«Padre nostro, che sei nei Cieli…»
Il mormorio soffuso si spense di colpo
all’interno della chiesa di Eglon, affacciata su Main Street, e il rumore che
lo tranciò di netto fu uno sparo proveniente dalla strada antistante
l’edificio. L’anziana donna che aveva avviato la preghiera, i capelli grigi
raccolti in una crocchia polverosa e il sobrio vestito nero che le ricadeva
addosso annullando ogni forma umana, si volse con aria inorridita verso
l’ingresso chiuso e si pose in ascolto.
La gente dentro la chiesa rimase
immobile con lo sguardo rivolto a lei, che dal primo banco recitava
ininterrottamente il Rosario da almeno due giorni, sillabandolo sottovoce e
snocciolando i grani di una grossa Corona.
Altri spari agguantarono il silenzio e
lo stritolarono, facendolo sanguinare dolorosamente. La donna riportò lo
sguardo sul grosso crocifisso di legno che troneggiava al di sopra dell’altare
e percorse con gli occhi il volto di Gesù, dando l’impressione di interrogarlo.
Era affranta, e lo si poteva intuire senza alcuno sforzo dalla sua espressione
atona e compunta. Ma allo stesso tempo aveva fede in quel volto di legno
dall’aria sofferente, e anche questo era facilmente percepibile per via della
luce che le sprizzava vivace attraverso le pupille scure.
Una dispotica esplosione fece
vacillare per un attimo i suoi tratti marcati e immobili, e in quell’istante la
sua espressione salda e irremovibile si rivelò più stanca e impaurita di quanto
volesse far credere. Ma si affrettò a nascondere tutto questo dietro una
smorfia di devota alienazione, e girandosi a osservare i fedeli che aspettavano
di udire la sua voce sentenziò: «Non abbiate paura, figli di Dio. Lui è qui per
proteggerci. Nelle mura della Sua casa rimarremo al sicuro. Non dobbiamo temere
alcun Male!»
I fedeli, rincuorati dalle parole di
estrema fiducia, balbettarono qualche formula d’assenso e la preghiera riprese
da dove era stata interrotta.
«Padre nostro, che sei nei Cieli, sia
fatta la Tua volontà. Venga il Tuo Regno…»
La voce dell’anziana donna che
recitava dal primo banco fu sovrastata dallo scroscio tremendo di una nuova
esplosione a distanza incredibilmente ravvicinata, e il portone in fondo alla
chiesa si spalancò all’improvviso rivelando la figura scomposta dell’uomo
trafelato appena sopraggiunto. Sullo sfondo, dietro di lui, la facciata di un
palazzo sembrava essere crollata e le fiamme divampavano in spaventose lingue a
spirale che risucchiavano e consumavano i resti deformati di quello che pareva
essere stato un velivolo dell’esercito, un Black Hawk abbattuto sui cieli della
città.
«Altri elicotteri…» sussurrò
amaramente uno dei vecchi in secondo banco, guadagnandosi per questo
un’occhiataccia terrificante da parte dell’anziana signora con il Rosario
annodato attorno alle dita pallide e ossute.
«Stanno attaccando! Eglon è sotto
attacco!» riuscì a gridare con voce roca e cedevole l’uomo in piedi sulla porta
d’entrata, restando di nuovo completamente senza fiato.
L’anziana donna si voltò ancora in
direzione del crocifisso che la guardava dall’altare, e il suo sguardo incrociò
quello triste e muto del Cristo scolpito nel legno. Lo sondò per qualche
istante, come per vedere in esso il futuro che li attendeva, quindi dalle sue
labbra secche e screpolate trapelarono due sole parole, pronunciate alla
stregua di un’ultima supplica: «Dio, salvaci.»
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
16
DIO,
SALVACI
David Goldbert alzò la testa e sbuffò
seccamente. Non andava bene. Non andava bene per niente, dannazione. Di questo
passo sarebbero durati ancora due giorni, forse tre. E poi stop. Avrebbero
chiuso i battenti e tanti saluti a tutti quanti. Era questo l’inevitabile
destino che attendeva dietro l’angolo il loro modesto negozio di alimentari?
«Come siamo messi lì, David?» lo
interrogò suo padre da una delle corsie in fondo al supermercato. Sembrava
conservare ancora un po’ di ottimismo, ma il ragazzo sapeva che presto avrebbe iniziato
a vacillare e sarebbe infine crollato. Era soltanto questione di qualche ora,
prima che anche papà realizzasse quale fosse l’ineluttabile fine che spettava
al suo amato negozio. E mamma non sarebbe riuscita a consolarlo nemmeno in un
milione di anni, perché papà amava davvero
quel negozio. Era la sua vita, tutto ciò che la sua famiglia gli aveva
lasciato prima di andarsene. Perderlo, per lui, sarebbe stato come perdere
l’unico contatto rimasto con il passato.
«Non troppo male» mentì
spudoratamente, sondando con un’altra occhiata d’insieme gli scaffali
irrimediabilmente vuoti della corsia nella quale si trovava. In un paio di
giorni era stato fatto fuori tutto. Inizialmente i clienti erano stati pochi e
indecisi. Poi avevano incominciato ad essere un po’ di più, e ad acquistare
grosse quantità di scorte. I più pagavano senza accennare alcuna parola e se ne
andavano con i loro carrelli pieni, ma alcuni avevano anche creato qualche
problema.
Per fare un esempio, il pomeriggio
precedente Gary Hullman era entrato in supermercato pretendendo di prendere
quello che voleva senza pagare. Il padre di David gli aveva detto che non
poteva comportarsi in quella maniera, non in una società civile, e gli aveva
intimato di andarsene. Hullman gli aveva riso in faccia e aveva risposto
ironicamente: «Società civile? Non vedi che questa città non fa più parte della
civiltà? Siamo tagliati fuori dal mondo, e io voglio assicurarmi che in casa
mia ci sia da mangiare a sufficienza prima che le scorte cittadine si
esauriscano del tutto!» Detto questo, si era fatto comparire in mano un
coltello e l’aveva puntato verso il padre di David con fare minaccioso.
Era stato un attimo. David li fissava
dalla cassa, e in una frazione di secondo Gary Hullman era disteso sul
pavimento della corsia dei surgelati e il suo coltello veniva riposto da un
tizio con il volto coperto da una maschera bianca e rossa. Il padre di David
era rimasto immobile al proprio posto, e il ribelle aveva fatto rialzare
Hullman, gli aveva stretto le mani dietro la schiena tenendole ferme con una
delle proprie e lo aveva condotto fuori dal negozio di alimentari, sotto lo
sguardo allibito di tutti i presenti.
Era stata un’azione a dir poco
sorprendente, che David aveva interpretato come una volontà di protezione della
cittadinanza da parte dei rivoluzionari. A quanto pareva, quegli uomini non
erano interessati esclusivamente alla morte. Dovevano avere qualcos’altro in
mente, e questo qualcosa coincideva in maniera incredibile con un senso di
giustizia che David era sicuro di condividere appieno. In fondo, non erano poi
tanto crudeli quanto pensava…
«Non troppo male che cosa significa
esattamente?» volle sapere papà. La sua voce si stava avvicinando lungo una
delle corsie laterali, e la sua figura comparve un istante dopo accanto a
quella pensierosa del figlio.
«Non troppo male, eh? Io invece direi
che qui va malissimo, David» giudicò
l’uomo scandagliando con aria preoccupata gli scaffali semispogli che li
circondavano nel chiaroscuro delle luci al neon.
«Facciamo ancora in tempo a tirarci su
le ossa in qualche maniera. Magari possiamo chiedere a qualche cliente di
venderci un po’ di cibo dalle sue riserve…» ipotizzò David, poco convinto.
«Non credo che la gente abbia il
coraggio di privarsi del cibo che conserva in casa, figliolo. Hanno tutti
paura, e riempiono le dispense da brave formichine, chiudendole a chiave.
Temono che il cibo finisca presto. E, sinceramente, comincio a pensare che non abbiano
poi tanto torto…»
Certo che non avevano torto. David
sapeva com’era la situazione. C’erano altri tre supermercati a Eglon, due dei
quali appartenevano a grandi catene e disponevano di molto più spazio e
assortimento rispetto a loro. Il negozio più piccolo, appartenente a un
cittadino privato, era stato chiuso. I due più grossi erano ridotti altrettanto
male. Quella mattina, quando era passato a controllare, gli scaffali erano
vuoti e le corsie chiuse. Un dipendente gli aveva spiegato che per ragioni di
sicurezza tutti gli alimenti erano stati spostati in magazzino, perché c’erano
stati furti cospicui nelle ultime ore. Aveva poi aggiunto che rimaneva davvero
poco da vendere e che per questo il direttore si era visto costretto ad aumentare
i prezzi.
«L’acqua è stata la prima a finire»
riprese il padre di David, fissando il vuoto dei suoi scaffali con terribile
amarezza. «Poi sono andati via tutti i cibi in scatola, quelli che durano di
più. Ci restano poche confezioni, oltre a un bel po’ di roba fresca ormai da
buttare. Ho paura che stasera chiuderemo per l’ultima volta, David, e domattina
non potremo più riaprire.»
«E come farà la gente di Eglon a
mangiare?» mormorò cupamente David, inquieto.
«Non mangerà» rispose sinteticamente
suo padre, in tono deciso. «Forse è così che vogliono liberarsi di noi. Non
sono entrati a prendere neppure una fetta di pane, in questi giorni da quando è
iniziata la loro rivoluzione. Devono
possedere parecchie scorte di cibo, per se stessi. Lasceranno morire di fame
tutti gli altri, o peggio: ci guarderanno lottare gli uni contro gli altri per
quelle poche scatolette che rimangono, aspettando che ci decimiamo a vicenda…»
«Non credo che lo permetteranno»
intervenne David risoluto, rammentando la vicenda di Gary Hullman alla quale
anche papà, lo scorso pomeriggio, aveva assistito.
«Io invece credo che tu sia troppo
ottimista, ragazzo mio. Ti ricordo che hanno già ucciso decine e decine di
persone, abbattendo aerei ed elicotteri, facendo esplodere palazzi, sparando
per le strade, attaccando con i mortai… Hanno sterminato un’intera squadra di
poliziotti in una sola notte, e ne hanno impiccato un altro lungo Main Street.
Non sono qui per aiutarci, David. Sono qui per i propri interessi, e chiunque di
noi rappresenti un ostacolo verrà eliminato senza alcun rimorso.»
David non ne era del tutto sicuro, ma
in ogni caso annuì per non prolungare oltre la discussione con il padre. Aveva
bisogno di parlare con qualche autorità, e lo doveva fare al più presto. In mancanza
di un sindaco o di un vice che lo sostituisse, l’unica figura di potere che
rimaneva, a questo punto, era quella del ribelle appostato fuori dall’ingresso
del supermercato. E per parlare con lui non doveva fare altro che varcare la
soglia, uscire sul marciapiede e avvicinarsi.
«Stasera si chiude e si portano a casa
tutti i viveri rimasti» concluse il signor Goldbert con fare determinato. «Temevo
questo giorno da molto, moltissimo tempo, ma non credevo che sarebbe arrivato
in un modo tanto assurdo…»
David guardò fuori dalla porta
d’ingresso e scorse la silhouette immobile del rivoluzionario con la maschera
bianca e rossa che aveva impedito a Gary Hullman di ammazzare suo padre per
qualche pacchetto di biscotti.
Forse
quel giorno non è ancora arrivato, papà, pensò dentro di sé osservando lo
sconosciuto, e la sensazione di essere sul punto di correre fuori e chiedergli
aiuto lo costrinse a distogliere lo sguardo e a ritornare presso la cassa dove
una cliente era in attesa di poter pagare una bottiglietta di latte al
cioccolato.
La giornata era relativamente
tranquilla ed Eglon, dopo alcuni giorni di tensione inimmaginabile, si
preparava per il fine settimana più strano della sua storia. Le persone che
avrebbero voluto andare a trovare i parenti fuori città erano obbligate a
restare rintanate in casa per paura di essere coinvolte in qualche sparatoria
o, peggio ancora, nell’esplosione di qualche edificio. Chi invece desiderava
semplicemente cambiare aria doveva sopportare per forza di cose il solito vento
stantio e odoroso della città barricata, pazientando e sperando che le cose si
mettessero meglio o che, perlomeno, uscisse qualche briciolo di sole nei giorni
a venire.
Era trascorsa quasi una settimana
intera dalla notte dell’attacco, e l’agitazione non era ancora sbollita. La
gente aveva i nervi a fior di pelle, con la città chiusa in una barriera
continua, a sua volta presidiata da rivoluzionari armati con i volti coperti e
assediata da una guarnigione ben nutrita dell’Esercito degli Stati Uniti.
Il terrore di un assalto era pressoché
assente. La situazione pareva essersi stabilizzata e, sebbene non giungesse
alcuna notizia dall’esterno, se non altro si sapeva che un’azione militare nei
confronti di Eglon non sarebbe mai stata intrapresa, né dalla nazione, né
tantomeno da qualche altro Paese potenzialmente interessato ad alimentare la
rivolta. Attaccare Eglon, ora come ora, significava muovere guerra alla pace
mondiale e rompere una situazione di stallo pluridecennale, il che sarebbe
parso come un suicidio internazionale persino agli occhi degli uomini più folli
ed estremisti del pianeta.
No, la situazione sarebbe rimasta così
com’era ancora per molto tempo, lì ad Eglon. L’Esercito non aveva il coraggio
di muovere un muscolo. Nemmeno un proiettile era partito in direzione delle barricate
attorno alla città, neanche per sbaglio. E il silenzio che circondava il centro
abitato sembrava essere stato creato di proposito, quasi che non si volesse
fare nulla per liberare i cittadini di Eglon prigionieri tra le proprie mura.
Gregory Donington e Stan Payton
pensavano a tutte queste cose nello stesso tempo, pur trovandosi in parti
completamente diverse della città, e allo stesso modo riflettevano sul fatto
che avrebbero voluto dare una mano, in qualche maniera, ad allentare il nodo e
sbrogliare la situazione, ma proprio non sapevano da dove cominciare. Greg era
addestrato, certo, ma non per agire in condizioni simili, senza alcuna
possibilità di contattare l’esterno e coordinare una qualche sorta di
operazione. Stan, dal canto suo, non aveva idea di come muoversi in mezzo a
quella città che sembrava essere divenuta un campo minato. Non aveva armi,
eccetto la pistola nascosta sotto il pavimento del seminterrato. E non aveva
alcun genere di appoggio sul quale contare, né per informare l’esterno né per
rendersi conto pienamente della situazione interna.
Erano tagliati fuori dalla realtà, e
per adesso non potevano fare altro che guardare i giorni che scorrevano e
contare le ore che se ne andavano, aspettando che succedesse qualcosa e
sperando, nel frattempo, di riuscire a sopravvivere e a tenere al sicuro le
proprie famiglie.
«Gabriella!» esclamò sorpreso David appena
riconobbe la ragazza ferma alla cassa con in mano una bottiglietta di latte al
cioccolato e il portafoglio aperto. La giovane gli sorrise e si scostò una
ciocca di capelli dal viso, rivelando magici occhi blu che avrebbero rapito
qualunque sguardo.
«Ciao David» lo salutò affabilmente.
«Come stai?» si affrettò a domandarle,
non trovando nulla di meglio da dire. Caspita, quant’era bella! Resistere al
suo fascino era davvero difficile, e David dovette compiere uno sforzo immane
per non percorrere le sue curve strepitose con gli occhi mentre le parlava.
«Bene, tutto sommato. Anche tu, vedo.
Avete avuto il pienone in questi giorni, mi sembra di aver capito…» commentò
guardandosi intorno in maniera eloquente.
«Diciamo pure di sì…» concesse David,
un po’ impacciato. Avrebbe voluto chiederle dov’era stata in quei giorni, dopo
essere uscita di corsa il dieci settembre lasciando lì la barretta di cioccolato
che doveva comperare. Ma temeva di apparire invadente, perciò le sorrise.
«Sai, David, penso di non averti mai
visto in chiesa…» valutò Gabriella Higgins quasi tra sé e sé, assumendo
un’espressione riflessiva.
«No, è molto probabile che tu non mi
ci abbia mai visto… Non ci vado spesso…» confermò David con una certa
titubanza, spiazzato dall’affermazione della ragazza. Perché mai gli stava
parlando di chiesa? Con tutto quello che stava capitando a Eglon in quei
giorni, l’unica cosa che le veniva in mente era che non l’aveva mai visto in
chiesa? Non capiva.
«È un vero peccato. Sai, io e la mia
famiglia abbiamo trascorso gli ultimi giorni in chiesa a pregare. Dalla notte
dell’attacco viviamo praticamente lì dentro. Ogni tanto torniamo a casa per
mangiare e riposare, ma poi si va subito in chiesa e si prega Dio affinché
perdoni le nostre colpe e ci difenda da questi uomini malvagi che si sono
impadroniti della nostra città. Il Signore ci ascolta… Dovresti venire anche tu
una volta a pregare con me, David. Che ne dici?» sussurrò la giovane,
sorridendogli dolcemente.
«Sì, potrei…» bofonchiò David,
sentendosi sempre più spaesato.
«Ti aspetto lì, allora. Spero che
verrai presto. Le preghiere aiutano, David. Tu non puoi nemmeno immaginare
quanto.»
Francamente, David non ne era poi
tanto convinto. Ma se la bellissima Gabriella Higgins lo invitava a pregare in
chiesa, non poteva certo rifiutare. Avrebbe accettato anche se lo avesse
invitato in un forno crematorio, per cui era ben lieto di andare a parlare con
un Dio che non aveva mai conosciuto e con il quale, quasi sicuramente, non
avrebbe fatto amicizia per il resto della propria vita. Pur di stare con
Gabriella, era disposto anche a pregare più divinità contemporaneamente.
La giovane gli sorrise di nuovo, gli
lasciò giù una banconota e se ne andò con la sua bottiglietta di latte al
cioccolato senza attendere il resto. David la guardò uscire con gli occhi
strabuzzati, seguendo il lento e sinuoso movimento del suo sedere che si
allontanava e assorbendo la sua immagine per conservarla al sicuro nella
propria memoria, di modo da poterla richiamare alla mente quando avesse voluto
rivederla e rivivere il suo sguardo ammaliante.
In chiesa a pregare? Ci sarebbe andato
quella sera stessa, tanto non aveva niente di meglio da fare. Forse papà e
mamma avrebbero protestato all’idea che uscisse da solo con il buio in quella
città più pericolosa di una foresta preistorica, ma poco importava: aveva
intenzione di stare con la splendida Gabriella Higgins, e non avrebbe rifiutato
la possibilità che gli era stata offerta per tutto l’oro del mondo. Neanche se
quell’oro gli avesse permesso di tenere aperto il supermercato di suo padre,
aiutando i genitori a tirare avanti un altro po’.
Lo sguardo gli cadde sulla figura del
ribelle ancora immobile fuori dalla porta d’ingresso del negozio, in piedi con
la mitraglietta a tracolla. E il sorriso ebete che gli era rimasto impresso in
faccia da quando il didietro di Gabriella era scomparso si dissolse nel nulla.
Daniel si affacciò alla finestra e
Betty lo raggiunse, abbracciandolo. Fuori il sole stava tramontando, ma
l’orizzonte era adombrato dalle nuvole e i colori del crepuscolo venivano
annullati da un omogeneo grigiore aspro e fastidioso.
Il ragazzo sospirò e la giovane gli
baciò il collo. Rebecca era in bagno a farsi una doccia. Betty aveva
acconsentito a prestarle un cambio di vestiti suoi, nonostante l’idea di
tenerla in casa le desse ancora parecchio sui nervi. Alla fine aveva smesso di insistere
con il fidanzato per mandarla via, e Daniel aveva iniziato a mostrarsi più
dolce nei suoi riguardi.
Ci teneva a quella Rebecca, e Betty
non riusciva a capire il perché ma, tutto sommato, era disposta ad accettarlo.
Non credeva possibile che Daniel l’avesse tradita con quella ragazza. No, probabilmente
si sentiva soltanto in dovere di darle una mano. Questo sì che Betty lo
comprendeva. In fondo, tenere Rebecca non era poi così seccante. Aiutare
qualcuno faceva sempre un bell’effetto.
«Stai pensando a tuo padre?» bisbigliò
Betty nell’orecchio del fidanzato, delicatamente.
«Indovinato» rispose Daniel Green
molto placidamente. «Non riesco ad immaginare che fine possa aver fatto. Non
credo che lo abbiano ammazzato. Però… Magari è morto nelle esplosioni, oppure è
riuscito a fuggire… Averlo qui renderebbe le cose molto più semplici.»
«Lo sai che dobbiamo disfarci delle
sue armi, vero? Continuo a ricordare quell’uomo impiccato al lampione di Main
Street, i suoi occhi sbarrati e il suo collo spezzato. È ancora là. Anche oggi.
Non so quando lo tireranno giù, ma vorrei smettere di pensare che anche tu
potresti fare la stessa fine. Le armi di tuo padre sono pericolose, Daniel. Te
ne devi liberare.»
«Lo farò, sta’ tranquilla» la
rassicurò il ragazzo con poca convinzione. «Ma non stasera. Intanto voglio
nasconderle, perché potrebbero sempre tornarci utili. Chissà, magari mio padre
potrebbe tornare e aver bisogno di una pistola…»
Betty scosse la testa leggermente,
senza farsi vedere. Il vicesindaco Thomas Green non sarebbe tornato mai più,
ormai ne era quasi del tutto sicura. Ma non intendeva dirlo a Daniel, perché,
anche se sotto sotto lo sapeva pure lui, temeva che potesse dargli un
dispiacere troppo grande. Illuderlo non era saggio, perciò la cosa migliore da
fare era stare in silenzio e sperare che anche lui la finisse di parlarne.
Presto o tardi, ne era certa, si sarebbe stancato di aspettare suo padre e si
sarebbe concentrato sulle loro possibilità di sopravvivenza.
Betty si augurava soltanto che
avvenisse abbastanza presto, e non troppo tardi.
La notte calò rapida e implacabile,
come la lama lucente della scure di un boia sulla gola scoperta del condannato
a morte. Un vento lieve e freddo si sollevò sulla pianura dell’Arkansas, troppo
debole per poter spazzare via le nuvole ma sufficientemente energico da indurre
la maggioranza della popolazione di Eglon a rifugiarsi in casa al riparo.
Le luci lungo le strade erano accese
ma fisse, come se ogni attività umana fosse stata sospesa a partire dal momento
in cui erano entrate in funzione. Diverse finestre apparivano illuminate, ma dietro
i vetri non si scorgevano che poche figure umane. Tutti cercavano di
nascondersi, quasi che nell’aria si preavvertisse un odore strano che sapesse
di imminente pericolo. Era la quiete prima della tempesta. L’elettricità
presente nell’aria lo preannunciava a chiare lettere, e la tensione nei volti degli
abitanti di Eglon lo lasciava trapelare senza mezzi termini.
I ribelli sparpagliati lungo le vie
della città, con i loro furgoncini blindati e, in alcuni punti strategici, con
i loro inattaccabili carri armati, se ne stavano fermi a scrutare l’orizzonte
in attesa di un segnale che ordinasse loro di aprire il fuoco. Il silenzio
della notte si presentava gelatinoso, concreto eppure inconsistente. Niente
lasciava presupporre che sarebbe scoppiata una battaglia, ma tutto sembrava
quasi suggerire che fosse questa l’inevitabile sorte prestabilita per quella
spettrale notte in cui Dio si era dimenticato di badare alla piccola porzione
del proprio gregge che aveva dimora nella città di Eglon.
David Goldbert uscì di casa senza
sperare di scorgere le stelle. Non riuscì ad intravederne nemmeno una, lungo il
tragitto che compì da casa sua alla chiesa cattolica cittadina. Pensava a
Gabriella, mentre camminava, e al suo sorriso e al suo corpo egualmente
perfetti.
I ribelli lungo la via lo guardarono
passare disinteressati, senza neppure prendersi la briga di seguirlo con lo
sguardo, forse per pigrizia o forse perché, come pareva evidente, quel ragazzo
doveva essere del tutto innocuo.
La facciata della chiesa era sobria e
anonima, scandita da arcate semplici e colonne modeste, divisa in tre sezioni
verticali da un paio di contrafforti dall’aspetto vagamente gotico. La porta
era semiaperta, così David la spinse leggermente ed entrò in un ambiente in
penombra rischiarato da file di candele accese e dominato da un intenso aroma
di incenso.
Percorse la navata centrale fino ad
individuare i capelli dorati di Gabriella. Erano inconfondibili, in mezzo alle
teste di tutti quei fedeli radunati a pregare. La ragazza si voltò, lo cercò e
lo individuò, gli sorrise amabilmente. David la raggiunse e si sedette accanto
a lei, salutandola.
«Sono felice che tu sia qui, David»
mormorò Gabriella, congiungendo le mani e chiudendo gli occhi. David la imitò
dopo qualche istante di incertezza e si lasciò inebriare dal profumo delle candele
e dell’incenso, corroborati dalla parziale oscurità che rendeva il contatto con
i propri pensieri più semplice e immediato che mai.
Si catapultò nel mondo di colori cupi
che si agitava dietro le sue palpebre serrate e si lasciò trascinare dalle
parole incomprensibili della preghiera, sussurrate nel silenzio della chiesa
come se fossero rivolte con un’intimità segreta all’amante tra le lenzuola.
«Padre nostro, che sei nei Cieli…»
incominciò un’anziana donna in testa al gruppo di fedeli, e la sua voce fu
zittita dal boato rintronante di una deflagrazione improvvisa.
I cittadini di Eglon si affacciarono
alle finestre delle proprie abitazioni, sorpresi e terrorizzati. Le loro facce
erano dipinte di paura e i loro gesti tratteggiati d’incertezza. Il cielo
scuro, le nuvole tetre, le strade buie, la luce soffusa che si sollevava come
polvere finissima dalla città e veniva dispersa dalle tenebre appena sopra le
teste dei palazzi più alti.
Uno stormo di elicotteri militari
penetrò il guscio di aria densa che sovrastava Eglon e ne sorvolò gli edifici.
Il rombo frastornante delle loro eliche che ruotavano senza sosta avrebbe fatto
impazzire persino un non udente con la sua insistenza diabolica, ma sugli
abitanti di Eglon non ebbe un effetto tanto devastante quanto quello sortito
dalle immagini che si susseguirono sotto i loro occhi inerti e maleficamente
impotenti.
Le bombe sganciate scoppiarono in
tutti gli angoli della città, sventrando i palazzi e raschiando l’asfalto dalle
strade, sbucciando le case e travolgendo le automobili ferme accanto ai
marciapiedi.
Il sibilo di alcuni razzi si distinse
nitidamente nel fragore delle esplosioni, e un elicottero perse quota e si
schiantò sulla superficie tumefatta del centro abitato. Le urla umane
contribuirono a rendere il caos ancora più disgregato, alimentandone i picchi
maggiormente acuti e sgretolando gli animi che tentavano di aggrapparsi a
qualcosa per non scivolare nella disperazione.
Gli elicotteri superstiti passarono
oltre, scomparendo nell’orizzonte buio e lasciandosi inglobare dall’oscurità
notturna, dimenticandosi alle spalle il compagno abbattuto e gli innocenti
massacrati. Restò soltanto il crepitio del fuoco, quando se ne furono andati,
assieme allo scricchiolio di assestamento delle macerie.
Un’unica voce, rauca e supplichevole,
palesemente smarrita in una desolazione sconfinata, si levò sulla città
sgorgando dalla chiesa come una mano dalle dita distese, posandosi su Eglon e
stringendola in un pugno di feroce sofferenza: «Dio, salvaci.»
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