venerdì 9 agosto 2013

La Barca del Destino

Chi può dire di che cosa siamo fatti esattamente? Un corpo, un cuore che pompa, un complesso circuito elettrico che si innerva in tutto il macchinario a partire dal cervello e un elaborato sistema idraulico controllato da valvole e tubi di diverso diametro. Siamo fatti d’acqua, perlopiù, o almeno così ci dicono. E una buona parte di quest’acqua è mescolata al nostro sangue.
Christopher ne era cosciente. Sapeva che la maggior parte del nostro corpo è fatta d’acqua, e sapeva anche che una notevole parte di questa si trova nel sangue, e scorre avanti e indietro per i tubi che ci attraversano portando energia ad ogni singolo componente del macchinario, tanto al più indispensabile quanto al più insignificante.
Dopotutto, Christopher lo aveva visto. Aveva visto gli occhi annacquati dei suoi famigliari spegnersi come fiammelle troppo deboli per resistere al vento di un temporale, mentre le loro tubature oramai danneggiate riversavano la propria acqua vermiglia sul pavimento della camera da letto.
Sua moglie. Suo figlio. La follia di un uomo, inarrestabile, che gli aveva strappato il cuore dal petto con un coltello preso dal primo cassetto della cucina, e poi aveva deciso di giocarci una partita a ping-pong adoperandolo come una pallina di gomma. E Christopher, di fronte a tutto questo, era rimasto impotente. Legato al letto, con i polsi stretti e le caviglie frantumate, lo aveva obbligato a guardare, a contare ogni goccia che fluiva dai corpi esanimi della sua famiglia, ad ascoltare i loro ultimi respiri, gli ultimi battiti dei loro cuori affaticati, che ancora adesso echeggiavano nella sua testa e tormentavano i suoi incubi.
Per mesi, costretto sulla schiena in un letto d’ospedale, non aveva fatto altro che nutrire con la flebo e con i pensieri il proprio desiderio di vendetta, arginando tutto il resto e permettendo alla rabbia, alla paura e alla sofferenza di riprendere il controllo soltanto quando si addormentava.
Le caviglie erano guarite. Le tubature erano state riaggiustate, l’acqua scorreva di nuovo senza problemi e ribolliva nelle sue vene come metallo fuso. Ma l’anima era straziata. E di acqua ne versava ancora, il suo corpo, nonostante tutto. Di notte, quando gli incubi assediavano la sua mente. L’acqua usciva dagli occhi e inumidiva il cuscino. Era limpida e pulita, sapeva vagamente di sale.
Aveva ripreso a camminare. A stento, non senza fatica, e gli provocava immense fitte di dolore. Ma doveva camminare bene, se voleva riuscire a soddisfare la sete di vendetta.
Camminava a ridosso di un fiumiciattolo, poco più largo di un fosso, con la corrente calma e un tetto di foglie verdi che sussurravano instancabili i segreti di altri tempi, rivestendo d’ombra il canale e disegnando sulla sua superficie increspata grosse monetine di luce dorata.
Fu uno sciacquio alle sue spalle a richiamare la sua attenzione, facendo riemergere la sua coscienza dal lago nero di pensieri nel quale stava per annegare. Si voltò, e vide una barca di legno marcio venire verso di lui, sormontata da una figura bassa e contorta, con mani nodose che stringevano un lunghissimo remo e lo utilizzavano per spingersi avanti. La barca scivolava sull’acqua nella sua direzione, controcorrente, eppure non sembrava essere in difficoltà. Il viso che la guidava era nascosto nell’ombra stantia di un cappuccio, eppure la sua voce sapeva marcatamente di antico.
«Guarda, Christopher» mormorò, sollevando un lembo della coperta lercia che giaceva ai suoi piedi e rivelando una catasta di bottiglie di plastica senza etichetta, gettate alla rinfusa, piene di liquido trasparente. Una mano nodosa abbandonò il remo e raccolse una di quelle bottiglie, sollevandola ed esibendola davanti agli occhi dell’uomo. «Sono le lacrime dell’umanità intera. Le raccolgo da tutto il mondo, le porto con questa barca all’oceano, dove si intrecciano e si spezzano i destini.»
Di colpo la barca apparve piena di bottiglie simili, tutte senza etichetta, sparse su un ponte di legno marcio che proseguiva in entrambe le direzioni a perdita d’occhio. Una barca lunga come tutti i fiumi del mondo messi assieme, e piena di bottiglie di lacrime, e Christopher si sentì mancare.
«Ho riempito molte di queste con le tue lacrime. Non sono ancora intorbidite dal sangue, ma il loro sapore è amaro. Avvelenato. Bisogna ripulirle.» Lasciò cadere la bottiglia sul fondo di legno della barca e indicò con un dito nodoso un punto della corrente poco più avanti. Christopher guardò, strabuzzò gli occhi e si inginocchiò sul terreno. Osservò passare, a galla sulla superficie dell’acqua, il cadavere dell’uomo che aveva massacrato la sua famiglia, lo sguardo smarrito in una tenebra eterna.

Nessun commento:

Posta un commento

siti