Il mormorio soffuso si spense di colpo all’interno della chiesa di Eglon, affacciata su Main Street, e il rumore che lo tranciò di netto fu uno sparo proveniente dalla strada antistante l’edificio sacro. L’anziana donna che aveva avviato la preghiera, i capelli grigi raccolti in una crocchia polverosa e il sobrio vestito nero che le ricadeva addosso annullando ogni sua forma umana, si volse con aria inorridita verso l’ingresso chiuso e si pose in ascolto.
La gente dentro la chiesa rimase immobile con lo sguardo rivolto a lei, che dal primo banco recitava ininterrottamente il rosario da almeno due giorni, sillabandolo sottovoce e snocciolando i grani di una grossa corona ad ogni preghiera che veniva conclusa.
Altri spari agguantarono il silenzio e lo stritolarono, facendolo sanguinare dolorosamente. La donna riportò lo sguardo sul grosso crocifisso di legno che troneggiava al di sopra dell’altare e percorse con gli occhi il volto di Gesù, dando l’impressione di interrogarlo. Era affranta, e lo si poteva intuire senza alcuno sforzo dalla sua espressione atona e compunta. Ma allo stesso tempo aveva fede in quel volto di legno dall’aria sofferente, e anche questo era facilmente percepibile per via della luce che le sprizzava vivace attraverso le pupille scure.
Una dispotica esplosione fece vacillare per un attimo i suoi tratti marcati e immobili, e in quell’istante la sua espressione salda e irremovibile si rivelò più stanca e impaurita di quanto volesse far credere. Ma si affrettò a nascondere tutto questo dietro una smorfia di devota alienazione, e girandosi ad osservare i fedeli che aspettavano di udire la sua voce sentenziò: «Non abbiate paura, figli di Dio. Lui è qui per proteggerci. Nelle mura della Sua casa rimarremo al sicuro. Non dobbiamo temere alcun Male!»
I fedeli, rincuorati da queste parole di estrema fiducia, balbettarono qualche parola d’assenso e la preghiera riprese da dove era stata interrotta.
«Padre nostro, che sei nei Cieli, sia fatta la Tua volontà. Venga il Tuo Regno…»
La voce dell’anziana donna che recitava dal primo banco fu sovrastata dallo scroscio tremendo di una nuova esplosione a distanza incredibilmente ravvicinata, e il portone in fondo alla chiesa si spalancò all’improvviso rivelando la figura scomposta dell’uomo trafelato appena sopraggiunto. Sullo sfondo, dietro di lui, la facciata di un palazzo sembrava essere crollata e le fiamme divampavano in spaventose lingue a spirale che risucchiavano e consumavano i resti deformati di quello che pareva essere stato un velivolo dell’esercito, un Black Hawk abbattuto sui cieli della città.
«Altri elicotteri…» sussurrò amaramente uno dei vecchi in secondo banco, guadagnandosi per questo un’occhiataccia terrificante da parte dell’anziana signora con il rosario annodato attorno alle dita pallide e ossute della mano magra.
«Stanno attaccando! Eglon è sotto attacco!» riuscì a gridare con voce roca e cedevole l’uomo in piedi sulla porta d’entrata, restando di nuovo completamente senza fiato.
L’anziana donna si voltò ancora in direzione del crocifisso che la guardava dall’altare, e il suo sguardo incrociò quello triste e muto del Cristo scolpito nel legno. Lo sondò per qualche istante, come per vedere in esso il futuro che li attendeva, quindi dalle sue labbra secche e screpolate trapelarono due sole parole, pronunciate alla stregua di un’ultima supplica: «Dio, salvaci.»
LE ANIME DI EGLON
PRIMA STAGIONE
EPISODIO 16
DIO, SALVACI
David Goldbert alzò la testa e sbuffò seccamente. Non andava bene. Non andava bene per niente, dannazione. Di questo passo sarebbero durati ancora due giorni, forse tre. E poi stop. Avrebbero chiuso i battenti e tanti saluti a tutti quanti. Era questo l’inevitabile destino che attendeva dietro l’angolo il loro modesto negozio di alimentari?
«Come siamo messi lì, David?» lo interrogò suo padre da una delle corsie in fondo al supermercato. Sembrava conservare ancora un po’ di ottimismo, ma il ragazzo sapeva che presto avrebbe iniziato a vacillare e sarebbe infine crollato. Era soltanto questione di qualche ora, prima che anche papà realizzasse qual era l’ineluttabile fine che spettava al suo amato negozio. E mamma non sarebbe riuscita a consolarlo nemmeno in un milione di anni, perché papà amava davvero quel negozio. Era la sua vita, tutto ciò che la sua famiglia gli aveva lasciato prima di andarsene. Perderlo, per lui, sarebbe stato come perdere l’unico contatto rimasto con il passato.
«Non troppo male» mentì spudoratamente, sondando con un’altra occhiata d’insieme gli scaffali irrimediabilmente vuoti della corsia nella quale si trovava. In un paio di giorni era stato fatto fuori tutto. Inizialmente i clienti erano stati pochi e indecisi, specie la prima domenica. Poi avevano incominciato ad essere un po’ di più, e ad acquistare grosse quantità di scorte. I più pagavano senza accennare alcuna parola e se ne andavano con i loro carrelli pieni, ma alcuni avevano anche creato qualche problema.
Per fare un esempio, il pomeriggio precedente Gary Hullman era entrato in supermercato pretendendo di prendere quello che voleva senza pagare. Il padre di David gli aveva detto che non poteva comportarsi in quella maniera, non in una società civile, e gli aveva intimato di andarsene. Hullman gli aveva riso in faccia e aveva risposto ironicamente: «Società civile? Non vedi che questa città non fa più parte della civiltà? Siamo tagliati fuori dal mondo, e io voglio assicurarmi che in casa mia ci sia da mangiare a sufficienza prima che le scorte cittadine si esauriscano del tutto!» Detto questo, si era fatto comparire in mano un coltello e l’aveva puntato verso il padre di David con fare quantomeno minaccioso.
Era stato un attimo. David li fissava dalla cassa, e in una frazione di secondo Gary Hullman era disteso sul pavimento della corsia dei surgelati e il suo coltello veniva riposto da un tizio con il volto coperto da una maschera bianca e rossa. Il padre di David era rimasto immobile al proprio posto, e il ribelle aveva fatto rialzare Hullman, gli aveva stretto le mani dietro la schiena tenendole ferme con una delle proprie e lo aveva condotto fuori dal negozio di alimentari, sotto lo sguardo allibito di tutti i presenti.
Era stata un’azione a dir poco sorprendente, che David aveva interpretato come una volontà di protezione della cittadinanza da parte dei rivoluzionari. A quanto pareva, quegli uomini non erano interessati esclusivamente alla morte. Dovevano avere qualcos’altro in mente, e questo qualcosa coincideva in maniera incredibile con un senso di giustizia che David era sicuro di condividere appieno. In fondo, non erano poi tanto crudeli quanto pensava…
«Non troppo male che cosa significa esattamente?» volle sapere papà. La sua voce si stava avvicinando lungo una delle corsie laterali, e la sua figura comparve un istante dopo accanto a quella pensierosa del figlio.
«Non troppo male, eh? Io invece direi che qui va malissimo, David» giudicò l’uomo scandagliando con aria preoccupata gli scaffali semispogli che li circondavano nel chiaroscuro delle luci al neon.
«Facciamo ancora in tempo a tirarci su le ossa in qualche maniera. Magari possiamo chiedere a qualche cliente di venderci un po’ di cibo dalle sue riserve…» ipotizzò David, poco convinto.
«Non credo che la gente abbia il coraggio di privarsi del cibo che conserva in casa, figliolo. Hanno tutti paura, e riempiono le dispense da brave formichine, chiudendole a chiave. Temono che il cibo finisca presto. E, sinceramente, comincio a pensare che non abbiano poi tanto torto…»
Certo che non avevano torto. David sapeva com’era la situazione. C’erano altri tre supermercati ad Eglon, due dei quali appartenevano a grandi catene e disponevano di molto più spazio e assortimento rispetto a loro. Il negozio più piccolo, appartenente ad un cittadino privato, era stato chiuso l’altro ieri. I due più grossi erano ridotti altrettanto male. Quella mattina, quando era passato a controllare, gli scaffali erano vuoti e le corsie chiuse. Un dipendente gli aveva spiegato che per ragioni di sicurezza tutti gli alimenti erano stati spostati in magazzino, perché c’erano stati furti cospicui negli ultimi giorni. Aveva poi aggiunto che rimaneva davvero poco da vendere e che per questo il direttore si era visto costretto ad aumentare i prezzi.
«L’acqua è stata la prima a finire» riprese il padre di David, fissando il vuoto dei suoi scaffali con terribile amarezza. «Poi sono andati via tutti i cibi in scatola, quelli che durano di più. Ci restano poche confezioni, oltre ad un bel po’ di roba fresca ormai da buttare. Ho paura che stasera chiuderemo per l’ultima volta, David, e domani mattina non potremo più riaprire.»
«E come farà la gente di Eglon a mangiare?» mormorò cupamente David, inquieto.
«Non mangerà» rispose sinteticamente suo padre, in tono deciso. «Forse è così che vogliono liberarsi di noi. Non sono entrati a prendere neppure una fetta di pane, in questi giorni da quando è iniziata la loro rivoluzione. Devono possedere parecchie scorte di cibo, per se stessi. Lasceranno morire di fame tutti gli altri, o peggio: ci guarderanno lottare gli uni contro gli altri per quelle poche scatolette che rimangono, aspettando che ci decimiamo a vicenda…»
«Non credo che lo permetteranno» intervenne David risoluto, rammentando la vicenda di Gary Hullman alla quale anche papà, lo scorso pomeriggio, aveva assistito.
«Io invece credo che tu sia troppo ottimista, ragazzo mio. Ti ricordo che hanno già ucciso decine e decine di persone, abbattendo aerei ed elicotteri, facendo esplodere palazzi, sparando per le strade, attaccando con i mortai… Hanno sterminato un’intera squadra di poliziotti in una sola notte, e ne hanno impiccato un altro lungo Main Street. Non sono qui per aiutarci, David. Sono qui per i propri interessi, e chiunque di noi rappresenti un ostacolo verrà eliminato senza alcun rimorso.»
David non ne era del tutto sicuro, ma in ogni caso annuì per non prolungare oltre la discussione con il padre. Aveva bisogno di parlare con qualche autorità, e lo doveva fare al più presto. In mancanza di un sindaco o di un vice che lo sostituisse, l’unica figura di potere che rimaneva, a questo punto, era quella del ribelle appostato fuori dall’ingresso del supermercato. E per parlare con lui non doveva fare altro che varcare la soglia, uscire sul marciapiede e avvicinarsi.
«Stasera si chiude e si portano a casa tutti i viveri rimasti» concluse il signor Goldbert con fare determinato. «Temevo questo giorno da molto, moltissimo tempo, ma non credevo che sarebbe arrivato in un modo tanto assurdo…»
David guardò fuori dalla porta d’ingresso e scorse la silhouette immobile del rivoluzionario con la maschera bianca e rossa che aveva impedito a Gary Hullman di ammazzare suo padre per qualche pacchetto di biscotti. Forse quel giorno non è ancora arrivato, papà, pensò dentro di sé osservando quello sconosciuto, e la sensazione di essere sul punto di correre fuori e chiedergli aiuto lo costrinse a distogliere lo sguardo e a ritornare presso la cassa dove una cliente era in attesa di poter pagare una bottiglietta di latte al cioccolato.
La giornata era relativamente tranquilla ed Eglon, dopo alcuni giorni di tensione inimmaginabile, si preparava per il fine settimana più strano della sua storia. Le persone che avrebbero voluto andare a trovare i parenti fuori città erano obbligate a restare rintanate in casa per paura di essere coinvolte in qualche sparatoria o, peggio ancora, nell’esplosione di qualche edificio. Chi invece desiderava semplicemente cambiare aria doveva sopportare per forza di cose il solito vento stantio e odoroso della città barricata, pazientando e sperando che le cose si mettessero meglio o che, perlomeno, uscisse qualche briciolo di sole nei giorni a venire.
Era trascorsa quasi una settimana intera dalla notte dell’attacco, e la tensione non era ancora sbollita. La gente aveva i nervi a fior di pelle, con la città chiusa in una barriera continua, a sua volta presidiata da rivoluzionari armati con i volti coperti e assediata da una guarnigione ben nutrita dell’Esercito degli Stati Uniti.
Il terrore di un assalto era pressoché assente. La situazione pareva essersi stabilizzata e, sebbene non giungesse alcuna notizia dall’esterno, se non altro si sapeva che un’azione militare nei confronti di Eglon non sarebbe mai stata intrapresa, né dalla nazione, né tantomeno da qualche altro Paese potenzialmente interessato ad alimentare la rivolta. Attaccare Eglon, ora come ora, significava muovere guerra alla pace mondiale e rompere una situazione di stallo pluridecennale, il che sarebbe parso come un suicidio internazionale persino agli occhi degli uomini più folli ed estremisti del pianeta.
No, la situazione sarebbe rimasta così com’era ancora per molto tempo, lì ad Eglon. L’esercito non aveva il coraggio di muovere un muscolo. Nemmeno un proiettile era partito in direzione delle barricate attorno alla città, neanche per sbaglio. E il silenzio che circondava il centro abitato sembrava essere stato creato di proposito, quasi che non si volesse fare nulla per liberare i cittadini di Eglon prigionieri tra le proprie mura.
Gregory Donington e Stan Payton pensavano a tutte queste cose nello stesso tempo, pur trovandosi in parti completamente diverse della città, e allo stesso modo riflettevano sul fatto che avrebbero voluto dare una mano, in qualche maniera, ad allentare il nodo e sbrogliare la situazione, ma proprio non sapevano da dove cominciare. Greg era addestrato, certo, ma non per agire in condizioni simili, senza alcuna possibilità di contattare l’esterno e coordinare una qualche sorta di operazione. Stan, dal canto suo, non aveva idea di come muoversi in mezzo a quella città che sembrava essere divenuta un campo minato. Non aveva armi, eccetto la pistola nascosta sotto il pavimento del seminterrato. E non aveva alcun genere di appoggio sul quale contare, né per informare l’esterno né per rendersi conto pienamente della situazione interna.
Erano tagliati fuori dalla realtà, e per adesso non potevano fare altro che guardare i giorni che scorrevano e contare le ore che se ne andavano, aspettando che succedesse qualcosa e sperando, nel frattempo, di riuscire a sopravvivere e a tenere al sicuro le proprie famiglie.
«Gabriella!» esclamò sorpreso David non appena riconobbe la ragazza ferma alla cassa con in mano una bottiglietta di latte al cioccolato e il portafoglio aperto. La giovane gli sorrise e si scostò una ciocca di capelli dal viso, rivelando quei magici occhi blu che avrebbero rapito qualunque sguardo.
«Ciao David» lo salutò affabilmente.
«Come stai?» si affrettò a domandarle, non trovando nulla di meglio da dire. Caspita, quant’era bella! Resistere al suo fascino era davvero difficile, e David dovette compiere uno sforzo immane per non percorrere le sue curve strepitose con gli occhi mentre le parlava.
«Bene, tutto sommato. Anche tu, vedo. Avete avuto il pienone in questi giorni, mi sembra di aver capito…» commentò guardandosi intorno in maniera eloquente.
«Diciamo pure di sì…» concesse David, un po’ impacciato. Avrebbe voluto chiederle dov’era stata in quei giorni, dopo essere uscita di corsa sabato dieci settembre lasciando lì la barretta di cioccolato che doveva comperare. Ma temeva di apparire invadente, perciò le sorrise.
«Sai, David, penso di non averti mai visto in chiesa…» valutò Gabriella Higgins quasi tra sé e sé, assumendo un’espressione riflessiva.
«No, è molto probabile che tu non mi ci abbia mai visto… Non ci vado spesso…» confermò David con una certa titubanza, spiazzato dall’affermazione della ragazza. Perché mai gli stava parlando di chiesa? Con tutto quello che stava capitando ad Eglon in quei giorni, l’unica cosa che le veniva in mente era che non l’aveva mai visto in chiesa? Non capiva.
«È un vero peccato. Sai, io e la mia famiglia abbiamo trascorso gli ultimi giorni in chiesa a pregare. Dalla notte dell’attacco viviamo praticamente lì dentro. Ogni tanto torniamo a casa per mangiare e riposare, ma poi si va subito in chiesa e si prega Dio affinché perdoni le nostre colpe e ci difenda da questi uomini malvagi che si sono impadroniti della nostra città. Il Signore ci ascolta… Dovresti venire anche tu una volta a pregare con me, David. Che ne dici?» sussurrò la giovane, sorridendogli dolcemente.
«Sì, potrei…» bofonchiò David, sentendosi sempre più spaesato.
«Ti aspetto lì, allora. Spero che verrai presto. Le preghiere aiutano, David. Tu non puoi nemmeno immaginare quanto.»
Francamente, David non ne era poi tanto convinto. Ma se la bellissima Gabriella Higgins lo invitava a pregare in chiesa, non poteva di certo rifiutare. Avrebbe accettato anche se lo avesse invitato in un forno crematorio, per cui era ben lieto di andare a parlare con un Dio che non aveva mai conosciuto e con il quale, quasi sicuramente, non avrebbe fatto amicizia per il resto della propria vita. Pur di stare con Gabriella, era disposto anche a pregare più divinità contemporaneamente.
La giovane gli sorrise di nuovo, gli lasciò giù una banconota e se ne andò con la sua bottiglietta di latte al cioccolato senza attendere il resto. David la guardò uscire con gli occhi strabuzzati, seguendo il lento e sinuoso movimento del suo sedere che si allontanava e assorbendo la sua immagine per conservarla al sicuro nella propria memoria, di modo da poterla richiamare alla mente quando avesse voluto rivederla e rivivere il suo sguardo ammaliante.
In chiesa a pregare? Ci sarebbe andato quella sera stessa, tanto non aveva niente di meglio da fare. Forse papà e mamma avrebbero protestato all’idea che uscisse da solo con il buio in quella città più pericolosa di una foresta preistorica, ma poco importava: aveva intenzione di stare con la splendida Gabriella Higgins, e non avrebbe rifiutato la possibilità che gli era stata offerta per tutto l’oro del mondo. Neanche se quell’oro gli avesse permesso di tenere aperto il supermercato di suo padre, aiutando i genitori a tirare avanti un altro po’.
Lo sguardo gli cadde sulla figura del ribelle ancora immobile fuori dalla porta d’ingresso del negozio, in piedi con la mitraglietta a tracolla. E il sorriso ebete che gli era rimasto impresso in faccia da quando il didietro di Gabriella era scomparso si dissolse nel nulla.
Daniel si affacciò alla finestra e Betty lo raggiunse, abbracciandolo. Fuori il sole stava tramontando, ma l’orizzonte era adombrato dalle nuvole e i colori del crepuscolo venivano annullati da un omogeneo grigiore aspro e fastidioso.
Il ragazzo sospirò e la giovane gli baciò il collo. Rebecca era in bagno a farsi una doccia. Betty aveva acconsentito a prestarle un cambio di vestiti suoi, nonostante l’idea di tenerla in casa le desse ancora parecchio sui nervi. Alla fine aveva smesso di insistere con il fidanzato per mandarla via, e Daniel aveva iniziato a mostrarsi più dolce nei suoi riguardi. Ci teneva a quella Rebecca, e Betty non riusciva a capire il perché ma, tutto sommato, era disposta ad accettarlo. Non credeva possibile che Daniel l’avesse tradita con quella ragazza. No, probabilmente si sentiva soltanto in dovere di darle una mano. Questo sì che Betty lo comprendeva. In fondo, tenere Rebecca non era poi così seccante. Aiutare qualcuno faceva sempre un bell’effetto.
«Stai pensando a tuo padre?» bisbigliò Betty nell’orecchio del fidanzato, delicatamente.
«Indovinato» rispose Daniel Green molto placidamente. «Non riesco ad immaginare che fine possa aver fatto. Non credo che lo abbiano ammazzato. Però… Magari è morto nelle esplosioni, oppure è riuscito a fuggire… Averlo qui renderebbe le cose molto più semplici.»
«Lo sai che dobbiamo disfarci delle sue armi, vero? Continuo a ricordare quell’uomo impiccato al lampione di Main Street, i suoi occhi sbarrati e il suo collo spezzato. È ancora là. Anche oggi. Non so quando lo tireranno giù, ma vorrei smettere di pensare che anche tu potresti fare la stessa fine. Le armi di tuo padre sono pericolose, Daniel. Te ne devi liberare.»
«Lo farò, stai tranquilla» la rassicurò il giovane con poca convinzione. «Ma non stasera. Intanto voglio nasconderle, perché potrebbero sempre tornarci utili. Chissà, magari mio padre potrebbe tornare e aver bisogno di una pistola…»
Betty scosse la testa leggermente, senza farsi vedere. Il vicesindaco Thomas Green non sarebbe tornato mai più, ormai ne era quasi del tutto sicura. Ma non intendeva dirlo a Daniel, perché, anche se sotto sotto lo sapeva pure lui, temeva che potesse dargli un dispiacere troppo grande. Illuderlo non era saggio, perciò la cosa migliore da fare era stare in silenzio e sperare che anche lui la finisse di parlarne. Presto o tardi, ne era certa, si sarebbe stancato di aspettare suo padre e si sarebbe concentrato sulle loro possibilità di sopravvivenza.
Betty si augurava soltanto che avvenisse abbastanza presto, e non troppo tardi.
La notte calò rapida e implacabile, come la lama lucente della scure di un boia sulla gola scoperta del condannato a morte. Un vento lieve e freddo si sollevò sulla pianura dell’Arkansas, troppo debole per poter spazzare via le nuvole ma sufficientemente energico da indurre la maggioranza della popolazione di Eglon a rifugiarsi in casa al riparo.
Le luci lungo le strade erano accese ma fisse, come se ogni attività umana fosse stata sospesa a partire dal momento in cui erano entrate in funzione. Diverse finestre apparivano illuminate, ma dietro i vetri non si scorgevano che poche figure umane. Tutti cercavano di nascondersi, quasi che nell’aria si preavvertisse un odore strano che sapeva di imminente pericolo. Era la quiete prima della tempesta. L’elettricità presente nell’aria lo preannunciava a chiare lettere, e la tensione nei volti degli abitanti di Eglon lo lasciava trapelare senza mezzi termini.
I ribelli sparpagliati lungo le vie della città, con i loro furgoncini blindati e, in alcuni punti strategici, con i loro inattaccabili carri armati, se ne stavano fermi a scrutare l’orizzonte in attesa di un segnale che ordinasse loro di aprire il fuoco. Il silenzio della notte si presentava gelatinoso, concreto eppure inconsistente. Niente lasciava presupporre che sarebbe scoppiata una battaglia, ma tutto sembrava quasi suggerire che era questa l’inevitabile sorte prestabilita per quella spettrale notte in cui Dio si era dimenticato di badare alla piccola porzione del proprio gregge che aveva dimora nella città di Eglon.
David Goldbert uscì di casa senza sperare di scorgere le stelle. Non riuscì ad intravederne nemmeno una, lungo il tragitto che compì da casa sua alla chiesa cattolica cittadina. Pensava a Gabriella, mentre camminava, e al suo sorriso e al suo corpo egualmente perfetti. I ribelli lungo la via lo guardarono passare disinteressati, senza neppure prendersi la briga di seguirlo con lo sguardo, forse per pigrizia o forse perché, come pareva evidente, quel ragazzo doveva essere del tutto innocuo.
La facciata della chiesa era sobria e anonima, scandita da arcate semplici e colonne modeste, divisa in tre sezioni verticali da un paio di contrafforti dall’aspetto vagamente gotico. La porta era semiaperta, così David la spinse leggermente ed entrò in un ambiente in penombra rischiarato da file di candele accese e dominato da un intenso aroma di incenso.
Percorse la navata centrale fino ad individuare i capelli dorati di Gabriella. Erano inconfondibili, in mezzo alle teste di tutti quei fedeli radunati a pregare. La ragazza si voltò, lo cercò e lo individuò, gli sorrise amabilmente. David la raggiunse e si sedette accanto a lei, salutandola.
«Sono felice che tu sia qui, David» mormorò Gabriella, congiungendo le mani e chiudendo gli occhi. David la imitò dopo qualche istante di incertezza e si lasciò inebriare dal profumo delle candele e dell’incenso, corroborati da quella parziale oscurità che rendeva il contatto con i propri pensieri ancora più semplice e immediato. Si catapultò nel mondo di colori cupi che si agitava dietro le sue palpebre serrate e si lasciò trascinare dalle parole incomprensibili della preghiera, sussurrate nel silenzio della chiesa come se fossero rivolte con un’intimità segreta all’amante tra le lenzuola.
«Padre nostro, che sei nei Cieli…» incominciò un’anziana donna in testa al gruppo di fedeli, e la sua voce fu zittita dal boato rintronante di una deflagrazione improvvisa.
I cittadini di Eglon si affacciarono alle finestre delle proprie abitazioni, sorpresi e terrorizzati. Le loro facce erano dipinte di paura e i loro gesti tratteggiati d’incertezza. Il cielo scuro, le nuvole tetre, le strade buie, la luce soffusa che si sollevava come polvere finissima dalla città e veniva dispersa dalle tenebre appena sopra le teste dei palazzi più alti.
Uno stormo di elicotteri militari penetrò il guscio di aria densa che sovrastava Eglon e ne sorvolò gli edifici. Il rombo frastornante delle loro eliche che ruotavano senza sosta avrebbe fatto impazzire persino un non udente con la sua insistenza diabolica, ma sugli abitanti di Eglon non ebbe un effetto tanto devastante quanto quello sortito dalle immagini che si susseguirono sotto i loro occhi inerti e maleficamente impotenti.
Le bombe sganciate scoppiarono in tutti gli angoli della città, sventrando i palazzi e raschiando l’asfalto dalle strade, sbucciando le case e travolgendo le automobili ferme accanto ai marciapiedi.
Il sibilo di alcuni razzi si distinse nitidamente nel fragore delle esplosioni, e un elicottero perse quota e si schiantò sulla superficie tumefatta del centro abitato. Le urla umane contribuirono a rendere il caos ancora più disgregato, alimentandone i picchi maggiormente acuti e sgretolando gli animi che tentavano di aggrapparsi a qualcosa per non scivolare nella disperazione.
Gli elicotteri superstiti passarono oltre, scomparendo nell’orizzonte buio e lasciandosi inglobare dall’oscurità notturna, dimenticandosi alle spalle il compagno abbattuto e gli innocenti massacrati. Restò soltanto il crepitio del fuoco, quando se ne furono andati, assieme allo scricchiolio di assestamento delle macerie.
Un’unica voce, rauca e supplichevole, palesemente smarrita in una desolazione sconfinata, si levò sulla città sgorgando dalla chiesa come una mano dalle dita distese, posandosi su Eglon e stringendola in un pugno di feroce sofferenza: «Dio, salvaci.»
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