Correva nelle tenebre. Anzi, meglio: fuggiva nelle tenebre, e le sue gambe
erano pale di un mulino a vento che guizzavano nell’aria sopra l’infinita
campagna olandese.
Tutto ciò che rimaneva di lui, adesso,
era quel paio di gambe che correvano a perdifiato nel buio. I suoi passi
giungevano attutiti, ovattati alle sue orecchie. Il contatto delle suole con
l’asfalto era smorzato da qualcosa che non riusciva a individuare. Però… Era
qualcosa, e questo è quanto.
La confusione che l’immagine di quel
mulino sullo sfondo gli suscitava era a dir poco dolorosa. Dolorosa? Sì,
avanti, diciamo pure dolorosa. Anche se… No dai, andava bene. Andava bene così,
e Gary Hullman non avrebbe saputo spiegare con un aggettivo migliore le proprie
sensazioni.
Le sue gambe continuavano a correre
nelle tenebre, a fuggire, e i suoi passi e il suo respiro affannato giungevano
da lontano, come se fossero rumori separati e distanti dal suo corpo. Il che
era impossibile, giusto? Eppure lo percepiva, e quello che avvertiva dentro di
sé era innegabile. Come poteva d’altronde giustificare il contrario di ciò che
sentiva, se lo sentiva?
Più
confusi di così non si può essere, valutò tra sé e sé senza smettere di
correre né rallentare l’andatura. Main Street era ai suoi piedi, si srotolava
sotto i suoi
(piedi
di pietra)
piedi, e lui non si sarebbe fermato finché le luci del
giorno non si fossero svelate ai suoi occhi confusi e cerchiati di oscurità.
«Sono Rapidoman, e sto volando sulla strada a velocità spaventosa sulla
mia motocicletta fatta di burro fuso! Prova a prendermi, se ci riesci, Uomo
Nero!» strillò con un tono di voce paurosamente acuto, per certi versi quasi
femminile.
Scoppiò a ridere e subito smise, perché
di nuovo fu ipnotizzato dal movimento ipnotico che le sue gambe producevano
mulinando nelle tenebre in una folle fuga
(corsa)
dalle ombre della sua fantasia
(l’Uomo
Nero)
che lo inseguivano senza pietà.
La sedia sulla quale si trovava finì
pericolosamente in bilico sulle due gambe posteriori, si sbilanciò e cadde
all’indietro, producendo un sonoro schiocco sul pavimento di linoleum della
cucina accompagnato dalle risate di Gary.
L’acido che si era sparato quella sera
era più forte di quelli che usava di solito, ma lui non se ne rendeva nemmeno
conto. Tutto ciò che gli importava, in quel momento, erano le sue gambe che
come un mulino a vento cercavano di scappare dall’aria ma non ci riuscivano,
condannate per l’eternità a farsi afferrare dalla loro nemica e a farsi
sbattere di qua e di là come delle puttane.
L’Uomo Nero provava una certa pena per
lui, nel profondo del suo animo dilaniato. Ma in superficie, per dirla tutta,
lo disprezzava intensamente e lo trovava sfacciatamente patetico.
«Vediamo quanto corri veloce, Rapidoman, con un pallino di piombo nel
cervello…» sussurrò l’Uomo Nero appoggiando la canna della pistola sulla fronte
imperlata di sudore di Gary Hullman, in mezzo a quegli occhi arrossati e lucidi
in cui le pupille erano diventate grosse come fori di proiettile.
Gary esplose in una fragorosa risata,
l’ultima della sua miserabile esistenza. «Bye bye baby» canticchiò l’Uomo Nero,
e premendo il grilletto si ritrovò la maschera schizzata di sangue fresco.
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
19
BRACCATI
«Fanculo!» berciò Phil mollando il
martello e infilandosi il dito in bocca, come un neonato. L’attrezzo da lavoro
cadde sonoramente sulle piastrelle del bagno e il tonfo riecheggiò per tutto il
seminterrato, facendo trasalire alcuni suoi colleghi.
«Tutto bene, Phil?» s’informò Jeremy
Barton facendo capolino nella stanzetta semibuia con un’espressione ansiosa
dipinta in volto. Sogguardò il poliziotto, quindi squadrò il martello sul pavimento
e il chiodo piegato e un sorriso gli emerse sul volto teso.
«Sì, tutto okay…» rispose Phil tirando
fuori il dito dalla bocca per parlare. Jeremy gli lanciò una strizzatina
d’occhio e ritornò di là, nel salone grande, per dare una mano a un altro paio
di poliziotti che stavano trasportando a fatica un’enorme cassapanca.
Era stata una fortuna trovare quel
posto, ragionò Jeremy mentre aiutava i suoi colleghi con l’immenso mobile di
legno. Un nascondiglio perfetto per sparire dalla circolazione. E loro avevano
decisamente bisogno di non farsi vedere per qualche tempo, altrimenti la
situazione in città si sarebbe fatta a dir poco bollente in un battibaleno.
Tutto si era svolto nel giro di due
giorni, e di colpo si erano ritrovati lì dentro con un gruppo ben nutrito di
poliziotti in divisa antisommossa. Era stato il vicesceriffo Wieler a scovarli,
dopo quelle ore di assoluto disorientamento che avevano trascorso
nell’abitazione vuota e silenziosa di Phil. Lui, Patrick e Brian Jones si erano
asserragliati in casa, pronti a difendersi nel caso in cui qualcuno fosse
venuto a cercarli. Non sapevano che fine avessero fatto tutti gli altri
poliziotti, scomparsi nel nulla mentre loro stavano fuori in ricognizione.
Temevano il peggio, ma non tutta la speranza si era ancora dissolta. Alla fine,
la loro paziente attesa era stata ricompensata.
Il vicesceriffo Wieler aveva
annunciato che si sarebbe ritirato in bagno per qualche minuto, intorno alla
metà del secondo pomeriggio trascorso nella casa abbandonata di Phil. Jeremy e
Brian erano rimasti in ingresso con le armi impugnate, intenti a osservare la
strada di fronte all’abitazione e a classificare in un archivio mentale i visi
di ogni singolo passante.
Patrick aveva chiuso la porta del
bagno dietro di sé, aveva posato la pistola d’ordinanza sul ripiano della
specchiera di fianco al lavandino e si era tirato giù la patta, prendendo
scrupolosamente la mira.
«Vicesceriffo!» aveva esclamato
qualcuno all’improvviso, sottovoce, ma con sufficiente enfasi da far sobbalzare
Patrick. «Il vicesceriffo è qui! Presto!»
Patrick Wieler si era riabbottonato i
pantaloni e aveva cercato invano la fonte di quella voce misteriosa, finché
qualcuno non aveva bussato al vetro della finestra alle sue spalle. Si era
voltato di scatto, all’erta, e scorgendo la faccia bonaria e paffuta di Phil si
era sentito immediatamente sciogliere la tensione nei muscoli e nella testa.
«Phil! Accidenti, ma dove ti eri
cacciato?» aveva domandato d’impulso, come prima cosa. Il poliziotto gli aveva
fatto cenno di abbassare la voce e gli aveva bisbigliato di aprire la finestra.
Il vicesceriffo lo aveva fatto entrare assieme al collega che lo seguiva e i
tre si erano spostati nell’ingresso, dove Jeremy e Brian li avevano accolti con
sguardi increduli.
Phil aveva incominciato subito a
spiegare: «Dopo che ve ne siete andati la scorsa mattina, lasciandoci qui ad
aspettarvi, è successo un casino. Un paio di tizi con la maschera si sono
avvicinati alla casa e hanno cominciato a piantonare l’ingresso, passeggiando
da una parte all’altra del giardino e guardando insistentemente verso le
finestre. Erano armati, e noi stavamo chiusi dentro senza emettere alcun suono.
Ne sono arrivati altri due nel giro di una mezz’ora, e assieme si sono fermati
di fronte alla porta e hanno suonato il campanello. Abbiamo finto di non
esserci, così uno di loro si è messo a lavorare sulla serratura con una
forcina. In mezzo minuto aveva aperto la porta e noi ci eravamo spostati di
sopra, osservando il pianterreno dalla cima delle scale.
«Sono entrati tutti e quattro,
richiudendo la porta in silenzio. Uno si è diretto immediatamente verso la
cucina, un altro è partito verso il bagno e il terzo si è mosso in direzione
delle scale. L’ultimo è rimasto accanto alla porta, a fare la guardia.
«Per fortuna che Michael aveva un
silenziatore dentro il suo zaino, altrimenti sarebbe finita diversamente.
Abbiamo aspettato che uno dei ribelli arrivasse a metà delle scale,
nascondendoci in una delle stanze. Lo abbiamo seguito con lo sguardo, gradino
dopo gradino, finché non era quasi arrivato al pavimento del primo piano. Gli
abbiamo sparato un unico colpo al collo, piano, e in due lo abbiamo trascinato
nel bagno e abbiamo chiuso la porta.
«Quello che era entrato nel bagno del
pianterreno è ritornato due minuti dopo, chiamando il compagno su per le scale.
Non udendo alcuna risposta, ha iniziato a salire con la pistola spianata. Appena
lo abbiamo visto comparire abbiamo sparato e lo abbiamo preso a una spalla. Il
secondo colpo lo ha abbattuto prima che riuscisse a reagire, ma ormai aveva già
tirato un urlo di sorpresa e la copertura era saltata. Gli altri due tizi si
sono precipitati in soccorso del compagno attaccato, e noi siamo dovuti uscire
allo scoperto per freddarli prima che capissero la situazione e varcassero la soglia
d’ingresso alla ricerca di rinforzi.
«Avevamo quattro cadaveri insanguinati
riversi sul pavimento, alla fine dell’azione; un gruppo di poliziotti
irrequieto e la mia famiglia terrorizzata. Dovevamo andarcene, prima che
qualcuno venisse a cercare i ribelli scomparsi. Ma passeggiare tranquillamente
per la strada come se niente fosse non sembrava affatto una buona idea.
«È stato allora che mi è venuto in
mente l’appartamento interrato che mio fratello ha costruito per mio nipote
sotto casa sua. Sei stanze abusive, che non sono mai figurate nel catasto,
accessibili soltanto dall’interno dell’abitazione. Ci siamo trasferiti lì,
muovendoci un po’ alla volta in gruppetti esigui, e adesso siamo tutti quanti
ospiti di mio fratello a tempo indeterminato.»
«Una vera manna dal cielo…» aveva
commentato brevemente Brian con fare pensoso. Dieci minuti più tardi si
trovavano tutti e cinque nell’ingresso dell’abitazione del fratello di Phil, ad
abbracciare i loro amici e colleghi ritrovati.
Jeremy, ripensando a quello che era
successo, considerò che Brian aveva ragione: era stato un vero colpo di fortuna
avere a disposizione quell’appartamento sotterraneo. In questo modo, se non altro,
sarebbero stati al sicuro. Ma c’era un dettaglio che ancora non lo convinceva del
tutto: se i rivoluzionari non li avessero trovati da nessuna parte, dove
sarebbero andati a cercarli? Dai loro parenti come prima cosa, questo era poco
ma sicuro. Ciò includeva Ben, il fratello di Phil, nella lista dei potenziali
complici della polizia. E quando gli avessero chiesto di poter perquisire la
sua casa per vedere se stesse nascondendo loro qualche poliziotto, cosa avrebbe
risposto Ben?
Per adesso, comunque, non c’era da
preoccuparsi troppo. Si trovavano in un rifugio sicuro ed erano ancora tutti
sani e salvi. La priorità, ora, era capire che fine avesse fatto il gruppo del
vicesceriffo Steve Corall. Una volta ricongiunti con loro avrebbero potuto
iniziare a cercare un modo per comunicare con l’Esercito che stava accampato
fuori dalla città, a pochi chilometri dalle barricate innalzate attorno a
Eglon.
Ben, il fratello di Phil, comparve in
fondo alla scalinata che collegava il ripostiglio della casa all’appartamento
sotterraneo costruito per il figlio. Quest’ultimo si trovava fuori città al
momento dell’attacco. Frequentava il college a Memphis, di conseguenza i
genitori non avevano sue notizie da quando Eglon era stata occupata.
Ben pareva seriamente preoccupato.
Entrò senza dire una parola, si infilò nel bagno e chiuse la porta. Jeremy
liquidò la cosa con un’alzata di spalle e tornò al lavoro con i suoi colleghi:
dovevano allestire il campo base per le notti a venire, ed era fondamentale riuscire
a trovare un posto letto per ciascuno di loro. Sarebbe stato come dormire in
caserma su brandine scomode e dismesse, ma era sempre meglio che rifugiarsi
sotto qualche ponte sperando che i rivoluzionari non li scorgessero dalla
strada.
Dopo qualche minuto, Jeremy sentì un
paio di dita picchiettargli sulla spalla. Si voltò e registrò l’espressione
cupa di Phil, piazzata a pochi centimetri dal suo volto. «Dobbiamo parlare, e
alla svelta. Io, te, Ben, il vicesceriffo Wieler e quel Brian Jones dell’FBI.»
Katie Simons in un certo senso sapeva,
dentro di sé, che rivolgersi alla polizia sarebbe stato quasi del tutto
inutile. Ciononostante, i genitori del suo ragazzo avevano insistito affinché
si facesse un tentativo in quel senso, così lei alla fine si era dovuta
arrendere. Che facessero pure come credevano, allora: sarebbe stato tutto vano,
e lei pareva essere l’unica a rendersene conto. Oltretutto, il fatto che i suoi
genitori mancassero tuttora all’appello continuava a tormentarla sadicamente,
ricordandole che se avesse contraddetto la mamma e il papà di Chris sarebbe
rimasta sola. Ineluttabilmente sola, adesso che tutte le persone che amava
erano inspiegabilmente scomparse.
La sparizione di un centinaio di
ragazzi non era cosa da poco, in fin dei conti. Ma Eglon era una grande città,
e per quello che ne sapeva poteva essere capitato loro di tutto. Se ognuno dei
giovani presenti alla festa di Tila aveva fatto la stessa fine di Chris, non si
poteva obbligatoriamente concludere che anche i loro genitori li stessero
cercando. Era molto più probabile che si fossero chiusi in casa, sperando che
prima o poi i figli rientrassero ed evitando di mettere il naso fuori dalla
finestra per non vedere quello che stava succedendo alla loro città.
Triste, sì, ma quasi sicuramente vero.
Il che rendeva Katie sempre più motivata a continuare a cercare il suo ragazzo
e, appena fosse stato possibile, anche i suoi genitori.
«Allora, vediamo… Se ho capito bene,
voi mi state dicendo che tutti i ragazzi che c’erano alla festa di Tila
Berkovich, la notte del dieci settembre, sono spariti nel nulla. Giusto?» fece
loro ripetere forse per la terza volta consecutiva Terence Duke, ex poliziotto
ormai in pensione che aveva accettato di riceverli in casa propria dopo gli incalzanti
trilli di campanello dei genitori di Chris.
«Esatto, proprio così!» ribadì la
donna con un tono di voce incredibilmente acceso, gesticolando concitata.
L’ex poliziotto intrecciò le dita
appoggiando i gomiti alla scrivania e si protese burbero nella loro direzione, spalancando
gli occhi a tal punto da dare a Katie l’impressione di essere un maniaco in
cerca di guai. «Be’, e io che cosa ci posso fare secondo voi?» domandò con fare
alienato, quasi che della faccenda gli importasse meno di zero.
«Come sarebbe a dire, che cosa può
fare? Può mettersi in contatto con gli altri poliziotti, accidenti! Può cercare
i ragazzi, può mettere a frutto la sua esperienza sul campo! Deve aiutarci,
signor Duke! Non può fare finta che qui in città non stia accadendo niente! Ci
sono già fin troppe persone che chiudono gli occhi e si girano dall’altra parte
mentre la gente muore per le strade!» piagnucolò la madre di Chris, sconsolata.
Il marito le si avvicinò e le cinse la vita con un braccio, posandole un bacio
timido sulla nuca per rassicurarla con la propria presenza.
«Non saprei da dove partire, mia cara
signora. Non ho idea di dove siano finiti tutti i poliziotti di Eglon, tanto
per cominciare, e di sicuro non sono in grado di sbrigare la pratica per conto
mio: sono in pensione da tre anni, dannazione! Tre anni non sono pochi. Non
dico che ho dimenticato come si fa il mio mestiere, ma di certo mi sento
abbastanza arrugginito. Troppo arrugginito,
per caricarmi sulle spalle un peso simile. Mi dispiace, ma i vostri ragazzi
dovrete cercarveli da voi…» bofonchiò, alzandosi dalla poltrona dietro la
scrivania e accennando alla porta.
Il padre di Chris gli lanciò
un’occhiata delusa che fece sentire in colpa persino Katie. Il viso duro di
Terence Duke vacillò debolmente, ma non si scompose. I tre si avviarono
mollemente in direzione dell’ingresso dell’abitazione, sconfitti.
Terence Duke aprì loro la porta in
modo da dimostrare la sua scarsa attitudine alle buone maniere. Per prima uscì
la madre di Chris. Katie la seguì senza fiatare, e quando si volse per vedere
dove fosse il padre del suo ragazzo si accorse che l’ex poliziotto lo aveva
fermato e gli stava parlando.
«È l’unico aiuto che possa darvi, ora
come ora. Mi raccomando, fai attenzione. Non credere che sia una cosa da poco.
In tempi come questi, potrebbe rivelarsi assai più utile di un banale pezzo di
pane» sentì farfugliare. Scorse un movimento, uno scambio furtivo, e intravide
la sagoma di un revolver passare dalla mano di Terence a quella del papà di
Chris. Quest’ultimo afferrò saldamente l’arma, la infilò nella tasca del
cappotto e uscì assieme alla moglie, ringraziando il signor Duke con aria
riconoscente e incamminandosi lungo il marciapiede.
Katie lo seguì taciturna, consapevole
della gravità della scena alla quale aveva appena assistito. Quel revolver,
accompagnato da quelle parole, racchiudeva in sé un solo significato: il peggio
doveva ancora venire.
«D’accordo, qual è il problema?»
s’informò il vicesceriffo Patrick Wieler, seriamente ansioso per via delle
espressioni buie degli altri quattro uomini che assieme a lui si erano radunati
nel soggiorno della casa di Ben.
«Calma, calma» intervenne Phil,
provando a esordire con scarso successo. «Ne dobbiamo parlare con calma,
altrimenti viene fuori un casino…» mormorò subito dopo rivolgendosi al
fratello, il quale annuì amareggiato e si sforzò di trarre un profondo respiro
prima di cominciare a dare le cattive notizie.
«Non potete più stare qui» principiò
in maniera ruvida, e Phil alzò gli occhi al cielo con fare esasperato.
Jeremy rimase immobile a fissarlo,
tentando di assimilare le parole appena udite e di dare loro un senso. «Che
cosa vuol dire, che non possiamo più stare qui?»
Ben sospirò, forse un po’ più
energicamente del normale, e quando riprese a parlare guardava la parete di
fronte a sé per non incrociare lo sguardo degli altri quattro. «Non potete più
stare qui. Né voi, né tutti gli altri poliziotti.»
Patrick Wieler cercò il volto di Phil
con fare inquisitorio, individuandolo e interrogandolo a bocca spalancata. Phil
produsse un sorriso amaro.
«Mi rincresce davvero molto, ma io e
la mia famiglia non possiamo permetterci un rischio simile. Sono un semplice
banchiere, io, e mia moglie lavora alle poste. Siamo gente comune che vuole
solo la tranquillità, e da quando siete arrivati qui non riusciamo a smettere
di pensare che ci potrebbero scoprire da un momento all’altro. Avete visto i
manifesti contro la polizia che hanno fatto circolare nelle giornate scorse.
Siete ricercati. Braccati. Tutti voi, nessuno escluso. E chi vi darà rifugio e
protezione sarà considerato egualmente colpevole. C’è scritto su quei
maledettissimi fogli, non me lo sto inventando.
«Da quando mia moglie ha visto quel
poliziotto impiccato a Main Street, che pendeva dal lampione sulla strada in
mezzo alla gente terrorizzata, non ha più chiuso occhio. Ha paura per noi e per
i nostri figli. Mi ha detto che o ve ne andate voi o se ne va lei. Non ho altra
scelta, mi spiace» spiegò con voce piatta e monotona, allargando le braccia in
segno d’impotenza.
«Ti capisco, fratello» mormorò Phil.
«Anche io farei lo stesso, se mia moglie mi dicesse così. Hai la mia
comprensione. Avete già fatto fin troppo per noi, avete rischiato molto.» Il
suo tono, però, era asciutto e distante, risentito. Il suo sorriso sembrava
essere stato soppresso per sempre.
«Questo vuol dire che dovremo andare
tutti quanti da qualche altra parte?» chiese Brian Jones tranquillamente, senza
lasciar trapelare alcuna emozione. Jeremy lo fissò come istupidito e si rese
conto che l’amico era rimasto freddamente indifferente alle parole di Ben,
quasi che non lo riguardassero affatto. Pareva sereno, e lui proprio non capiva
come potesse esserlo di fronte alle oscure prospettive che si profilavano sul
loro orizzonte.
«Sì, temo di sì. Ho ottenuto di farvi
stare qui fino a domani mattina, così avrete un po’ di tempo per cercarvi un
altro rifugio. Tua moglie e i tuoi figli, Phil, potranno naturalmente rimanere
quanto vorranno. Anche tu, se vuoi, puoi restare» soggiunse Ben con fare
incerto.
Phil parve rifletterci un po’ su,
quindi piantò lo sguardo negli occhi stanchi del fratello e ribatté: «No, devo
andare con gli altri. Se vogliamo rimettere in piedi la città, dobbiamo darci
da fare tutti assieme. Dobbiamo collaborare, e non cedere alle pretese di quei
ribelli. Agendo uniti avremo qualche possibilità in più di scovare un modo per
liberare Eglon.»
«D’accordo» approvò Ben. «Tua moglie e
i tuoi figli rimarranno, allora, e tu partirai.»
«Va bene» confermò Phil, distogliendo
finalmente lo sguardo da quello del fratello maggiore.
«Per quanto riguarda noialtri, ci
conviene avvisare immediatamente i colleghi disotto che questa è l’ultima notte
che trascorreremo al sicuro» borbottò il vicesceriffo Wieler sciogliendosi dal
gruppo e dirigendosi con passo deciso verso lo sgabuzzino che comunicava con
l’appartamento interrato.
«Ancora una volta, mi dispiace»
bisbigliò tristemente Ben, e Brian Jones gli batté una pacca sulla spalla.
«Non ti preoccupare» lo rassicurò
l’agente dell’FBI. «Non stai condannando
a morte nessuno. Fai solo quello che ritieni giusto per la tua famiglia. So già
dove possiamo andare, e se tutto andrà bene non ci succederà niente. Domani
avremo da camminare un po’, gente.»
Sonny Dangerwood si accomodò sulla
sedia di fronte a quella che ospitava il padrone di casa già addormentato e
osservò il tramonto fuori dalla finestra della cucina, oltrepassando con lo
sguardo l’esiguo spazio tra le tende scostate.
Era già da qualche giorno che viveva
lì, ospite di quell’uomo che gli aveva salvato la vita quando pensava di essere
ormai finito nelle mani dei Sorveglianti. Aveva scoperto che si chiamava Terry
McCallister, il suo protettore. Si trovava bene in quell’abitazione piccola ma
funzionale. Era diversa da casa sua, certo, ma ci si era presto abituato.
D’altro canto, casa sua non esisteva più…
Questo pensiero gli fece salire
un’immensa tristezza. Una lacrima solitaria gli si formò all’angolo dell’occhio
sinistro e senza avvisare nessuno prese a scendere agilmente la ripida scarpata
della guancia incavata di Sonny, che se ne rese conto a malapena
superficialmente. La casa in cui lui e sua moglie erano vissuti per anni non
c’era più. Era stata rasa al suolo, e ora di essa non rimaneva altro che un
cumulo di macerie. I suoi ricordi più preziosi erano stati cancellati con lei,
nello stesso momento.
Ma
che dico? I miei ricordi sono sempre con me, non possono trovarsi tra le mura
di una vecchia casa e nemmeno negli oggetti della mia vita passata. Sono nella mia testa, i miei ricordi più
preziosi. Il volto e la voce di mia
moglie sono tra i miei pensieri, e quelli non possono essere rasi al suolo.
Continueranno a vivere finché avrò
respiro.
Questa riflessione fugace aiutò a
consolarlo e a mettergli il cuore in pace, trasformando il tramonto
insanguinato che vedeva dalla finestra in uno splendido pezzo di vetro
colorato.
Terry era un motociclista, da quello
che aveva capito, e quella sera si era addormentato sul tavolo della cucina
perché aveva trascorso tutta la giornata in sella a girovagare per la città in
cerca di carburante. Gli aveva raccontato che tutti i distributori di benzina
avevano chiuso e che adesso l’unico modo per procurarsene era pagarla
profumatamente ai privati. C’erano dei tizi che la rivendevano a prezzi
esorbitanti, aveva detto Terry prima di prendere sonno sulla sedia, e lui,
sebbene riluttante, aveva comprato venti litri e aveva chiuso le taniche in un
armadio del garage, bloccandolo con una catena e un lucchetto resistente.
Temeva che qualcuno potesse irrompere in casa sua a rubargli il carburante, e
Sonny iniziava a poco a poco a pensare che non era un timore del tutto
infondato, in fin dei conti.
Anche le sigarette erano finite, gli
aveva poi spiegato stancamente Terry, le palpebre pesanti che insistevano per
potersi chiudere. Tabaccai e distributori automatici erano rimasti a secco,
perché la gente aveva fatto scorta. Pure per quelle c’erano dei privati che
avevano iniziato a vendere di qua e di là qualche stecca, ma presto sarebbero
finite e non ci sarebbe più stato modo di procurarsele da nessuna parte.
Il problema maggiore, in ogni caso,
era quello del cibo. I supermercati di tutta Eglon erano stati totalmente
svuotati. I magazzini erano deserti, gli scaffali sgombri, così i vari
proprietari avevano chiuso l’attività. Ovunque, le porte dei negozi di
alimentari erano abbellite da cartelli scritti a mano che annunciavano
semplicemente: CHIUSO – SCORTE ESAURITE.
Per il momento, fortunatamente,
l’acquedotto era ancora funzionante. L’acqua del rubinetto era pulita e si
poteva bere senza problemi, ma per quanto ancora sarebbe durata? Terry era
convinto che fosse questione di tempo prima che togliessero loro anche quella,
bloccando l’erogazione dall’esterno. L’avrebbero fatto nella speranza di far
crollare i rivoluzionari, di tagliare loro ogni risorsa e costringerli a uscire
dalle barricate. In quest’ottica, Terry profetizzava che avrebbero interrotto
anche la fornitura di corrente e gas. Entro qualche giorno al massimo, diceva.
Forse, addirittura, nelle prossime ore.
Era stato Terry a illustrargli chi
erano i Sorveglianti e che cosa avevano fatto nel suo quartiere il giorno dopo
l’attacco, poco prima che Ben Dolovan fosse catturato e giustiziato, appeso a
quel lampione lungo Main Street. Quando aveva udito quella narrazione, Sonny si
era chiaramente sentito rabbrividire.
Adesso, però, era relativamente
tranquillo e scrutava il crepuscolo all’orizzonte con il respiro pesante di
Terry in sottofondo. Sapeva che in quelle ore i rivoluzionari si stavano
attivando per stanare gli ultimi poliziotti rimasti in città. Terry l’aveva
sentito dire ad alcuni ribelli quel pomeriggio, durante il suo giro in
motocicletta. Ne parlavano anche alcuni compari del tizio da cui aveva comperato
la benzina per sei dollari al litro.
I poliziotti, braccati come animali,
non avrebbero dormito quella notte. E se lo avessero fatto si sarebbero
ritrovati nella stessa posizione di Ben Dolovan: appesi a un lampione lungo
Main Street.
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