Dal 20 marzo 2011 l’Italia è entrata in guerra. Noi siamo un paese in guerra. È una frase difficile da pronunciare. Una frase dura, solida, persino spaventosa. Ma ciò che più conta, in tutto questo, è che si tratta di una frase a tutti gli effetti vera.
Ebbene sì, la nostra nazione, dopo aver dato il proprio appoggio agli Stati Uniti nelle operazioni in Iraq, ha deciso di entrare in guerra contro la Libia assieme ad un pugno di altri stati (tra i quali gli immancabili USA e, in prima linea, la Francia) in seguito al via libera delle Nazioni Unite per arrestare la strage attivata da Gheddafi in seguito alle rivolte scoppiate nel paese nordafricano. In base alle informazioni giunte in quegli ultimi periodi, il raìs libico aveva dato l’ordine di aprire il fuoco non soltanto sui ribelli, ma indiscriminatamente sull’intera popolazione, avviando una serie di orrende carneficine.
Molti sostengono che a questo punto ci si trovi di fronte ad un’insormontabile manifestazione di ipocrisia: come può l’ONU, infatti, dare il proprio consenso all’inizio di un conflitto, autorizzando il bombardamento di una o più città da parte dei paesi intenzionati a prendervi parte? Non si ripudiava forse la guerra quale strumento offensivo, come riportato nella nostra beneamata Costituzione? Ma di fronte ai fatti, a quanto sembra, i documenti, per quanto importanti, perdono il loro valore. Non si può sperare di ripulire una nazione dal sangue versato dalla sua popolazione innocente con la carta sulla quale la Costituzione è stata scritta. Non si può permettere, bando ai falsi moralismi, che un leader politico adoperi i propri cittadini come insignificanti oggetti, ritenendoli sacrificabili al fine di ottenere i propri scopi. Certe volte non si può rimanere in attesa e chiudere gli occhi sperando che il peggio passi in fretta. Certe volte bisogna reagire.
C’erano altre strade, viene da chiedersi? Purtroppo, pare di no. Quando la diplomazia fallisce, quando le parole non riescono a smuovere gli animi, bisogna prendere in mano la situazione e sistemare le cose come meglio si può. E in questo caso avviare un conflitto era l’unica soluzione possibile. Ci sono degli innocenti, è vero, che rischiano di essere uccisi da quelle stesse bombe che vengono sganciate nel tentativo di salvarli. Ma che altro si può fare? È forse meglio – più morale, verrebbe da dire – stare a guardare mentre quegli stessi innocenti vengono massacrati? È davvero questo che si dovrebbe fare?
Al di là di tutto ciò, comunque, ci sono altri elementi che rientrano nell’equazione. Una delle critiche più sottili mosse a questa guerra è quella riguardante gli interessi economici. Il petrolio e il gas, innanzitutto. Risorse alquanto appetibili che fanno gola alla Francia e agli Stati Uniti. Risorse che la Libia ha a lungo fornito all’Italia, la quale ora teme di rimanere privata di questo importante “serbatoio”.
Era necessario, dunque, che questa guerra in Libia venisse avviata? Sì, perché non si poteva lasciare sola la popolazione a soffrire sotto i mortai e i fucili del Colonnello Gheddafi. È vero che ci sono grossi interessi in ballo? Ovviamente sì. Tutte le guerre sono mosse da interessi, questo è inevitabile. Perché le Nazioni Unite non si sono mosse allo stesso modo per la Siria, per lo Yemen, per il Bahrein, per la Tunisia (e questo soltanto per citare alcuni tra gli innumerevoli esempi di situazioni decisamente gravi, attuali e non)? Una guerra comporta dei costi altissimi, difficilmente sostenibili se non ci si può aspettare un qualche ritorno economico.
Gli interessi hanno spinto gli Stati Uniti, la Francia, l’Italia e altri paesi ad entrare in guerra contro la Libia e a lasciar perdere altre rivolte altrettanto preoccupanti che stanno mutando la fisionomia del mondo. Questo non rende loro onore, è vero. Ma se grazie a questa azione verrà salvata almeno una sola vita in più, sarà comunque un’impareggiabile vittoria.
Completamente d'accordo.
RispondiEliminaAggiungerei un'opinione personale: l'Europa (Unita) si è fatta soffiare da sotto il naso una grossa opportunità. Non parlo solo della Libia, ma di tutto il Nord Africa, bisognava approfittare delle ribellioni dando un ingente supporto economico-militare ai ribelli.
Ma non come ONU, Nato, Francia, Italia, o chi diavolo posso esserci: l'intervento doveva essere fatto come Unione Europea: se proprio vogliamo dirigerci verso la realizzazione di un unico stato europeo (che spero davvero si realizzi nel più breve tempo possibile) dobbiamo assicurarci il controllo diretto del Mediterraneo. La Turchia è a un passo dall'entrata nell'UE e se avessimo aiutato i ribelli di tutti i paesi Nord Africani, ora ci sarebbero dei governi filo-europei al loro comando. E invece no, ancora siamo soggetti ad egoismi interni nel Vecchio Continente, manca solo che Francia e Germania tornino a contendersi l'Alsazia-Lorena!
Hai ragione Giorgio, è proprio così. Purtroppo i giochi di potere che ci sono sotto rimangono inimmaginabili per noi poveri mortali, e i nostri occhi non possono arrivare tanto a fondo da riuscire a penetrarli...
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