venerdì 30 settembre 2011

Nel Crepuscolo della Vita

Chiuse gli occhi e per un istante immaginò l’immensa folla che lo attendeva al di là del sipario, oltre quel palcoscenico dal quale avrebbe parlato al più grande numero di spettatori che si fosse mai radunato nella storia per sentir parlare uno scrittore. Sospirò lievemente, facendosi coraggio. In fondo non doveva fare altro che soppesare al meglio le parole da adoperare – il suo mestiere dopotutto, il suo pane quotidiano – e il resto sarebbe venuto da sé. Sapeva che per conquistarli doveva scendere dalla loro parte. Una volta fatto questo, le parole avrebbero cominciato a scorrere più libere e veloci, ne era certo.
Trasse un profondo respiro e riaprì gli occhi. Il tendone scarlatto del sipario gli ricadeva di fronte, quasi sulle spalle da quanto gli era vicino. Varcata quella linea di confine si sarebbe ritrovato in terra straniera. Ma, allo stesso tempo, sarebbe anche ritornato a casa. Due sensazioni opposte che si abbracciavano. Facendole proprie avrebbe avuto la sicurezza di poter aprire una breccia nei cuori di quelle persone che lo attendevano di fuori e, immediatamente dopo, di poterli espugnare. Perché era questo il suo intento in fin dei conti, giusto? Catturarli con le parole e indurli a spalancare gli occhi per puntarli su quelle cose che troppo a lungo avevano continuato a sopravvivere nell’ombra.
«È il tuo turno» lo avvisò con voce sovraeccitata un assistente, l’immancabile tabella con il programma della serata sottobraccio e un auricolare all’orecchio collegato con gli addetti alle luci e la regia. Ogni suo movimento sarebbe stato registrato, ogni sua parola impressa su nastro e in futuro ripetuta per chissà quante migliaia di volte. Avere piena consapevolezza di tutto ciò faceva un certo effetto. Ma sapeva che adesso non era il momento di lasciarsi andare all’agitazione. Ora era tempo di permettere alle parole che gli mulinavano nella testa di sgorgare attraverso le sue labbra. Soltanto così nulla di quello che aveva fatto fino ad allora sarebbe parso vano.
«Su, coraggio!» lo esortò l’assistente, stavolta con fare meno accomodante, facendogli capire che non poteva concedersi un solo istante di esitazione in più. Gli sorrise e attraversò quella porta invisibile che separava lo spazio dietro le quinte dal palcoscenico. Un boato fragoroso lo investì come una zaffata d’aria gelida, subito seguito dal piacevole tepore delle luci che si posarono sulla sua figura e la ammantarono, rubandolo al tempo e al luogo nei quali si trovava e strappandolo all’oscurità della notte ormai già avviata.
Più avanti c’era un microfono. Solo, in mezzo al palco. Spostato un po’ in avanti, verso tutta la gente che non vedeva. Dovevano essere davvero in tanti. Ma tutti tacevano ora, l’ovazione che lo aveva accolto si era spenta, e ciascuno degli spettatori attendeva trepidante le parole che sarebbero scaturite dalla bocca di uno degli scrittori più famosi del mondo.
Uno scrittore in piedi su di un illustre palcoscenico. Fino a qualche anno prima nessuno avrebbe mai immaginato che una cosa simile potesse accadere. Non in Italia, perlomeno. Ma la realtà aveva ammutolito gli scettici, e ora l’immensa moltitudine di persone che erano venute ad ascoltarlo non aspettava altro che l’esordio di quello che sarebbe potuto diventare il suo più celebre discorso pubblico. Oltre che, naturalmente, il suo ultimo discorso pubblico.
Si schiarì la voce e si avvicinò al microfono, appoggiandovi entrambe le mani. Percepì una gocciolina di sudore che silenziosa gli rotolava sulla fronte, rigandogliela. Sudore freddo, provocato dalla tensione crescente. Doveva scegliere attentamente le parole da utilizzare. Solo in questo modo sarebbe stato capace di far propri i loro sensi.
«Benvenuti in questa magnifica serata. Sono felice di accogliervi in uno dei luoghi più magnifici della nostra Italia. Una serata che considero soltanto nostra, se me lo concedete, è quella che vivremo insieme, qui, oggi. Una serata senza tempo. Una serata che trascorreremo in compagnia alla ricerca di un qualcosa che si trova nell’anima di ciascuno di noi» debuttò. Silenzio. Nessun rumore. Bene. Lo stavano ascoltando. Erano lì davvero per sentire ciò che aveva da dire.
«Non mi sono preparato alcun discorso scritto, per questa serata. Né una scaletta, né una qualche frase di apertura dalla quale prendere il via. Questo perché sono qui soltanto per conversare con voi.
«Senz’altro saprete che questa sarà probabilmente la mia ultima apparizione pubblica» proseguì, e a queste parole il silenzio si fece palpabile, talmente denso e cremoso da dare l’impressione di poter essere toccato con mano. Li aveva conquistati. Erano suoi, tutti loro. Pendevano dalle sue labbra, esattamente come desiderava.
«Domani mattina, intorno alle otto, entrerò in ospedale con mia moglie e i miei figli. Dopodiché, non so ancora precisamente che cosa accadrà. So soltanto che il tumore al cervello che mi è stato diagnosticato alcuni mesi fa, inoperabile, finirà di consumarmi nelle prossime settimane, e che tutto ciò che potrà darmi conforto nei miei ultimi giorni sarà la certezza di avere lasciato qualcosa alle persone che oggi sono venute fin qui per ascoltarmi e darmi il loro ultimo saluto.
«Vi ringrazio, dal più profondo del cuore.»
Si concesse una breve pausa per raccogliere le idee. Si sentiva già incredibilmente stanco, ma era certo di poter resistere e andare avanti quanto bastava. La forza per concludere ciò che aveva iniziato, se assente dal suo corpo, sarebbe scaturita dalle sue parole e lo avrebbe tenuto in piedi il tempo necessario a portare a termine quell’ultima impresa.
«E visto che tutti noi, oggi, siamo qui radunati in questo splendido paesaggio italiano, ho pensato che la migliore eredità che io possa lasciarvi sia uno spunto di riflessione sulla terra nella quale viviamo e che, devo ammetterlo, ho sempre amato, essendo stata dall’inizio alla fine la tiepida culla nella quale la mia mente ha partorito tutte le opere che ho scritto. Sto parlando della nostra Italia, che quest’anno festeggia il suo centocinquantesimo compleanno. Quale modo migliore per dire addio al mondo che salutare il luogo nel quale sono nato?
«Ciò di cui vi voglio parlare questa sera, dunque, ciò di cui voglio conversare con voi, è sostanzialmente un sogno, un sogno che spero possa realizzarsi in un giorno non troppo lontano: l’Italia che vorrei. L’Italia che a parer mio tutti i suoi cittadini vorrebbero. Ed è da qui che intendo partire: da voi, dagli abitanti d’Italia che sanno benissimo quali siano i bisogni della loro nazione ma temono di non avere voce in capitolo e potere a sufficienza per cambiare le cose. Stasera vi dirò che cosa ne penso io, ma desidero che chiunque di voi mi blocchi se non è d’accordo oppure se sente il bisogno di aggiungere qualsiasi cosa. Intesi?»
«Sì!» rispose un’unica voce fremente costituita da centinaia di diverse tonalità e accenti differenti. La voce dell’Italia, pensò. Quella che da tanto tempo sperava di poter ascoltare.
«Allora cominciamo, forza. Da dove iniziare? Be’, secondo me è meglio partire da quello che è il fondamentale problema dell’Italia, quello da cui bisognerebbe muoversi per risolvere la maggior parte delle cose che non funzionano come invece dovrebbero.
«Si tratta dell’indifferenza, uno dei peggiori mostri della nostra realtà quotidiana, un tumore apparentemente inoperabile – un po’ come il mio – che negli ultimi anni si è diffuso più o meno ovunque. Soltanto che, diversamente da quello che si trova nel mio cervello, questo cancro non ha ancora raggiunto la temuta fase terminale.
«La gente è ormai indifferente di fronte a tutto, oggigiorno. E non attribuisco questa colpa soltanto agli altri, ma anche a me stesso in primo luogo. Tuttavia mi chiedo: come facciamo a dimostrarci così indifferenti nei confronti di ciò che ci capita attorno, insensibili persino alle questioni che ci riguardano in prima persona? Tutto questo, mi sono risposto, succede perché lentamente ci siamo esclusi dalla vita del nostro Paese, dalla politica, dall’interesse comune, distaccandoci a poco a poco da ciò che invece dovrebbe vederci coinvolti con sempre maggiore entusiasmo dato che si tratta di decisioni e progetti che ricadono anche sulle nostre esistenze!
«Ci siamo esclusi, e questa non è mai una buona cosa. La pigrizia e l’indifferenza ci hanno portati ad essere vittime del sistema, quando invece dovremmo esserne soggetti attivi, protagonisti, addirittura. Siamo noi che possediamo le penne necessarie a scrivere la storia e il futuro dell’Italia! Dobbiamo rendercene conto e lasciar cadere questa indifferenza, riprendere in mano quelle penne e tracciare con l’inchiostro i nostri sogni se vogliamo vederli realizzati! Le recriminazioni sono inutili quando non si tenta in alcuna maniera di far valere la propria ragione e far sì che la propria voce venga ascoltata. Dobbiamo lacerare il velo di disinteresse che ci siamo gettati addosso per ritornare ad essere pienamente padroni delle nostre sorti
Dal suo pubblico si levò un applauso mescolato ad un coro di assensi. Aveva individuato quali erano le corde dei loro cuori e aveva preso a pizzicarle, generando quella musica che fino a un’ora prima aveva potuto solo immaginare nella propria mente. Così andava bene.
«Che cosa c’è poi che non va? Molti si lamentano di com’è la situazione, ma chi può fare veramente qualcosa se ne rimane a braccia conserte ad aspettare che qualcun altro prenda l’iniziativa. No, così non funziona! Ne dobbiamo parlare, ne dobbiamo discutere, e dobbiamo prendere noi in mano la situazione e modificarla, renderla migliore, trasformare l’Italia in un posto migliore per tutti! Come ci si può lamentare degli stipendi dei politici, degli errori che commettono e delle decisioni discutibili che prendono? Siamo noi che li votiamo, noi siamo l’Italia, il potere è nostro e a loro l’abbiamo soltanto affidato, non trasmesso! Perché invece di lamentarci non saliamo lassù, sui loro scranni dorati e diciamo: “Adesso basta, è ora di mettere le cose a posto. D’ora in avanti, finché la situazione non migliora, il comando lo prende l’intera nazione”? La verità è che i politici fanno quello che vogliono perché noi permettiamo che sia così, e con questo non intendo affatto criticarli, anzi: desidero soltanto far presente che se le cose non funzionano significa che chi ha visto l’errore invece di segnalarlo tace e finge che nulla sia accaduto!
«Un’altra malattia che ha l’Italia è quella della divisione. Non soltanto tra Nord e Sud – c’è anche quella, certo, ma in questo caso si tratta più che altro di una separazione storica, geografica e culturale che risulta essere in fin dei conti naturale. Mi riferisco più in particolare all’eccessiva divisione politica e ideologica che per ogni singola, banale questione finisce sempre per spaccare in due le opinioni senza alcuna possibilità di un compromesso. Perché ogni cosa, qui in Italia, deve essere sempre immediatamente etichettata dal punto di vista politico e ideologico? Perché non possiamo guardare le cose così come sono invece di preoccuparci se siano di destra o di sinistra? È una questione tanto fondamentale, a ben pensarci? Sinceramente, io ritengo che la risposta sia no. Che senso ha, se si appartiene ad un certo partito, giudicare negativamente una buona idea soltanto perché proposta dalla fazione politica avversa? Che importa se una buona idea è di destra o di sinistra? L’importante è che sia una buona idea
Mormorii di approvazione. Un applauso generale che, sviluppatosi da un focolare distante, piano piano crebbe fino a ricoprirlo. Sorrise. La tensione si era sciolta, finalmente, e se n’era andata. Prima di cominciare aveva avuto paura che l’ansia potesse attorcigliargli la lingua, invece non era stato così. Procedeva tutto quanto a meraviglia. Quasi non ricordava nemmeno più che alla sua morte mancavano ormai pochi giorni. E che domani sarebbe entrato in ospedale. Domani è un nuovo giorno, pensò. E il giorno che devo far vivere a questa gente invece è OGGI, in funzione di un domani che possa essere migliore per tutti loro. Almeno, è quello che spero…
Se il suo messaggio fosse stato ascoltato fino in fondo, forse qualche possibilità di cambiare le cose ce l’aveva davvero.
«Vi sto raccontando dei problemi che vedo personalmente nel nostro Paese, e di quelle che a parere mio sono le migliori soluzioni da adottare per risolverli.
«L’Italia che vorrei… L’Italia che vorrei è un’Italia giovane, intraprendente, fresca, libera dai pregiudizi e dagli stereotipi, sciolta da ogni genere di dogmatismo, preparata ad affacciarsi sul panorama mondiale con un volto più forte e dinamico. Lo so, sembra che io stia descrivendo un’utopia. Me ne rendo conto. Tuttavia non posso fare a meno di sperare che la nostra Italia possa un giorno diventare una nazione simile a quella che ho appena tratteggiato, giusta ed equa, capace di mettere d’accordo i suoi cittadini senza generare malcontenti. Pare una cosa impossibile, ora come ora. Ma chi ci dice che con un po’ di sana e buona forza di volontà non si possa arrivare a tutto questo? Sono convinto che se ciascuno di noi mettesse da parte la propria indifferenza questa fantasia potrebbe di colpo tramutarsi in realtà.
«Ecco che, mentre io scivolo nel crepuscolo della mia vita, il mio cuore desidera poter donare lo sfolgorio di una nuova alba al magnifico Paese nel quale ho vissuto. Non che realmente mi aspetti di poter rivoluzionare la nazione con le mie parole. Ma spero almeno di riuscire a toccare le corde nascoste dei vostri animi e a farle risuonare della voglia di miglioramento che anche nel mio echeggia già da qualche tempo. Perché domani io non ci sarò più, ma i miei figli invece saranno qui, e anche i vostri si troveranno a dover condividere lo stesso mondo che stiamo loro lasciando. Spero di veder sorgere una stella luminosa laddove il sole della mia esistenza sta lentamente tramontando. E, con tutto ciò, vi auguro di poterla ammirare ogni giorno e di potervi ripetere: “Siamo stati noi a far respirare quella stella per la prima volta”.»
E pronunciate queste parole si allontanò dal microfono e, senza voltarsi, abbandonò il palco, oltrepassando i tendaggi scarlatti del sipario sotto un tonante scroscio di applausi.

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