Chi può dire di che cosa siamo fatti esattamente? Un
corpo, un cuore che pompa, un complesso circuito elettrico che si innerva in
tutto il macchinario a partire dal cervello e un elaborato sistema idraulico
controllato da valvole e tubi di diverso diametro. Siamo fatti d’acqua,
perlopiù, o almeno così ci dicono. E una buona parte di quest’acqua è mescolata
al nostro sangue.
Christopher ne era cosciente. Sapeva che la maggior parte
del nostro corpo è fatta d’acqua, e sapeva anche che una notevole parte di questa
si trova nel sangue, e scorre avanti e indietro per i tubi che ci attraversano
portando energia ad ogni singolo componente del macchinario, tanto al più
indispensabile quanto al più insignificante.
Dopotutto, Christopher lo aveva visto. Aveva visto gli
occhi annacquati dei suoi famigliari spegnersi come fiammelle troppo deboli per
resistere al vento di un temporale, mentre le loro tubature oramai danneggiate
riversavano la propria acqua vermiglia sul pavimento della camera da letto.
Sua moglie. Suo figlio. La follia di un uomo,
inarrestabile, che gli aveva strappato il cuore dal petto con un coltello preso
dal primo cassetto della cucina, e poi aveva deciso di giocarci una partita a
ping-pong adoperandolo come una pallina di gomma. E Christopher, di fronte a
tutto questo, era rimasto impotente. Legato al letto, con i polsi stretti e le
caviglie frantumate, lo aveva obbligato a guardare, a contare ogni goccia che
fluiva dai corpi esanimi della sua famiglia, ad ascoltare i loro ultimi
respiri, gli ultimi battiti dei loro cuori affaticati, che ancora adesso echeggiavano
nella sua testa e tormentavano i suoi incubi.
Per mesi, costretto sulla schiena in un letto d’ospedale,
non aveva fatto altro che nutrire con la flebo e con i pensieri il proprio
desiderio di vendetta, arginando tutto il resto e permettendo alla rabbia, alla
paura e alla sofferenza di riprendere il controllo soltanto quando si
addormentava.
Le caviglie erano guarite. Le tubature erano state
riaggiustate, l’acqua scorreva di nuovo senza problemi e ribolliva nelle sue
vene come metallo fuso. Ma l’anima era straziata. E di acqua ne versava ancora,
il suo corpo, nonostante tutto. Di notte, quando gli incubi assediavano la sua
mente. L’acqua usciva dagli occhi e inumidiva il cuscino. Era limpida e pulita,
sapeva vagamente di sale.
Aveva ripreso a camminare. A stento, non senza fatica, e
gli provocava immense fitte di dolore. Ma doveva camminare bene, se voleva
riuscire a soddisfare la sete di vendetta.
Camminava a ridosso di un fiumiciattolo, poco più largo di
un fosso, con la corrente calma e un tetto di foglie verdi che sussurravano instancabili
i segreti di altri tempi, rivestendo d’ombra il canale e disegnando sulla sua
superficie increspata grosse monetine di luce dorata.
Fu uno sciacquio alle sue spalle a richiamare la sua
attenzione, facendo riemergere la sua coscienza dal lago nero di pensieri nel
quale stava per annegare. Si voltò, e vide una barca di legno marcio venire
verso di lui, sormontata da una figura bassa e contorta, con mani nodose che
stringevano un lunghissimo remo e lo utilizzavano per spingersi avanti. La
barca scivolava sull’acqua nella sua direzione, controcorrente, eppure non
sembrava essere in difficoltà. Il viso che la guidava era nascosto nell’ombra
stantia di un cappuccio, eppure la sua voce sapeva marcatamente di antico.
«Guarda, Christopher» mormorò, sollevando un lembo della
coperta lercia che giaceva ai suoi piedi e rivelando una catasta di bottiglie
di plastica senza etichetta, gettate alla rinfusa, piene di liquido
trasparente. Una mano nodosa abbandonò il remo e raccolse una di quelle
bottiglie, sollevandola ed esibendola davanti agli occhi dell’uomo. «Sono le
lacrime dell’umanità intera. Le raccolgo da tutto il mondo, le porto con questa
barca all’oceano, dove si intrecciano e si spezzano i destini.»
Di colpo la barca apparve piena di bottiglie simili, tutte
senza etichetta, sparse su un ponte di legno marcio che proseguiva in entrambe
le direzioni a perdita d’occhio. Una barca lunga come tutti i fiumi del mondo
messi assieme, e piena di bottiglie di lacrime, e Christopher si sentì mancare.
«Ho riempito molte di queste con le tue lacrime. Non sono
ancora intorbidite dal sangue, ma il loro sapore è amaro. Avvelenato. Bisogna
ripulirle.» Lasciò cadere la bottiglia sul fondo di legno della barca e indicò
con un dito nodoso un punto della corrente poco più avanti. Christopher guardò,
strabuzzò gli occhi e si inginocchiò sul terreno. Osservò passare, a galla
sulla superficie dell’acqua, il cadavere dell’uomo che aveva massacrato la sua
famiglia, lo sguardo smarrito in una tenebra eterna.
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