Che cos'è esattamente l'esperienza della scrittura, per chi se ne occupa? La domanda non è semplice, e me la pongo con uno scopo ben preciso in testa: quello di cercare di capire, per quanto possibile, il valore che effettivamente assume per me l'attività dello scrivere.
Partiamo dalle basi, d'accordo? L'ispirazione. L'ispirazione per uno scrittore è un po' come un sogno ad occhi aperti: non la si può programmare, non la si può pilotare, non si può decidere se accettarla oppure no. Lei semplicemente arriva, prende posto e non si alza più. Ma bisogna fare attenzione, perché alle volte tende a nascondersi o a fuggire senza avvisare. Perciò bisogna tenerla sempre sotto controllo, anche mentre ci si dedica a qualcos'altro. Perché in fondo l'ispirazione è anche come una piccola stella cadente che precipita sul palmo della mano: se si chiudono le dita e la si conserva rimane qualche speranza di poterla sfruttare, altrimenti piano piano smette di luccicare e da un momento all'altro sparisce, dissolvendosi in una polvere leggera e scintillante.
Una volta arrivata l'ispirazione è fatta: limitarsi a trattenerla diviene ben presto impossibile, e bisogna riversarla sulla carta al più presto. Ecco che la scrittura si trasforma in necessità: non posso impedirmi di scrivere, nemmeno quando c'è di mezzo una miriade di altri impegni. Sarebbe semplicemente un atto di autoviolenza, puro e crudele. Limitare l'ispirazione e impedirsi di scrivere è la stessa cosa che smettere volontariamente di respirare. Fa male, e il dolore si espande lentamente fino a diventare insopportabile.
Ecco che cos'è l'esperienza della scrittura, per chi se ne occupa: è impedirsi di soffrire, evitando che l'ispirazione, una volta giunta nell'anima, la laceri irrimediabilmente per fuoriuscire.
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