«Per adesso, l’essenziale è non farci
beccare. Abbiamo tempo, e senz’altro le risorse non ci mancano. Ma il progetto
va escogitato minuziosamente, altrimenti rischiamo di far saltare l’intera copertura.
D’accordo?»
Gli occhi erano puntati su di lui. Tutti gli occhi, e questo significava
che lo stavano ascoltando. Era sicuro di aver esposto con sufficiente chiarezza
la situazione, ma allo stesso tempo temeva che qualcuno dei presenti non avesse
pienamente afferrato la delicatezza dell’operazione in ballo. Ma, d’altro
canto, non era un problema suo: i rischi erano stati svelati, e adesso spettava
a ciascuno di loro prendere una decisione.
Bisognava agire, e bisognava farlo in
fretta se si voleva arginare il problema prima che assumesse le colossali
proporzioni di una calamità biblica.
«Io ci sto, sceriffo. Conti pure su di
me» approvò Jason Krain con fare deciso e sprezzante.
«Non lo so, a dire il vero scorgo
molta foschia su quest’operazione…» borbottò incerto Steve Corall, grattandosi
furtivamente la punta del naso.
«Ti capisco, Steve. Gli elementi che
abbiamo sono pochi, ma forse stavolta basteranno a incastrare quel bastardo una volta per tutte» sentenziò risoluto
lo sceriffo Gordon Fillback.
Passò in rassegna le espressioni
assorte dell’esiguo grappolo di poliziotti che sedevano attorno alla scrivania
del suo ufficio. Erano confusi e insicuri, ma allo stesso tempo leggeva sui
loro volti la convinzione che fosse necessario agire in fretta.
«Ascoltatemi. Non è come quella volta
in cui lo abbiamo messo dentro con l’accusa di corruzione e ne è uscito due
settimane dopo con la mente occupata dall’idea di vendicarsi dei poliziotti che
lo avevano beccato: stavolta è diverso. Ce l’abbiamo praticamente nel sacco, e
lo possiamo schiacciare sotto il tacco della scarpa come uno scarafaggio!»
«E chi ci dice che l’informatore sia
completamente affidabile, o che non sia stato addirittura depistato?»
intervenne uno dei poliziotti, dubbioso.
«L’informatore è troppo vicino al
nostro uomo perché possa essere stato raggirato, e allo stesso tempo lo detesta
talmente tanto da essere disposto a qualunque cosa pur di vederlo finire dietro
le sbarre per un lungo, lunghissimo periodo di tempo» ribatté tranquillamente
Gordon Fillback. «Parlo di sua sorella,
naturalmente.»
Un mormorio concitato attraversò
l’ufficio da una parete all’altra, smuovendo la polvere che si era accasciata
sugli angoli più inaccessibili del pavimento. Lo sceriffo Gordon Fillback
avvertì chiaramente la tensione elettrica che per qualche istante fluì
all’interno dell’ambiente.
«Sua sorella? Questo cambia le carte
in tavola, sceriffo. Decisamente»
commentò Steve Corall massaggiandosi l’estremità del mento.
«Già. Allora, che ne dite?»
«Dico che ci stiamo tutti quanti. Non
è vero?»
Un unico cenno d’assenso sgattaiolò da
uno sguardo all’altro, emergendo come un’automobile a fari spenti da un banco
di nebbia particolarmente fitto.
«Allora andiamo ad ammanettare quel
cane di Joey Goode!» concluse lo sceriffo Fillback alzandosi senza indugio
dalla sedia e afferrando vigorosamente la pistola d’ordinanza riposta all’interno
del primo cassetto della scrivania.
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
20
IL
RITORNO DEL VICESINDACO GREEN
«Greg? Greg, dove sei?»
«Parla piano. Sono qui, tesoro»
rispose sottovoce Gregory Donington, comparendo sulla soglia della stanzetta
che aveva adibito a ufficio nel rifugio sotterraneo.
Susi lo occhieggiò dal salotto e si
diresse rapidamente nella sua direzione, stringendo in una mano il biberon di
Brett e nell’altra un foglio di carta apparentemente stropicciato. Greg la
fissò avanzare con un pizzico di impazienza e attese che lo raggiungesse.
«Che storia è questa?» volle sapere la
donna, sventolandogli davanti alla faccia il pezzo di carta malandato senza
permettergli di leggere cosa vi fosse scritto.
«Non lo so, amore. Dove l’hai preso?»
s’informò Greg, squadrandola con fare sospettoso.
«Di sopra… Qualcuno lo ha infilato
sotto la porta di casa nostra…» spiegò Susi con aria colpevole, quasi
bisbigliando.
«Lo sai che preferirei che tu non
andassi di sopra da sola, Susi» la rimproverò dolcemente Greg, sfiorandole il
braccio con la mano libera. «Non è sicuro.»
«Mi serviva il cellulare, volevo
controllare l’agenda per vedere se avevo ragione: oggi è il compleanno di tuo
padre, Greg» si difese Susi a bassa voce, distogliendo lo sguardo da quello del
marito.
«Lo so» mormorò Greg, apparendo per
qualche attimo vagamente distante. «E sono lieto di avere finalmente una scusa
per non dovergli telefonare e fargli gli auguri.»
«D’accordo, non importa. Ad ogni modo,
leggi: mi pare una cosa sospetta» cambiò abilmente argomento Susi, indicando
con un cenno del capo il foglio di carta che Gregory le aveva sottratto e del
quale si erano momentaneamente dimenticati entrambi.
Gregory lesse rapidamente le quattro
righe stampate sulla pagina, tutte d’un fiato, assorbendole come un batuffolo
di cotone immerso in un bicchiere d’acqua.
Fu costretto a ricontrollare tre volte
prima di sentirsi sicuro di aver capito, e sollevando la testa osservò
l’espressione ansiosa e allo stesso tempo disorientata di Susi, rispondendole
con uno sguardo altrettanto confuso.
«Che cosa significa?» pigolò Susi
Donington, preoccupata.
«Significa che il vicesindaco Green è
tornato…» farfugliò distrattamente Greg, riportando gli occhi su quel pezzo di
carta spiegazzata e rileggendo dentro di sé: “Alle ore 10:30 di domani mattina la popolazione di Eglon è invitata a
radunarsi nella piazza del municipio per ascoltare il discorso del vicesindaco
Thomas Green. I Soldati della
Rivoluzione…”
«…sperano
di poter contare sulla presenza dell’intera cittadinanza» concluse la
lettura Robert, ripiegando il foglio che teneva tra le dita tremolanti e
levandosi gli occhiali per riporli sulla mensola della cucina dalla quale li
aveva appena prelevati.
Stan lo squadrò con aria buia,
picchiettandosi l’indice sul profilo del mento. Non era sicuro che fosse una
buona notizia. Anzi, molto probabilmente quell’avviso celava in sé un’altra
cospicua quantità di guai. Se non altro, però, avrebbe potuto sfruttare
l’occasione per mettersi in contatto con qualcuno. Chissà, magari in piazza
avrebbe trovato persone interessate come lui a scovare un modo per contattare
l’Esercito. Poteva essere utile assistere al discorso di Thomas Green, tutto
sommato.
«Che cosa ne pensi, Robert?» barbugliò
Sarah, scoccando un’occhiata ansiosa a Michael che faceva sfrecciare le sue
macchinine sul corrimano delle scale. Christine stava seduta a braccia conserte
sul divano e sembrava fissare lo schermo spento della televisione, quando in
realtà era ben chiaro che stava seguendo attentamente la loro conversazione.
Entrambi avevano gli occhi di Stan, valutò Sarah per un fugace istante, e
subito tornò a concentrarsi su Robert.
«Se quest’avviso parte dai
rivoluzionari, sicuramente non c’è da aspettarsi nulla di buono. Mi sembra
strano che il vicesindaco Green possa essersi schierato dalla loro parte, ma un
discorso contro di loro mi pare alquanto improbabile, vista la pubblicità che
gli hanno fatto…» considerò l’uomo, tormentandosi un orecchio mentre parlava in
tono pacato.
«Potrebbe essere una trappola…»
osservò Sarah, irrequieta.
«No, non credo. A quale scopo, poi?
Radunarci in piazza per farci fuori? Avrebbero potuto ammazzarci
tranquillamente in un momento qualunque, data la situazione. Siamo disarmati e disorientati
ormai da giorni, non vedo troppi rischi in questa convocazione. È anzi assai
probabile che ci vogliano tutti in piazza proprio per realizzare ciò che
promettono in questo volantino» osservò Stan. «Vogliono che assistiamo al loro
discorso, e quasi sicuramente adopereranno Green come calamita per attirare
l’attenzione dei cittadini. Dobbiamo andarci.»
«E perché mai?» intervenne Robert,
palesemente scettico.
«Perché potrebbe essere l’occasione
giusta per mettersi in contatto con qualche poliziotto, ecco perché. L’unica
maniera per scoprire qualcosa di concreto potrebbe essere partecipare a
quest’evento, e ritengo che valga la pena esserci. Mal che vada, perderemo una
mezza giornata a sorbirci un discorso senza capo né coda.»
«Stan ha ragione. Andare in piazza
potrebbe essere utile» approvò Sarah, incrociando lo sguardo dell’ex marito per
una frazione di secondo e girandosi prontamente dall’altra parte, fingendo di
non essersene minimamente accorta.
«Sì, è vero» ammise cautamente Robert,
sospirando. «Ma ti ricordo, Stan, che i ribelli stanno ancora conducendo i loro
controlli a tappeto in giro per la città, passando di casa in casa alla ricerca
di armi nascoste. Stamattina, quando sono uscito per prendere una boccata
d’aria, Rose Cunningham, che abita in fondo alla via, mi ha confidato di aver
sentito dire che ieri sera hanno ammazzato un tizio, giù per Neighbour Street. Aveva
un fucile da caccia nascosto in garage, e si dice che lo abbiano fatto fuori
con quello. Non tollerano armi clandestine, e non hanno intenzione di andare
tanto per il sottile, a quanto pare.»
«Sta’ tranquillo, Robert. Qui non
troveranno niente.»
«Come fai ad esserne così sicuro,
Stan? Ti fidi così tanto di quella mattonella da essere disposto a mettere a
repentaglio le vite dei tuoi figli?»
Christine rizzò il capo, tradendo la
propria curiosa attenzione al dibattito. Sarah rimase zitta e immobile, a
scrutare i volti tesi dei due uomini.
«Non ho altre possibilità, Robert.
Sono sicuro che non capisci perché io abbia tenuto quella pistola, ma credimi:
quando ne avremo bisogno ti renderai conto che avevo ragione. Pensaci un momento,
dannazione: se i ribelli ci punteranno addosso le loro mitragliette e i loro
fucili automatici, come conti di difenderci?»
«Perché, credi forse che una sola pistola
potrebbe salvarci?»
«È proprio qui che sta il punto,
Robert: la nostra unica speranza di cavarcela va riposta nei nostri
concittadini. Se non siamo gli unici ad aver conservato un’arma, forse si
potrebbe mettere in piedi qualcosa. Proprio per questo motivo ho bisogno di
andare in piazza, domani mattina: voglio capire se il mio ragionamento può
funzionare oppure no.»
«Opporsi a quei tipi sarebbe una
follia, Stan. Lo sai benissimo» gli fece notare Robert con una certa diffidenza
affilata nel tono di voce.
«Certo che lo so. Ma se di folli ce ne
sono abbastanza, in questa città, forse abbiamo qualche possibilità di riuscire
a liberare Eglon con le nostre forze.»
Emily Cooper guardò fuori dalla
finestra dell’Eglon’s Window Hotel e percorse con gli occhi lucidi la
carreggiata che sfilava quattro piani più in basso. I lampioni si erano già
accesi da una mezz’ora circa, ma ancora i passanti non avevano smesso di
affollare Main Street con le loro camminate spedite e allo stesso tempo
prudenti. Sembrava che la città fosse in fibrillazione. Ma a Emily, in fondo,
non importava poi un granché.
Era lì già da una settimana, ormai, e
tutto il tabacco che era riuscita a procurarsi nell’arco di quelle interminabili
giornate si riduceva a un misero pacchetto di sigarette sgualcite che aveva
dovuto acquistare alla reception per la bellezza di venti dollari. L’ultima
sigaretta se l’era fumata quella mattina sul balcone della sua stanza, e adesso
si sentiva la gola secca e il respiro affannato perché le mancava il sapore del
fumo. Forse le mancava addirittura più di George, che era rimasto a Los Angeles
e che probabilmente nemmeno sapeva che fine avesse fatto.
Peggio
per lui, si disse Emily con una certa dose di crudeltà. Se avesse fatto come gli avevo suggerito di
fare e mi avesse seguita, adesso sarebbe qui con me e non si starebbe
domandando se sono scappata con i suoi soldi su un’isola tropicale assieme a
qualche bell’imbusto indigeno.
Certo, la prospettiva si poteva anche
rovesciare: se lei avesse accettato di rimanere a Los Angeles, a quell’ora
sarebbe stata seduta in ristorante in compagnia di George a bere buon vino e
assaggiare piatti sfiziosi. Ma non era andata così, e con quei se non avrebbe certo risolto la
situazione. Era rimasta senza sigarette e, in base a quanto aveva capito,
sembrava che fossero finite ormai in tutta la città. Così com’erano state
esaurite le scorte di cibo e di carburante, se si voleva dar credito a quel che
si diceva in giro.
Roba da non credere. Eppure, si
trovava nel mondo reale, questo era poco ma sicuro. Anzi, peggio ancora: non si
trovava soltanto nel mondo reale, ma addirittura nel bel mezzo degli Stati Uniti d’America, nello Stato
dell’Arkansas, nella Jefferson County e
a Eglon, che diamine!
Oltretutto, in albergo correva voce
che l’Esercito fosse accampato appena fuori dai confini della città e che
l’attacco di due notti prima, quello in cui diversi civili avevano perso la
vita sotto un’inaspettata e repentina nevicata di bombe, fosse stato promosso
proprio dal Governo. Il che significava che la rivoluzione in atto risultava
essere scomoda per gli Stati Uniti, e che le forze armate avevano preso
l’iniziativa di attaccare senza neppure attendere il via libera delle Nazioni
Unite e della comunità mondiale.
Le implicazioni erano molteplici ed
Emily aveva trascorso delle ore a sfogliarle mentalmente, prendendo
diligentemente appunti nel grosso taccuino della sua memoria e finendo per
evidenziarne una sola, quella che a suo avviso doveva essere la più importante:
gli Stati Uniti d’America, indiscussa potenza mondiale, erano stati duramente
colpiti al cuore e nella foga del momento avevano compiuto un passo falso,
decretando il proprio suicidio politico sul piano internazionale. La brutalità
degli attacchi perpetrati a danno di innocenti non sarebbe passata inosservata
agli occhi attenti dell’opinione pubblica, e la situazione sarebbe passata
sotto il controllo diretto dell’ONU.
Quasi sicuramente sarebbe andata così. A questo punto, dunque, quanto ci
sarebbe voluto prima che si escogitasse una soluzione efficace al problema?
Emily Cooper conosceva bene la
risposta a quest’ultima domanda, e francamente preferiva fingere di non
saperla. Anche se in fondo, malgrado tentasse instancabilmente di nasconderla
ai propri occhi, essa compariva di continuo nella sua mente: tanto, tantissimo
tempo. E forse non sarebbero mai veramente riusciti a risolvere la questione.
Ci voleva un’idea. E alla svelta,
altrimenti sarebbe finito tutto quanto lì, in quello spruzzo di colore perlaceo
che le offuscava la vista.
Immagini dell’aeroporto. L’aeroporto
di Eglon. Avvolto dalle tenebre, sì. Aveva il ciclo, adesso, e potenti crampi
le scuotevano lo stomaco e glielo strizzavano come uno strofinaccio bagnato. Si
sentiva triste e terribilmente sola. Però…
Però
c’è dell’altro. Lo sento. Sento che non è tutto qui, che il fuoco che
si alzava dall’aeroporto era soltanto l’inizio. Anzi, ne sono sicura.
C’erano i carri armati, dentro
quell’immenso garage fasciato dall’oscurità. Una fila di carri armati imponenti
che la fissavano con ribrezzo e disprezzo, quasi fregandosene di lei. E il buio
le faceva paura, perché era dominato da cigolii e scricchiolii che definire
sinistri sarebbe stato non soltanto da ottimisti, bensì da luridi ottimisti.
Nancy Vaugher, in quel momento, sentì
i propri pensieri venire rapidamente risucchiati per mezzo di una pratica
cannuccia di plastica. Al loro posto si insediò una sprezzante voglia di
cioccolato che le sussurrò di fuggire.
«D’accordo, Nancy. Torniamo di sopra»
mormorò tranquillamente Samuel Grey, e la giovane donna ubbidì senza fiatare,
seguendo da vicino la silhouette dell’uomo che riattraversava lo sconfinato
garage dei carri armati.
«Non capisci, Betty? Mio padre è vivo!
Ed è tornato! Finalmente è tornato a riprendere il controllo della sua città!»
esclamò Daniel Green con un certo entusiasmo, quasi saltando per la gioia. La
notizia era sensazionale, doveva ammetterlo. Eppure, Betty sentiva che non
poteva essere tutto qui. C’era per forza qualcos’altro, qualcosa di strano che
non riusciva a percepire.
«È fantastico!» saltò fuori Rebecca,
alle loro spalle. Betty si girò a guardarla con aria stizzita. Da quando erano
tornati dall’ospedale Rebecca non faceva che parlare. Aver ritrovato suo cugino
l’aveva resa più loquace, anche se il poveretto non era ridotto nelle migliori
condizioni. Si trovava nei pressi di uno degli edifici colpiti dalle bombe, la notte
in cui i Black Hawk dell’Esercito avevano attaccato la città, e le ferite che
aveva riportato erano gravi ma non letali. Il suo medico aveva detto a Rebecca
che si sarebbe ripreso nel giro di qualche mese. Sempre, ovviamente, che le
scorte di medicinali fossero state reintegrate al più presto, dato che stavano
diminuendo allo stesso ritmo con cui i pazienti si moltiplicavano.
«Piano, ragazzi» farfugliò Betty,
pensosamente.
«Se tuo padre riuscirà a riprendere il
controllo della situazione io e mio cugino potremo tornare a casa!» proseguì Rebecca
imperterrita, come se non l’avesse sentita parlare.
«Non solo: sistemerà le cose con i
rivoluzionari e con l’Esercito, e ripristinerà l’ordine!» la assecondò Daniel,
così eccitato da non essere evidentemente capace di ragionare con lucidità.
Betty lo squadrò malamente e si schiarì sonoramente la voce, attirando la sua
attenzione.
«Calma, Daniel. Non è detto che questo
volantino riporti una notizia completamente positiva» lo frenò Betty con il
massimo del tatto possibile. Il suo ragazzo la fissò confuso, ridacchiando.
«Come dici, Betty? Non è positiva?
Stai scherzando, spero: mio padre sta bene ed è tornato in città, probabilmente
ha trovato il modo di porre fine a tutto questo!» ribatté spensieratamente
Daniel, guardandosi attorno nel salone di casa come se stesse cercando il
vicesindaco Green nascosto dietro il divano.
«Rifletti un momento, Daniel. Lascia
perdere l’emozione e pensaci, maledizione! Da dove credi che venga
quest’avviso, eh?» gridò tutto d’un tratto Betty, sventolandogli davanti al
viso il volantino che era stato infilato sotto la porta dell’appartamento.
«Viene dai ribelli, ecco da dove! Sono stati loro a stamparlo e a farlo
circolare per tutta la città, loro hanno organizzato il discorso del vicesindaco
e loro stanno invitando la popolazione ad ascoltarlo!»
«Vuoi dire che può trattarsi di una
farsa?» domandò Daniel, finalmente titubante.
«O anche peggio, magari: potrebbe
trattarsi di un discorso manipolato.»
«Manipolato?» intervenne Rebecca,
disorientata.
«Sì, proprio così. Un discorso scritto
dai ribelli. Potrebbero aver obbligato il vicesindaco a pronunciarlo davanti
alla cittadinanza, per quello che ne sappiamo» spiegò Betty, lasciando il fidanzato
a bocca asciutta.
«Questo vuol dire che non ci conviene
andare ad ascoltarlo?»
«Al contrario, invece. Andremo ad
ascoltarlo eccome, quel discorso. E così riusciremo a capire se il vicesindaco
Green sarà stato costretto dai ribelli a mentire alla sua città.»
«Brian, vieni con noi?» volle sapere
Jeremy, interrogando l’agente sotto copertura dell’FBI
che aveva salvato i residui della polizia di Eglon conducendo tutti loro
in quel vecchio complesso industriale abbandonato nei pressi della periferia.
L’edificio era mastodontico, ma totalmente vuoto. Attorno al parcheggio avevano
cominciato a crescere le erbacce e il cancello che delimitava il perimetro
della costruzione era già stato assaggiato dai primi morsi della ruggine.
«Naturalmente» rispose Brian Jones con
il suo lieve accento inglese, pacato ed elegante come sempre. Si avvicinò a
Jeremy, Patrick e Phil e si infilò in tasca il cellulare con il quale stava
armeggiando fino a un istante prima.
«Ancora niente campo, vero?» gli
chiese il vicesceriffo Patrick Wieler, accennando al telefonino appena
scomparso nella sua tasca.
«No, niente di niente» confermò Brian
con aria rassegnata, alzando le spalle. «Ma d’altronde non possiamo aspettarci
che le comunicazioni riprendano di punto in bianco, senza che nessuno si prenda
la briga di capire come siano state oscurate ed elimini la fonte dei disturbi.»
Assieme, i quattro si spostarono
nell’ampio ingresso dell’edificio, vuoto come tutti gli altri ambienti, e
uscirono in cortile. Prima di varcare la soglia il vicesceriffo Wieler salutò
con un cenno del capo i due poliziotti appostati alle finestre del piano terra,
intenti a fare la guardia al complesso in cui si erano rifugiati. Altri agenti
erano stati disposti nei punti strategici dei piani superiori, di modo che
potessero controllare l’intera zona circostante per prevenire qualsiasi genere
di pericolo.
«Che cosa troveremo nella piazza del
municipio, secondo voi?» domandò a un tratto Phil, mentre si incamminavano tra
le fabbriche chiuse che li osservavano con i mille occhi luccicanti delle finestre
desolate.
«Solo follia» borbottò Patrick Wieler,
e la sua sentenza fece calare il silenzio.
La piazza era letteralmente gremita,
quella mattina. La folla che si era radunata davanti al municipio della città
di Eglon pareva infinita, e un inesauribile flusso di persone continuava ad
alimentarla minuto dopo minuto.
La piazza era altresì circondata. Due
carri armati, al centro di Main Street, sorvegliavano la zona con le loro nere
bocche da fuoco in posizione, quasi che non attendessero altro che un ordine
d’attacco. Tutt’attorno al perimetro i rivoluzionari avevano formato file
compatte, chiudendo le strade secondarie con i furgoni blindati e assicurandosi
che la gente che passava fosse innocua.
Alcuni ribelli erano stati posizionati
all’interno del municipio e degli edifici accanto, dislocati presso le finestre
spalancate dei vari piani con fucili di precisione pronti a essere rapidamente
puntati sulla piazza nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Gli altri, a
dozzine, erano schierati nei punti strategici dai quali si poteva tenere sotto
controllo la situazione senza correre rischi eccessivi.
Maschera Blu si posizionò in cima alla
scalinata che metteva in comunicazione la piazza con la porta d’ingresso del
municipio. Il tratto di facciata attorno alla finestra di quello che era stato
l’ufficio del sindaco John Donaldston era ancora annerito, e il vetro non era
stato sostituito. Si trattava dei residui del primo attacco sferrato alla
città, e la popolazione ne serbava ancora una memoria nebulosa ma
sufficientemente stabile.
Il microfono posto di fronte alla
porta d’entrata del municipio era stato collegato a una decina di enormi casse
disposte attorno alla piazza. Maschera Blu gli si avvicinò e rimase immobile,
in silenzio, come la caricatura grottesca di un’antica effigie demoniaca. La
folla si zittì e il suo mormorio confuso sfumò nell’aria, estinguendosi.
«Cittadini di Eglon» esordì la voce
incolore e insapore di Maschera Blu, adoperando quella formula di apertura che
gli abitanti della città avevano registrato e riascoltato svariate volte nei
propri incubi. «Siamo felici di constatare che siete venuti in molti,
quest’oggi, ad ascoltare quello che il vostro vicesindaco ha da dirvi. Non
intendo rubarvi troppo tempo. Desidero soltanto dirvi che ci sono pervenute
interessanti notizie dall’esterno: sembra che l’Esercito sia stato autorizzato
a intraprendere un’operazione d’assedio nei confronti della città, e che ai
soldati sia stata data carta bianca. Per questo, abbiamo motivo di credere che
le risorse saranno sempre più scarse. Ma stiamo già attuando un progetto che ci
permetterà di raccoglierne abbastanza, nei prossimi giorni, da rendere
nuovamente operativa la città per qualche settimana. Sto parlando di cibo,
acqua, medicine e carburante. Cercate di farvi bastare le vostre scorte ancora
per qualche giorno, dopodiché provvederemo noi a distribuirle a chiunque ne
avrà bisogno.
«In merito a queste considerazioni,
faccio presente fin da subito che Thomas Green è da oggi nominato sindaco a
tutti gli effetti della città di Eglon. Sarà lui a fare da intermediario tra la
popolazione e i Soldati della Rivoluzione, e qualsiasi richiesta da parte
vostra dovrà passare attraverso di lui.
«Fatte queste premesse, vi lascio al
discorso del vostro nuovo sindaco: Thomas Green.»
La folla, ammutolita, osservò Maschera
Blu spostarsi di lato per lasciare spazio alla nuova figura appena comparsa
dalla porta aperta del municipio. Il sindaco Thomas Green si avvicinò al microfono
e si schiarì tranquillamente la voce, producendo un sorriso che fece quasi
accapponare la pelle alle persone che assistevano dalla prima fila.
Era proprio lui. Nessuno faticò a
riconoscerlo, e appena incominciò a parlare tutti si resero conto che non
poteva trattarsi di un sosia: era davvero Thomas Green, la voce era la sua. Ma
c’era qualcosa di strano nei suoi occhi. Qualcosa di vagamente oscuro e
indecifrabile, che comunicava una smisurata tristezza.
«Miei cari concittadini,» principiò il
neosindaco, vestito in un impeccabile completo blu notte, «in questo grave
periodo di crisi mi rivolgo a voi non da vostro amministratore, bensì da vostro
pari. La Rivoluzione è diventata parte di noi. Adesso, è tempo che noi
diventiamo parte di lei.»
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