«Avanti, Joey. Sapevamo tutti quanti
che doveva andare a finire così, prima o poi. Adesso vieni fuori e getta la
spugna, su. Non vogliamo altro sangue. Ce n’è già stato fin troppo.»
Lo sceriffo Gordon Fillback parlava
con voce calma e misurata, avanzando adagio nella penombra del seminterrato con
la pistola spianata. Uno dei suoi uomini, di sopra, aspettava che l’ambulanza
arrivasse a prendere un collega ferito e un narcotrafficante morto. I suoi due
vice Krain e Corall, invece, erano lì sotto con lui, in quel corridoio freddo e
umido che si snodava apparentemente all’infinito un paio di metri più in basso
del pavimento della fabbrica.
Dopo aver lasciato giù le auto di
servizio all’ingresso del quartiere di periferia avevano proseguito a piedi
fino all’enorme complesso indicato loro dall’informatrice. Avevano varcato il
cancello aperto senza problemi e avevano raggiunto l’ampio salone principale
passando per il portone spalancato. Dentro, tra i bancali rigonfi di droga e di
armi, avevano individuato immediatamente Joey Goode intento a firmare un
documento accanto a una finestra impolverata. Con lui c’era un uomo dall’aria
sospetta che appena li aveva visti aveva sollevato la pistola già impugnata.
«Fermi, mani in alto!» aveva berciato
lo sceriffo, spianando la sua arma. Il primo colpo era indirizzato a lui, ma
l’aveva schivato nascondendosi dietro uno dei bancali. Poi era uscito allo
scoperto e con uno sparo preciso aveva centrato il narcotrafficante a una
spalla, disarmandolo.
Joey Goode aveva aperto il fuoco senza
indugio, posando la penna e imbracciando un fucile semiautomatico. Aveva preso
in pieno Ted, uno dei poliziotti che aveva accettato di seguire Gordon Fillback
in quell’impresa che sarebbe stata narrata su tutti i giornali della contea per
la settimana a venire, e Steve Corall rispondendo al fuoco aveva
accidentalmente beccato il petto del narcotrafficante, che era stramazzato al
suolo.
Joey si era riparato dietro alcuni
bancali e lo sceriffo aveva fatto segno ai suoi vice di accerchiarlo, ordinando
all’altro poliziotto che era con loro di andare ad assistere Ted e chiamare
immediatamente un’ambulanza.
Avevano seguito Joey dopo che aveva
imboccato la ripida gradinata che conduceva nei sotterranei della vecchia
fabbrica abbandonata e gli erano stati dietro per un bel pezzo, finché non era
sparito. Adesso, però, ce l’avevano in pugno: non gli restava più nessuna via
di scampo.
«Al contrario, caro sceriffo. Voi dovete gettare la spugna, prima che
finisca male» lo contraddisse la voce di Joey Goode, scaturendo da Dio solo
immaginava quale direzione.
Gordon Fillback ispezionò con lo
sguardo la metà oscura di corridoio che avanzava al di là delle sue
sopracciglia aggrottate, cercando di indovinare da quale delle varie aperture
laterali provenissero le parole di Joey.
«Sei in brutto guaio, Goode, e non
credo che tu te ne renda conto. Traffico illegale di droga e armi, con un
quantitativo del valore di un milione e mezzo di dollari, più che sufficiente a
metterti dentro per un bel po’. Per colpa tua sono morte decine e decine di
persone, in questa città, compresi molti dei miei poliziotti. Diamo la caccia
alla tua banda da undici anni. Ma adesso è finita. Sei al capolinea, Joey.»
«Ma è proprio dal capolinea che
l’autobus riparte per un altro giro» ribatté beffardamente il criminale,
comparendo dal nulla con un grosso fucile imbracciato. Dietro di lui, una
dozzina di uomini armati si fecero avanti, sprezzanti e pronti a tutto pur di
difendere il vigliacco che li stipendiava.
Mercenari
di Goode, pensò Gordon Fillback, e abbassò l’arma impotente, imitato dai
suoi vice.
«Adesso detto io le condizioni,
sceriffo. E ho giusto in mente un paio di commissioni per te. Ad esempio,
potresti cominciare facendo sparire quel carico di droga e armi che c’è di
sopra… Che cosa ne dici? Sei disposto a collaborare?»
Il ghigno sul volto di Joey Goode, in
quel momento, fu talmente largo e malefico da far rabbrividire i poliziotti che
lo tenevano sotto tiro.
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
21
CITTADINI
IN PIAZZA
Daniel Green si sentì spiazzato e
tradito allo stesso tempo. Confuso e amareggiato, di fronte alle parole che suo
padre aveva appena pronunciato rivolgendosi alla cittadinanza. Ma dentro di sé
sperava ancora che Betty si sbagliasse. Era convinto che ci fosse ancora la remota
possibilità che il nuovo sindaco, l’uomo che per tutta una vita aveva chiamato papà, si rimangiasse le parole appena
dette e attaccasse nel suo discorso i ribelli che avevano portato tanto sangue
e dolore nella sua infelice Eglon.
Ma il sindaco Thomas Green lo deluse
definitivamente, scandendo a chiare lettere: «La collaborazione che la città di
Eglon e i Soldati della Rivoluzione instaureranno, a partire da oggi, sarà assolutamente
reciproca e dovrà essere rispettata da tutte le parti in causa. Perciò, a
cominciare da adesso, i rivoluzionari si impegnano a proteggere e difendere i
cittadini di Eglon, e questi ultimi giurano loro fedeltà e assistenza in
qualunque caso, in maniera rigorosamente incondizionata.»
«Non ci posso credere…» farfugliò
Daniel, sconcertato. Betty gli passò un braccio attorno al collo e lo strinse
affettuosamente, sussurrandogli che andava tutto bene. Rebecca, di fianco,
ascoltava rapita, senza battere ciglio.
«Questo è l’accordo che io, in qualità
di nuovo sindaco di Eglon, ho sottoscritto con i Soldati della Rivoluzione. Mi
aspetto dunque che ciascuno di voi lo rispetti, senza costringermi a prendere adeguati
provvedimenti. I Soldati della Rivoluzione sono qui per aiutare non soltanto
tutti noi, ma l’intero Paese, per cui meritano la nostra piena e inviolabile
fiducia» proseguì Thomas Green, alzando leggermente la voce per farsi sentire
chiaramente anche da chi stava più lontano.
La piazza, silenziosa, osservava e
ascoltava, senza sapere esattamente che cosa pensare. La folla non emetteva un
fiato. I ribelli, attorno, sorvegliavano attentamente la scena con le armi
imbracciate, pronti a spianarle nel caso in cui si fosse verificato un
qualsiasi incidente inaspettato.
«Ho messo in piedi personalmente un
gruppo di Controllori che si affiancherà ai ribelli nel mantenimento
dell’ordine in città. Una sorta di corpo di rappresentanza del sindaco, di modo
che il dialogo tra il potere e la popolazione possa espandersi in maniera
capillare. A capo di questo gruppo ci sarà un mio amico fidato: Victor Johnson.»
Il sorriso palesemente rifatto dell’uomo
con il quale Daniel aveva conversato per pochi minuti alcuni giorni prima
avanzò accanto al microfono, ponendosi di fianco a quello del sindaco. Il nuovo
arrivato si sfregò le mani e salutò con un cenno del capo la popolazione,
sogghignando.
«Ma quello non è l’uomo con cui
abbiamo parlato davanti al municipio?» balbettò Rebecca, ansiosa. Betty la
squadrò con fare rapace, come per allontanarla dal suo ragazzo.
Daniel si girò a fissarla istupidito.
«Sì, è proprio lui. Quel bastardo…»
«Che c’è che non va?» volle sapere
Betty, disorientata.
«Quell’uomo è un amico di vecchia data
di mio padre. Quando l’ho incontrato davanti al municipio, le sue parole mi
hanno fatto accapponare la pelle» spiegò Daniel. «Diceva che la rivoluzione è
giusta. Che era ora che accadesse una cosa del genere, e che le vittime
prodotte dagli attacchi sono soltanto un prezzo inevitabile da pagare per
compiere qualcosa di più grande…»
«È pazzo?» borbottò Betty,
contrariata.
«Già. E ha fatto diventare pazzo anche
mio padre» mormorò il ragazzo tornando a sogguardare i due sorrisi posti dietro
il microfono, e un brivido lo attraversò fugace come un alito di vento mattutino
dopo un violento temporale. La pistola di suo padre era sua, adesso. Gli
apparteneva di diritto. E l’avrebbe usata per difendersi dal suo precedente
proprietario, e per difendere Betty e Rebecca e qualunque altra persona ne
avesse avuto bisogno.
«Sei il figlio di Thomas Green?» sentì
farfugliare una voce soffusa alle sue spalle.
Si voltò e vide davanti a sé un uomo che
non conosceva. Aveva baffi appena accennati e una barba che sembrava pretendere
di diventare folta più in fretta del previsto. Una faccia scavata, con un paio
d’occhi grigi e stanchi che lo sondarono curiosi. La fronte, ampia, faceva da
prologo a una testa completamente calva, spezzata di lato dalle orecchie che
tenevano su le stanghette di un paio d’occhiali dalla montatura di plastica
gialla. Nel complesso, sembrava quasi un folle. Ma uno di quei folli estremamente
lucidi e terribilmente razionali.
«E lei chi è, scusi?» replicò Daniel,
colto alla sprovvista. Betty e Rebecca si volsero a guardare il tizio che aveva
appena parlato e si interrogarono con un’occhiata preoccupata, senza aprire
bocca.
«Un amico…» restò sul vago lo
sconosciuto, osservando rapidamente le persone che gli stavano attorno con fare
furtivo e quanto mai sospetto.
Daniel, per un momento, provò
l’impulso di indietreggiare e dileguarsi in mezzo alla calca, per evitare di
dover parlare con quell’uomo dall’aria poco raccomandabile che lo stava
mettendo in soggezione. Allo stesso tempo, però, desiderava sentire quello che
aveva da dirgli. Era curioso, e, anche se si diceva che la curiosità avesse
ucciso il gatto, poco gli importava. Io
non sono un gatto, e questo è quanto, concluse tra sé e sé.
«Che genere di amico?» mormorò,
abbassando la voce per non farsi sentire dagli uomini che li circondavano. Un
tizio alla sua destra gli scoccò un’occhiataccia fugace e tornò a concentrarsi
sul discorso del sindaco, palesemente attratto dalle parole che si stavano
posando sulla piazza alla stregua di una leggera quanto inattesa nevicata
primaverile.
«Uno di quegli amici ai quali non si
rifiuterebbe mai un favore…» rispose lo sconosciuto molto semplicemente, e
Daniel in quel preciso istante decise che voleva assolutamente sapere tutto ciò
che quell’uomo aveva da dirgli. Si sarebbe fidato, ecco tutto. Un po’ perché
era il primo spiraglio di possibilità di capirci qualcosa in tutto quel caos
indefinito che si stava scaricando su Eglon, e un po’ perché proprio in quei
minuti si sentiva tremendamente fragile e scoperto, quasi che fosse stato tradito, perché suo padre aveva
chiaramente espresso davanti all’intera cittadinanza la propria adesione agli
ideali di una Rivoluzione incomprensibile che aveva cancellato decine di vite
innocenti nell’arco di una misera settimana.
Per tutte queste
ragioni, Daniel sussurrò: «Sì, sono Daniel Green. Figlio del sindaco.»
Il viso tirato dello sconosciuto si
distese e si allargò. L’uomo avvicinò il viso all’orecchio del ragazzo e
bisbigliò, in un sospiro: «Vicesceriffo Steve Corall. È un vero piacere
conoscerti.»
«Io e Victor, assieme, faremo sì che la
città riprenda fiato e si ricomponga, in vista di tempi che saranno per tutti
noi ricchi di fortuna e prosperità. Una nuova alba sta sopraggiungendo, miei
cari concittadini. E stavolta è per davvero l’alba di una nuova era. Un’era che
spetta a noi incanalare nella direzione giusta» riprese il sindaco Green,
tenendo lo sguardo rivolto al cielo.
Stan Payton si voltò e spulciò con una
rapida occhiata le varie finestre degli edifici circostanti. C’erano almeno una
ventina di cecchini in posizione, valutò, disposti quasi a trecentosessanta
gradi attorno alla piazza. Nessuno avrebbe osato muovere un dito di troppo, in
quella situazione, né tantomeno si sarebbe azzardato a compiere qualche
spostamento sospetto. Era una zona troppo fitta di occhi puntati e di fucili
posizionati, per prendere iniziative pericolose. Meglio mantenere un profilo basso
e fingere di ascoltare.
Robert, al suo fianco, si guardava
attorno con fare spaesato, con lo stesso atteggiamento che avrebbe assunto un
turista campagnolo trovandosi per la prima volta nel centro della più grande
città del mondo. Era disorientato da tutti quei visi e da tutti quei silenzi
che gli si stringevano addosso, e per certi versi sembrava un claustrofobico
intrappolato in una scatoletta di tonno.
D’un tratto, l’attenzione di Stan fu
catturata da una faccia nota che transitò fuggevole nel suo campo visivo.
Dapprima la etichettò come quella di un ex vicino di casa: d’altronde, aveva
abitato per un po’ di tempo a Eglon assieme a Sarah, dunque era probabile che
riconoscesse ancora qualcuno. Ma dopo qualche secondo di riflessione realizzò
che quel volto apparteneva a qualcun altro. Un uomo che conosceva a malapena,
con il quale aveva parlato per la prima volta la notte in cui la città era
stata attaccata. Quella notte in cui sarebbe dovuto rientrare a Little Rock
entro un paio d’ore assieme ai suoi figli, e invece era stato ingabbiato in una
terribile vicenda di sangue e terrore.
Era l’uomo che lo aveva aiutato ad
aggirare il primo blocco di furgoni blindati che aveva incontrato dopo il suo
ingresso in città, e vederlo poco più avanti, intento a chiacchierare piuttosto
animatamente con un secondo tizio che non ricordava di aver mai visto, lo
spinse a raggiungerlo.
Si fece largo tra la gente e Robert lo
seguì in silenzio, senza bisogno di alcuna spiegazione.
«Ehi. Si ricorda di me?» disse senza
preamboli, sottovoce. L’uomo si voltò a guardarlo, imitato dal suo
interlocutore che finalmente Stan riuscì a riconoscere: si trattava dell’altro
tipo, quello che gli aveva spiegato come evitare il blocco. Gli pareva che si
chiamasse Frank, ma la memoria poteva anche ingannarlo. Non sarebbe certo stata
una novità, in quegli ultimi tempi…
«Frank, tu hai in mente questa persona?»
rispose il primo uomo, rivolgendosi naturalmente all’amico dalla barba lunga e
crespa. L’altro annuì silenziosamente, con fare solenne.
«Sissignore. Me lo ricordo. È quello
che ti ha chiesto come aggirare quel blocco di furgoni la notte in cui Eglon è
stata presa. Era diretto a prendere i suoi figli, se non vado errato…»
«Sì, proprio così!» confermò Stan,
lievemente sorpreso. Non si aspettava che lo riconoscessero dopo tutti quei
giorni, specialmente visto e considerato quanto poco avevano parlato.
«Già, hai ragione!» approvò il primo,
annuendo con fare cerimonioso. «Ora mi ricordo. Di’ un po’, li hai raggiunti
alla fine i tuoi figli?»
«Certo…»
«Bene! Jeff Turner, gestisco il negozio
di ferramenta sul quale qualche giorno fa si è abbattuto un Black Hawk dell’Esercito
americano» si presentò in tutta tranquillità, porgendo la mano. Stan e Robert
gliela strinsero a turno, pronunciando a loro volta i propri nomi. «E questo è
il mio amico Frank. Lui fa l’idraulico, sapete? Dunque, che cosa ne pensi di
tutto questo casino, Stan?» passò subito all’attacco Jeff, senza lasciare
all’interlocutore il tempo di muoversi su quel terreno accidentato che gli si stava
presentando davanti.
«Be’, devo ammettere che mi piace
davvero poco…» confessò Stan, mantenendo un tono di voce relativamente basso.
Non voleva farsi sentire dalla gente che gli stava attorno, non conosceva nessuno
di quei tizi e preferiva non farsi notare. Jeff e Frank, però, per qualche
strana ragione gli ispiravano fiducia…
«Per tutta risposta, devo dire che sei
proprio il bastardo più cieco che io conosca per non vedere che questa
situazione dovrebbe piacerti decisamente poco»
replicò Frank, sbuffando divertito. «Non vedevo Eglon tanto piena di figli di
puttana da quando nel duemilacinque è passato il Presidente con il suo seguito
di culi impomatati. E neanche in quell’occasione mi sembrava ci fossero tante
armi, in giro per le strade.»
«Il mio amico Frank ha ragione» lo
appoggiò Jeff. «Il suo linguaggio colorito non manca mai di evidenziare i nodi
più fastidiosi di una situazione, bisogna riconoscerglielo. Ma con questo nuovo
sindaco… Il suo modo di fare non mi piace, e i suoi progetti puzzano di…»
«Di merda»
saltò fuori Frank, serissimo.
«Esatto. Grazie per la precisazione,
Frank» barbugliò allegramente Jeff, scoccando un’occhiataccia alla facciata del
municipio e ai due uomini dietro il microfono che ancora sorridevano e
parlavano dalla sommità della gradinata. «Quei due dovrebbero assaggiare un po’
del piombo che si trova nei corpi dei poliziotti ammazzati la notte
dell’attacco.»
«Dovrebbero baciare il culo di quei
poliziotti, Jeff» lo corresse Frank, con fare teatrale. «E dopo, soltanto dopo,
assaggiare il piombo.»
«È morta un sacco di gente, in una sola
settimana. Più di quanta ne muoia normalmente in sei mesi. E il nuovo sindaco
vuole aiutare i ribelli ad allungare ulteriormente i tempi, a resistere in questa
dannatissima barricata contro l’assedio dell’Esercito… C’è solo un aggettivo
per descrivere persone del genere. Frank?»
«Coglioni!» lo aiutò Frank, ben lieto
di poter dare la sua versione.
«Emeriti coglioni. Proprio così,
Frank.»
«Ma ci dovrà pur essere un modo per
sanare la situazione. Dico bene?» intervenne Stan, manifestando la propria
preoccupazione.
Frank gli fece l’occhiolino e gli si
avvicinò piano, parlando sottovoce: «Certo che c’è, amico. Ma quanto sei
disposto a rischiare per dare una mano?»
Stan sondò gli occhi dell’uomo che gli
stava parlando e si rese conto che non scherzava. Il suo tono di voce era
serio, e il suo sguardo pareva proteso verso di lui. Gli stava offrendo una
strada. E adesso spettava a lui scegliere se fosse il caso di percorrerla o se
invece fosse meglio lasciar perdere e tornare indietro.
«Tutto» farfugliò Stan Payton, e Jeff
Turner sorrise.
«Cazzo, amico, belle scarpe!» disse
Frank rivolgendosi a Robert, per coprire in maniera definitiva le parole
bisbigliate da Jeff.
«Hai una pistola?»
«Grazie, Frank…» rispose Robert, messo
in soggezione dal complimento inaspettato. «Anche le tue non sono male» buttò
lì impacciato, tanto per dire qualcosa.
«Sì» sussurrò Stan, sentendo il proprio
cuore incominciare a martellargli furiosamente il petto.
«Allora domani mattina alle sette ti
voglio qui, in piazza, con quella pistola. Tienila nascosta, non farti beccare.
Ti porterò a parlare con un paio di persone che ti potranno far capire che cosa
sta capitando. E forse, dopo, potrai darmi una mano a far assaggiare del piombo
a quei pezzi di merda che non fanno altro che parlare.»
Brian Jones pareva essere inciampato
sull’orlo di una crisi di nervi. Sbuffava e imprecava sottovoce, ruotando gli
occhi da una parte all’altra e osservando ossessivamente le finestre dalle
quali i fucili di precisione dei cecchini ribelli tenevano sotto tiro la folla.
«Tutto okay, Brian?» volle sapere
Jeremy, avvicinandosi all’amico e sussurrando al suo orecchio. L’agente dell’FBI sembrò ridestarsi da un sonno durato
all’incirca sessantacinque milioni di anni, di fronte a una schiera di persone
quando si sarebbe invece aspettato di vedere un’immensa vallata punteggiata di
enormi dinosauri.
«Sì, okay okay. Solo che pensavo ci
fosse… No, lascia stare. Conosco quel tizio» cambiò argomento, indicando un
uomo che si stava facendo largo silenziosamente tra la calca, cercando di conquistare
un paio di file.
«Ah sì?» domandò Phil, con un accenno
innegabile di indifferenza.
«Di chi si tratta?» s’informò Jeremy,
individuando il diretto interessato.
«Un agente… FBI» mormorò quasi distrattamente Brian Jones, cupo. «Non mi
piace, però. Potrebbe trattarsi di una delle talpe. So per certo che alcuni
agenti erano stati corrotti dai ribelli. Questo si sapeva, quando si stava
organizzando l’attacco ferroviario…»
«Meglio evitare di farci riconoscere,
dunque?»
«Decisamente
meglio» sottolineò Brian, col suo indubitabile accento inglese.
«Abbandoniamo la festa, allora» propose
il vicesceriffo Wieler, irrequieto. «Stare in mezzo a tutti questi fucili
puntati mi mette ansia, non so se mi spiego. I ricercati, solitamente, cercano
di non farsi riconoscere dalle persone che vogliono le loro teste.»
«Un momento!» li bloccò Brian,
indicando con un cenno del capo un uomo che si stava dirigendo verso di loro.
Jeremy Barton lo vide e la prima cosa
che pensò fu che non poteva trattarsi di un ribelle: niente maschera, niente
armi, niente sguardo ostile. Eppure era diretto proprio verso di loro, non
c’era dubbio. Si accorse che Jeremy lo stava osservando e gli fece segno di
aspettare. Oltrepassò un altro paio di sconosciuti e guadagnò qualche metro,
continuando a muoversi senza dare troppo nell’occhio.
«Chi è?» biascicò Phil, rivolgendosi a
Brian Jones.
«Un personaggio interessante…» lasciò
in sospeso Brian, sorridendo.
L’uomo li raggiunse e si avvicinò senza
degnarli d’attenzione, fingendo di cercare con lo sguardo il sindaco in cima
alla gradinata del municipio. Si posizionò di fianco al vicesceriffo Wieler e
mormorò laconicamente: «Non dovreste stare qui.»
«Chi sei?» borbottò Patrick Wieler, sospettoso.
«Non ha importanza. Adesso non potete
allontanarvi durante il discorso. Dovete aspettare che il sindaco abbia finito
e sperare di poter passare il blocco assieme al resto della folla. Non c’è
altro modo» rispose lo sconosciuto, senza instaurare alcun contatto visivo con
i poliziotti.
«Vi presento Gregory Donington. Agente
sotto copertura dell’FBI» sentenziò Brian
Jones, sogghignando. Greg gli rivolse un’espressione diffidente e si allontanò,
facendosi assorbire nuovamente dalla calca formicolante.
«Chi è quel tipo?» mormorò David
Goldbert, sussurrando all’orecchio di Gabriella. Emily Cooper, poco distante da
loro, lo sentì e diresse lo sguardo verso il punto indicato dal dito del
ragazzo. Gli occhi le caddero su di un uomo che si stava aprendo un varco tra
la folla, avanzando rapidamente verso la prima fila a suon di spintoni e
gomitate. In silenzio, l’uomo riuscì a crearsi un passaggio fino alle transenne
allineate ai piedi della scalinata del municipio e vi si posizionò di fronte,
fermo come una statua e scuro come una tempesta.
Il sindaco Green, che si stava
abbandonando a uno sproloquio riguardante l’impotenza dei soldati accampati
fuori dalle barricate della città, si accorse dello sconosciuto che si era
piazzato sotto di lui e la sua attenzione fu catturata dalle mani di quell’uomo
che non conosceva. Erano rosse. Di un rosso innaturale, soggiunse tra sé e sé.
Registrò a malapena un pigolio confuso da parte di Victor e inarcò le
sopracciglia, incuriosito.
«E tu chi sei, buon cittadino?»
pronunciò il nuovo sindaco con le labbra a pochi millimetri dal microfono. La
voce gli morì in gola nel bel mezzo dell’ultima parola, e l’intonazione
interrogativa si smarrì in un gorgoglio soffocato.
«Joey Goode ti manda un messaggio»
sentenziò semplicemente lo sconosciuto, a voce abbastanza alta da farsi sentire
lungo tutte le prime file. Si infilò una delle mani insanguinate all’interno della
giacca e ne estrasse una pistola, sollevandola rapidamente e puntandola in
direzione del sindaco.
«Cristo!» berciò Thomas Green,
buttandosi a terra. Victor, accanto a lui, sparì senza dire una parola
all’interno della porta principale del municipio, correndo via e facendosi
ingurgitare dall’edificio come un pezzo di carne inanimato.
Una mezza dozzina di spari tagliarono
l’aria di netto, sbrindellandola. I cittadini in piazza si abbassarono e si
coprirono la testa, iniziando a gridare e ad allontanarsi in fretta e furia. Il
panico prese la folla, abbrancandola e frammentandola. Le persone cominciarono
a correre di qua e di là, alcuni chiamavano amici e famigliari, altri pensavano
solo ad avere salva la pelle e sciamavano verso Main Street incanalandosi tra i
furgoni blindati schierati in bell’ordine sull’asfalto.
I due carri armati furono portati
avanti e posizionati all’imboccatura di una via per frazionare ulteriormente la
moltitudine in fuga. Si udirono un altro paio di spari, ma nessuno controllò
chi fosse rimasto a terra perché tutti erano troppo impegnati a sparire. I
ribelli rimasero tranquilli, a braccia conserte, aspettando che la calca si
disperdesse a poco a poco lungo le propaggini di Main Street.
Lo sconosciuto che aveva puntato la
pistola contro il sindaco Green era disteso sul pavimento della piazza, gli
indumenti inzuppati in una pozza di sangue che si allargava in una macabra macchia
cremisi.
Thomas Green si rialzò, in cima alle
scale del municipio, e tirò un sospiro di sollievo, rassettandosi l’abito.
Maschera Blu gli fu vicino pochi istanti dopo, anche lui a braccia incrociate
come tutti gli altri ribelli disposti attorno alla piazza.
«C’è mancato davvero poco…» borbottò il
sindaco, ancora leggermente scosso ma già sufficientemente adirato.
«Lo abbiamo fermato in tempo» replicò
Maschera Blu, mostrandosi assolutamente impassibile.
Victor Johnson ricomparve attraverso la
porta principale del municipio, abbastanza imbarazzato e allo stesso tempo con
aria strafottente. Si avvicinò ai due uomini e scandì con rabbia: «Joey Goode è
un uomo morto.»
«Se riuscirai a prenderlo,
naturalmente» rettificò Maschera Blu, in tono vagamente ironico.
«Che cosa? Devo occuparmene io?»
ribatté Victor, sprezzante. «Nossignore, io non darò la caccia a Joey Goode per
tutta la città, non senza prima…»
«Zitto, Victor» lo ammonì Thomas Green
con fare talmente perentorio da indurlo a tapparsi la bocca all’istante. «Te ne
occuperai tu eccome. E avrai a
disposizione le risorse e gli uomini che i Soldati della Rivoluzione riterranno
opportuno affidarti. Niente di più.»
«D’accordo…» accettò suo malgrado,
compunto.
«È ora che la gente capisca chi comanda,
qui a Eglon» asserì fermamente il sindaco Green, sondando la piazza vuota. «I
nemici della Rivoluzione vanno stanati ed eliminati subito.»
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