Dopo che Stephanie ebbe annunciato che
intendeva andare a letto, Billy e Rick si sedettero fuori, appena al di là
della porta d’ingresso dell’abitazione, e lasciarono l’uscio aperto per avere
un po’ di luce alle proprie spalle.
«Mi sono svegliato in ospedale» iniziò
a narrare Rick, scrutando il vuoto dinnanzi a sé e sondando la parete di
immobile oscurità che si parava loro davanti. «Ho provato a chiamare qualcuno,
ma non ho ricevuto risposta. Mi sono alzato e sono uscito. Fuori c’erano solo
morti. Nei corridoi, su tutto il parcheggio, lungo le strade. Cumuli e cumuli
di cadaveri.
«Sono corso a casa mia, a cercare la
mia famiglia. Non c’erano, ma sono sicuro che si sono salvati. Devono essere
andati ad Atlanta. Non possono che trovarsi laggiù. Mia moglie e mio figlio…»
«Che cosa ci facevi in ospedale? Eri
in coma?» volle sapere Billy, incuriosito.
«Sì. Mi avevano sparato. Non so per
quanto sia durato il coma. So solo che erano tutti ancora vivi, il giorno in
cui i ricordi si sono interrotti» mormorò Rick, cupo.
«Quindi ti sei perso tutto quanto…»
«Già» confermò, rendendosi conto
soltanto ora, per la prima volta da quando si era risvegliato nel suo letto
d’ospedale, che non aveva idea di che cosa fosse precisamente successo nelle
ultime settimane.
«E la tua famiglia? Non sono venuti a
prenderti, quando la città è crollata e sono fuggiti?» gli domandò Billy, con
una certa stonatura di meraviglia nella voce.
Rick fu colpito nel profondo da questo
punto interrogativo. Era vero. Non ci aveva ancora pensato. Non si era posto il
problema, ma ora esso emerse inevitabilmente. Perché la sua famiglia non lo aveva
portato via dall’ospedale, quando era scappata? «Non ne avranno avuto il
tempo…» ipotizzò, titubante. La domanda lo trovava impreparato. Perché…?
«Si ha sempre tempo per la persona che
si ama» commentò Billy voltandosi a guardare il corridoio alle loro spalle,
gettando un’occhiata alla porta chiusa della stanza in cui dormiva la sua adorata
Stephanie.
«Sei stato tu a salvarla?» chiese
Rick, intuendolo dalle parole del ragazzo.
«Sì. Non hai idea di quello che ha
passato. Quando casa mia è stata presa d’assalto, dopo che i morti hanno
sfondato le barricate dell’esercito, sono corso in auto da lei. Le strade erano
un macello. Poche macchine in giro, però. Soprattutto persone a piedi. E gli
zombie.»
«Per quanto ha resistito il presidio
dell’esercito?» lo interrogò Rick, reso inquieto dai racconti post apocalittici
che il ragazzo gli stava riferendo con tanto autocontrollo.
«Meno di una settimana. Gli zombie
erano troppi, e l’infezione si propagò in fretta. Alcuni soldati fuggirono
quella notte in direzione di Atlanta. Credo che là stiano resistendo ancora…
Alla radio dicevano che la maggior parte dei mezzi di difesa era concentrata
lì…» spiegò Billy sinteticamente.
«Come vi siete salvati?» lo invitò a
proseguire Rick, coinvolto dalla vicenda che i due ragazzi avevano passato e
che doveva essere stata quantomeno terribile.
«A dire il vero, nemmeno io so come
abbiamo fatto. La città era già interamente occupata dai morti, ma raggiunsi la
casa di Stephanie senza intoppi. Credevo di avere più tempo… E partendo da casa
mia ero anche convinto che dall’altra parte della città non fossero ancora
arrivati. Mi sbagliavo. E di grosso.
«Quando arrivai davanti alla casa di
Stephanie trovai il cancello che delimitava il cortile orrendamente spalancato.
La porta d’ingresso era aperta, e la soglia era macchiata di sangue. Scesi
dall’auto e uno zombie comparve all’improvviso da dietro uno dei cespugli del
cortile. Sapevo che c’era un portaombrelli, vicino alla porta d’entrata.
Superai le scale con un balzo e afferrai un ombrello a caso. Mi girai di scatto
e mi ritrovai in faccia il puzzo da cadavere del morto, i denti a pochi
centimetri dal mio viso e le mani già tese in direzione del mio collo. Gli conficcai
la punta di plastica dell’ombrello dritta in bocca, sfondandogli il palato e
premendo verso l’alto. Perse l’equilibrio e crollò giù dalle scale con
l’ombrello ancora piantato in testa.
«Ormai avevo perso ogni speranza.
Stephanie era morta, lo sentivo. Eppure ancora non me ne volevo andare. Non potevo andarmene, capisci? Non prima di
averla vista con i miei occhi.»
«Era ancora viva…» tartagliò Rick, e
le parole gli uscirono sottoforma di rassicurazione invece che come un interrogativo.
«Ma non puoi neanche lontanamente
immaginare quello che aveva dovuto sopportare là dentro…» replicò Billy con
aria pensosa, e riprese in mano il filo della narrazione.
«Era buio pesto, in casa, e l’unico
modo per non inciampare era lasciarsi guidare dalle ombre soffuse che a
malapena si intravedevano grazie alla luce dei lampioni in strada. Il salotto
era deserto, così come la cucina. La porta che dava sul corridoio era aperta.
Il corridoio metteva in comunicazione tutte le camere da letto, e vidi che
laggiù c’erano delle luci accese. Mi avviai attraversando l’oscurità ignota che
mi separava dall’angusto spazio illuminato, e ad ogni passo e ad ogni respiro
temevo di venire assalito e morso e di finire così il mio viaggio prima ancora
di cominciarlo.
«La stanza di Stephanie era sulla
sinistra, e vidi che era aperta. Quella di suo fratello, accanto alla sua,
pareva vuota, ma dentro era talmente buio che non potevo esserne del tutto
certo. La camera dei suoi genitori, infine, stava dall’altra parte del
corridoio, e poco più in là c’era la porta chiusa del bagno. Era da lì che
veniva la luce. Dal bagno, dalla sottile fessura al disotto della porta e dal
minuscolo puntino della serratura. C’era qualcuno, dentro al bagno. Qualcuno
che piangeva. La mia Stephanie…»
Billy si passò una mano sul viso e
inghiottì a vuoto, forse per cercare le parole giuste con le quali proseguire,
forse per calmarsi e rammentarsi che era soltanto un ricordo. Sondò le tenebre
della notte con fare macchinoso, quasi faticosamente, e considerò quasi tra sé
e sé: «Guarda là. Tutto l’inquinamento luminoso che deturpava la notte si è
spento di colpo, facendosi assorbire dall’oscurità.»
Poi si riscosse, come se si fosse
addormentato per un istante, e riprese: «I singhiozzi di Stephanie, oltre la
porta del bagno, erano flebili ma persistenti. Non sapevo che cosa fare. Avrei
voluto chiamarla, ma non avevo voce e ogni sospiro mi moriva in gola. Notai con
la coda dell’occhio il sangue sul pavimento e sulla parete bianca di fianco
alla camera da letto dei suoi genitori. Era sangue fresco, versato da poco. Non
c’era alcun dubbio. Mossi qualche passo in quella direzione, e buttai
un’occhiata nella stanza dei genitori di Stephanie. Li vidi lì, distesi sul
letto, uno accanto all’altra, gli occhi sbarrati e le teste sfondate da colpi
di fucile. Il cuore mi saettò contro la gabbia toracica con tale impeto da
farmi quasi perdere i sensi. Si abbracciavano.
«Qualcuno aveva sparato in testa alla
mamma e al papà di Stephanie, il che significava che prima dovevano essere
stati morsi. E forse anche Stephanie era stata morsa dagli zombie, e adesso era
già morta e si era risvegliata nel bagno dove sembrava piangesse…
«Stavo per crollare. La testa mi
pulsava terribilmente, e un’amara sensazione di sconfitta aleggiava
tutt’attorno a me come il presagio di una fine ormai inevitabile. Ma
resistetti. Dovevo esserne sicuro, capisci? Dovevo accertarmi del fatto che la
mia Stephanie se ne fosse uscita per sempre dalla mia esistenza. E, se avessi
scoperto che era così, probabilmente mi sarei tolto la vita lì, in quel corridoio,
in quello stesso istante, perché continuare senza di lei non avrebbe più avuto
alcun senso.
«Con questi propositi in mente mi
avvicinai piano alla porta del bagno e bussai lievemente, chiamandola per nome.
Sentii che il suo pianto continuava, flebile ma costante, e la sua voce apparve
dal nulla come un segnale di speranza e mi intimò di andarmene.
«Le chiesi perché. Le domandai se era
stata morsa, se stava male. Mi rispose di no, e io provai ad aprire la porta ma
era chiusa a chiave dall’interno e non potevo fare nulla. Bussai, la chiamai
ancora, e lei non mi rispondeva. La supplicai di aprirmi, le dissi che dovevamo
fuggire via, che dovevamo lasciare la città alla svelta prima che fosse troppo
tardi per andarsene. Mi rispose di lasciarla lì, che lei non voleva seguirmi.
Ma non me ne sarei mai andato senza di lei. E non lo feci, anche se le urla e
gli spari che assediavano l’aria in quei minuti mi stavano lentamente facendo
impazzire.
«Forse aveva visto morire i suoi
genitori, pensai. Forse li aveva visti trasformarsi in zombie e aveva assistito
alla loro uccisione da parte di qualche soldato. Le domandai con la massima
delicatezza possibile se si trattasse di questo, e finalmente la sentii alzarsi
in piedi e venire ad aprirmi. La porta si dischiuse con calma, e mi ritrovai
davanti il suo viso stravolto. Teneva in mano un fucile, quello di suo padre, e
sembrava quasi che l’impugnatura si fosse fusa alle sue dita da quanto lo
stringeva insistentemente. E allora capii. Prima ancora che mi dicesse che era
stata lei a sparare in testa ai suoi genitori, dopo che erano morti e che,
ridestandosi, avevano provato ad azzannarla.
«Mi si gettò al collo e io la
abbracciai. Tremava. Quello che aveva dovuto fare era stato atroce. Ma era viva
e stava bene, e non sai quello che ho provato quando me ne sono reso conto
completamente. Rimase per qualche minuto con il viso affondato sulla mia
spalla, in lacrime. E quando si tirò su fu perché venne riscossa da un rumore
alle nostre spalle, il fruscio di un passo lento e difficoltoso, accompagnato
da un gorgoglio inconfondibile: quello di una bocca desiderosa di macinare ossa
e carne umane.
«Scorsi un tremolio negli occhi di
Stephanie, e girandomi trovai alle mie spalle suo fratello. O, meglio, ciò che
rimaneva di lui. La spinsi nuovamente dentro il bagno e oltrepassai la soglia
assieme a lei, cercando di richiudere la porta. Lo zombie mi impedì di farlo,
infilando un braccio all’interno prima che riuscissi a bloccarla, e io cercai
di tenerla ferma con i piedi, facendo forza il più possibile per riuscire a far
cedere l’avversario.
«Udii uno scatto metallico dietro di
me, sonoro e risoluto, ma non prestai troppa attenzione a quel rumore che
pareva provenire da una distanza di migliaia di anni luce. Fu quando mollai la
presa e la porta si spalancò del tutto che realizzai quello che stava per
succedere, e dentro di me piansi per le emozioni che sconvolsero in quegli
istanti l’anima della mia ragazza.
«La testa del cadavere di suo fratello
scoppiò letteralmente in corridoio, lanciando un fiotto di sangue che raggiunse
il pavimento del salone più in là. Stephanie abbassò la canna fumante del fucile
e si lasciò cadere a terra, piombando sulle ginocchia e raggomitolandosi su se
stessa, riprendendo a singhiozzare. La finestra del bagno fu infranta da una
mezza dozzina di mani che cercarono di afferrarla, ma fui più veloce e la
allontanai in tempo, costringendola ad alzarsi. Non c’era tempo per piangere la
morte della sua famiglia. Non era il momento di pensarci. Bisognava
sopravvivere, era questa la priorità.
«Le strappai di mano il fucile e me la
trascinai dietro. Trovammo due zombie sulla porta di casa e tre in cortile. Mi
feci strada sparando, e Dio solo sa come ci riuscimmo, ma alla fine ci sedemmo
in auto e partimmo verso la montagna.
«Stephanie non aprì bocca per tre
giorni. Mangiava poco, stava in silenzio e mi guardava. Forse si chiedeva per
quale assurda ragione fossimo ancora vivi, mentre tutti gli altri… Beh, magari
non è proprio così, ma questa è la mia interpretazione, e preferisco non
approfondire. Siamo qui da un tempo incalcolabile, ormai, il passato è passato
e l’unica cosa certa è che non ritornerà mai più.»
«Accidenti…» riuscì a barbugliare Rick
con un filo di voce.
Guardò il cielo che li sovrastava e si
rese conto che non aveva mai visto una notte più buia di quella in tutta la sua
vita. Le stelle erano un’infinità, come i granelli di sabbia di una spiaggia, e
si scorgevano altri puntini luminosi sempre più piccoli, sempre più fievoli,
che proseguivano senza sosta nelle profondità dello spazio. Era davvero uno
spettacolo incredibile.
Rick pensò tra sé e sé che quella
meraviglia faceva sembrare piccola la loro condizione, la loro esistenza, la
loro stessa situazione. L’apocalisse del genere umano era davvero minuscola e
insignificante, messa a confronto con quel cielo stellato.
«Già. Ma adesso si tratta di tirare
avanti per quanto si può, e con quel poco che rimane. Ho paura che il prossimo
inverno sarà rigido, e prima che i sentieri diventino impraticabili ho voglia
di andare a prendere un altro po’ di cibo in vista del gelo» cambiò argomento
Billy, ragionando ad alta voce.
«Ci sono negozi di alimentari, qui
vicino?» s’informò Rick.
«Sì, ce n’è uno a un paio di miglia da
qui.»
«Ti ci posso accompagnare io
domattina…»
«No, non voglio farti sprecare
carburante. E poi, si raggiunge molto più rapidamente attraverso i boschi,
risalendo la vallata» spiegò Billy accennando alle tenebre.
«Ti accompagno a piedi, allora. In due
riusciremo a portare di più» si offrì Rick. «In fondo, è il minimo che possa
fare per sdebitarmi. E ritardare il mio viaggio di un giorno non cambierà poi
di molto le cose. Dopotutto, non è mica la fine del mondo…»
«No, infatti. Quella c’è già stata»
ribatté ironicamente Billy, e con un malinconico sorriso d’intesa accettò la
proposta di Rick.
THE WALKING DEAD
AMORE E MORTE
SCRITTO DA DAVIDE DE BONI
ISPIRATO ALLA SERIE DI FRANK DARABONT E ROBERT KIRKMAN
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