venerdì 4 novembre 2011

La Lunga Strada

Quanta amarezza c'è in questo mondo. Quanta oscurità, quanta solitudine. Eppure siamo in tanti. Sette miliardi e spiccioli, e continuiamo a crescere ad un ritmo spaventoso. Ma siamo circondati dal vuoto, e non sappiamo perché. Un vuoto che ci assedia senza sosta, e un vuoto che preme dentro di noi per esplodere e uscire dalle nostre anime annerite.
Seguiamo la strada, ma non sappiamo dove ci porterà. Una strada senza inizio e senza meta, che si srotola nel deserto come la lingua arida di un cadavere disidratato. La percorriamo giorno dopo giorno con la sola compagnia di noi stessi, ascoltando i nostri passi che echeggiano sull'asfalto arso dal sole. E non capiamo che potremmo fermarci in qualunque momento. Proseguiamo, non smettiamo un attimo di camminare, perché chi si ferma è perduto.
Si allungano le ombre e cala la notte. L'aria diventa fredda, ma la strada è sempre quella: si svolge eterna e ripetitiva sotto le suole consumate delle nostre scarpe, luccica per il chiarore delle stelle, e noi non possiamo fare altro che andare avanti ancora, ancora e ancora.
Finché non crolliamo dopo aver esaurito tutta l'energia che ci restava. E allora la notte intesse il suo sudario sopra i nostri corpi esanimi, ci abbraccia e ci culla. Rimaniamo sdraiati su quella strada a farci corrodere dal tempo, carcasse sempre più scarne e accartocciate. Presto o tardi, comunque, ci sarà soltanto polvere. E una grande mano la spazzerà via dalla strada e il tappeto d'asfalto della vita tornerà a srotolarsi come se niente fosse nell'arido deserto dell'esistenza, scandendo un cammino che l'uomo non può che percorrere pur essendo consapevole di non essere in grado di arrivare sano e salvo fino alla fine.
Questa è la nostra maledizione. Camminiamo giorno e notte, finché non ci facciamo divorare dalla strada. E quando essa ci azzanna, ci lasciamo masticare senza fretta, mentre aspettiamo che l'oscurità avvolga i nostri resti e li cancelli dalla vista.

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