andati avanti, succedendosi uno dopo l’altro. Le stagioni erano scivolate via, gli anni di scuola erano stati snocciolati rapidamente, e lui aveva fatto le sue esperienze, con l’alcol, con le macchine, con le ragazze, con le grandi e piccole delusioni che la vita riserva sempre a ciascuno di noi.
Venticinque anni…
Venticinque anni prima si era sposato con Betty Loghan, una ragazza pompon che aveva conosciuto durante l’ultimo anno di liceo, periodo in cui giocava nella squadra di football per accaparrarsi un po’ di crediti scolastici in vista della fine dell’arco di studi. L’incontro era avvenuto così come quelle cose capitano sempre: lui, durante un allenamento, l’aveva vista saltellare a bordo campo, le trecce lunghe e bionde che svolazzavano all’unisono con la gonnellina colorata troppo corta, che lasciava intravedere rapidi scorci delle mutandine. Si era subito informato su chi fosse, e il primo sabato sera in cui l’aveva incontrata ad una festa si era fatto avanti e l’aveva invitata ad uscire.
Avevano vissuto molti bei momenti, seguendo le varie tappe che una storia d’amore cominciata al liceo non può non comprendere, e il tutto era sfociato nel matrimonio. A quell’epoca lui non si ricordava quasi più della musica che qualche volta, quand’era più piccolo, lo portava per mano a vedere cose orribili. La riteneva solamente una sciocca invenzione dell’infanzia, nulla più.
Ma dopo la prima notte di nozze era cambiato tutto. E la musica aveva ricominciato a chiamarlo con il suo caldo e suadente tono di voce.
Quella notte, abbandonato tra le coperte del letto a baldacchino dentro la camera d’albergo, sfinito dopo aver fatto l’amore con Betty Loghan, l’ex ragazza pompon dalla gonnellina corta che quando saltava faceva scorgere il bordo di pizzo delle proprie mutandine tra le belle cosce vellutate, sul punto di assopirsi aveva cominciato ad udire delle note. Le corde di un pianoforte.
Un pianoforte…
Dapprima la melodia era stata soffusa e armoniosa, come un labile sogno, ma poi era cresciuta sempre più d’intensità, arrivando ad invadergli la testa.
Aveva ricollegato quelle note di pianoforte alla musica che lo coglieva in ogni momento durante la sua giovinezza soltanto dopo, rimuginandoci sopra mentre fingeva di dormire accanto alla sua fresca sposa.
Un pianoforte…
Gli pareva che quei suoni provenissero dalla stanza adiacente, e qualcosa dentro la sua testa gli diceva di uscire in corridoio a dare un’occhiata. Aveva scostato delicatamente le coperte dal corpo nudo di sua moglie, già piombata in un profondo sonno ristoratore, e si era alzato dal materasso, dirigendosi verso la porta in punta di piedi e schiudendola un momento per vedere che cosa stesse succedendo fuori, giusto lo spazio necessario a consentire all’occhio di poter solcare uno stralcio di corridoio.
Era tutto deserto, e le luci tremolanti delle lampade illuminavano le due file parallele di porte serrate che correvano fino alle scale e agli ascensori sei o sette metri più in là. Una sola delle entrate era rimasta aperta, e spiccava come una grande bocca spalancata sulla parete ricoperta da una carta da parati di dubbio gusto.
I tasti bianchi e neri, percorsi da dita leggere, stavano facendo vibrare le corde del piano proprio in quella stanza.
Era uscito nel corridoio, in silenzio, e sempre in punta di piedi si era avvicinato all’uscio dal quale scaturiva quell’inesauribile sorgente di note altisonanti. Si era appoggiato alla maniglia della porta e aveva gettato uno sguardo all’interno. Si era sentito un po’ come un ladro, e si era immaginato l’arrivo di un impiegato dell’albergo che lo coglieva di sorpresa nell’atto di sbirciare dentro la camera di qualcun altro.
Ma ogni pensiero era stato sostituito da una cupa stretta di terrore improvvisa, perché in fondo alla stanza era comparsa la magra figura di una donna dalla pelle scolpita, il corpo scultoreo completamente nudo, i lunghi capelli ramati che le ricadevano sulle spalle, la linea della silhouette che si muoveva come sospesa nell’aria, i tondi seni che danzavano assecondando i suoi movimenti, gli occhi color zaffiro e le labbra rosse come rubino, e le note del pianoforte erano esplose in un impeto devastante. Era dalla bocca di quella donna che usciva la musica, e i loro occhi si erano incontrati per qualche istante e i loro sguardi, incrociandosi, si erano messi in contatto.
Poi, la donna si era voltata in direzione della finestra e, senza esitazione, si era squarciata la gola con un coltello da cucina, stramazzando a terra come un manichino senza vita, come una bambola di pezza inanimata, come un mucchietto d’ossa tenute insieme con uno spago, il bellissimo corpo nudo palpato dai freddi raggi della luna.
Aveva fatto ritorno rapidamente nella propria stanza, sdraiandosi sotto le coperte accanto alla moglie e cercando di calmarsi perché i palpiti del suo cuore avevano raggiunto la velocità con cui un esperto batterista percuote il proprio strumento durante un concerto rock. La mattina seguente la porta della camera dove la ragazza nuda si era tolta la vita era chiusa, e l’unico segno di qualcosa che non andava erano i due poliziotti che parlavano nella hall con il direttore dell’albergo, scena alla quale fortunatamente Betty non aveva fatto caso.
Il viaggio di nozze era proseguito senza intoppi fino alla fine, ed era stato bello, ma per tutto il tempo non era riuscito a togliersi dalla testa quei vacui occhi color zaffiro fissi nei suoi. Al ritorno, la musica aveva ricominciato a ossessionarlo.
Ogni tanto percepiva il suono di qualche strumento, lo seguiva e si ritrovava a dover sostenere la vista di avvenimenti che avrebbe preferito neanche conoscere. Venticinque anni. In venticinque anni ne aveva viste di cotte e di crude. Una volta era passato un anno senza musica, un’altra volta tre. Un camionista aveva investito quattro persone lungo una strada statale, un’abitazione aveva preso fuoco con un’intera famiglia al suo interno, un autobus era andato fuori strada ed era esploso addosso alle pompe di un distributore di benzina, il tutto sotto i suoi occhi, e altre decine di incidenti simili erano scorsi davanti al suo sguardo muto e sempre più impassibile.
E adesso gli accordi di una chitarra elettrica impazzita lo avevano trascinato lì, facendogli strusciare pigramente le suole delle scarpe sulla superficie buia del marciapiede, e le stelle ascoltavano quella musica e i suoi pensieri assorbendoli avidamente, tutto d’un fiato. Si preannunciava un disastro particolarmente violento, e anche se non ne poteva più sarebbe comunque rimasto a guardare, magari riflettendo ancora e ancora sul fatto che dopo venticinque anni
(venticinque, maledizione)
sua moglie, l’ex sexy ragazza pompon Betty Loghan, l’aveva piantato in asso per andarsene a vivere per conto proprio.
Sapeva perché lo aveva abbandonato, ovviamente. Le sue parole lo avevano fatto star male, ma tutto il dolore che provava derivava direttamente da lui stesso, perché era stato lui, sebbene indirettamente, a provocare quella rottura. Non posso più farcela ad andare avanti così. Non posso e non voglio farlo.

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