«Bobby, puoi darmi una mano per
piacere?» borbottò senza fiato Fred, comparendo nella penombra della stalla con
un grosso sacco di fertilizzante tra le braccia. Aveva il viso arrossato e
sudato. Lo sforzo che stava compiendo, abbracciato a quell’enorme carico, era
visibilmente troppo per il suo fisico. La malattia lo aveva debilitato, e
questa fu probabilmente la prima volta che suo figlio Bobby se ne rese davvero
conto. Eh già, perché fino a due anni prima papà portava quei sacchi di
fertilizzante con un solo braccio, senza troppa fatica, invece adesso…
«Eccomi papà» intervenne prontamente,
afferrando il sacco e levandolo dalle braccia esauste del genitore. Fred tirò
un sospiro di sollievo e si asciugò la fronte passandoci sopra la manica del maglione
a scacchi imbrattato di sporcizia, lasciandosi sulla pelle un leggero striscio
di terriccio.
«Grazie. Non ce la facevo più…»
confessò pensosamente Fred guardando il figlio che si allontanava con il suo
carico, riflettendo assai probabilmente sulla stessa cosa che era appena venuta
in mente a Bobby riguardo gli effetti che la malattia aveva abbandonato nel suo
corpo.
«Non ti preoccupare, papà» cercò di
rasserenarlo Bobby con un sorriso, ma il padre non rispose e restò a fissare il
pavimento con aria abbattuta.
Bobby uscì nel cortile e si avviò di
buon passo verso casa. Un bicchiere di vino era quello che ci voleva per tirare
un po’ su il morale. Era lunedì pomeriggio, e la settimana appena iniziata si
prospettava molto più ardua del previsto. C’erano parecchi lavori da fare, e ad
essere del tutto sincero temeva che papà non avrebbe retto. Era a casa da un
mese soltanto, e finora aveva sempre evitato di fare lavori pesanti. Ma adesso
Bobby aveva bisogno di lui, e se Fred non fosse stato in grado di aiutarlo si
sarebbe trovato nei pasticci. Quel cancro al fegato lo aveva consumato più di
quanto i dottori avessero osato ammettere, e anche la cura non era stata da
meno…
Sospirò mentre metteva piede sulla
soglia di casa, e il sussurro del suo sospiro venne sovrastato dal ronzio cupo
di un motore. Anzi, no, di due motori. Forse anche tre.
Bobby si fermò con la mano a mezz’aria
davanti alla maniglia della porta d’ingresso e lentamente si volse in direzione
della strada. Più avanti, a un mezzo chilometro di distanza, un nuvolone di sabbia
e polvere sollevate dall’asfalto asciutto si stava muovendo rapidamente sui
suoi terreni, avanzando verso la sua fattoria.
Fred uscì dalla stalla e si fermò nel
cortile, schermandosi gli occhi con una mano sulla fronte sebbene il cielo
fosse nuvoloso.
Padre e figlio si avvicinarono senza
nemmeno rendersene conto di fronte alla stradicciola che sbucava dai campi e si
allargava per dare forma al cortile della loro fattoria. Involontariamente assunsero
la stessa identica espressione accorta.
Tre fuoristrada color verde militare
entrarono a tutta velocità nel cortile impolverato, uno dopo l’altro, frenando
a pochi passi dai due proprietari e allineandosi con i motori ancora accesi.
Un finestrino oscurato si abbassò e
una mano comparve dall’interno, sbucando all’improvviso e puntando senza
indugio una pistola munita di silenziatore all’indirizzo di Bobby e Fred.
Il primo colpo fece stramazzare al
suolo Fred prima ancora che la polvere sollevata dalle jeep terminasse di
posarsi sulla strada e sul cortile. Bobby cercò di buttarsi a terra per evitare
di fare la stessa fine del genitore, e fu così veloce da scansare ben due
proiettili… ma non il terzo, che lo prese alla spalla e lo inchiodò al suolo.
Rapidamente una dozzina di uomini armati
scese dai fuoristrada e si lanciò verso la porta d’entrata della fattoria,
calpestando con noncuranza il sangue che si stendeva sul cortile.
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
15
LA
MISSIONE
«Ventiquattro carri armati usciti dal
nulla. Adesso voglio che qualcuno me la spieghi, questa!» borbottò il
comandante Smith. L’interno della sua tenda era avvolto da un chiaroscuro di
ombre a malapena fugate da una grossa lampada posizionata sul ripiano del tavolo
da campo, attorno al quale sedevano lo stesso comandante Smith, il suo vice,
Gray, e l’addetto alle comunicazioni che tormentava senza remore le grosse
cuffie collegate all’apparecchio per le trasmissioni collocato su un secondo
tavolino portatile.
«Le immagini prese dal satellite ci
dicono soltanto questo, comandante» ripeté impassibile Gray, consapevole
dell’ira che stava lievitando sempre di più nella mente di Craig Smith.
L’accampamento era piuttosto
silenzioso, e nella tenda del comandante regnava una totale assenza di rumori.
L’ambiente era greve e pressante, ma tutti e tre gli uomini che vi si trovavano
immersi parevano sentirsi a proprio agio; persino l’addetto alle comunicazioni,
nonostante continuasse a torturare le cuffie che teneva tra le mani in attesa
di captare qualche nuova trasmissione in arrivo.
L’attacco della sera precedente aveva
scosso tutti quanti, generando scompiglio tra i soldati. Cinque morti e una
quindicina di feriti, sei dei quali si erano già quasi del tutto ripresi. Lo
choc era stato inimmaginabile. Erano giunti sul posto pensando di dover sedare
una scaramuccia di poco conto: si erano ritrovati a dover fuggire di fronte a
una barricata dalla quale erano piovuti inaspettati colpi di mortaio. Non erano
preparati a uno scontro aperto. Non lì, non in suolo statunitense, che diamine!
Erano a due passi da casa, mica dall’altra parte del mondo!
Alcuni soldati erano venuti di persona
a lamentarsi con il comandante Smith, nel corso della notte e per tutta la
mattinata. Esigevano risposte che nemmeno Smith poteva avere. Su, dalle alte
sfere, nessuna notizia utile. Si sapeva soltanto che Eglon era stata attaccata
da ignoti e che apparentemente non c’erano stati grossi danni in città.
L’aeroporto era stato distrutto, perciò
tutti i voli in partenza per Eglon erano stati soppressi e quelli già in viaggio
erano stati dirottati verso altre destinazioni. La stazione ferroviaria era
stata bloccata e, a quanto pareva, in alcuni tratti i binari erano stati
smontati. Anche le corse dei treni nella zona, di conseguenza, erano state
fermate o annullate. Per quanto riguardava il resto, non si sapeva pressoché
nulla di utile. L’unica informazione ricavata dal satellite era la presenza di
ben ventiquattro carri armati in città, ma questi dati erano stati raccolti
durante la mattinata in un’ora in cui le nuvole si erano squarciate; adesso,
invece, la spessa coltre di nubi impediva di vedere di più.
«Dove accidenti possono aver preso ventiquattro carri armati!?» gridò
infuriato il comandante Smith, facendo sobbalzare l’addetto alle comunicazioni.
«Li avranno fatti arrivare da fuori…
Avranno corrotto un po’ di personale in qualche aeroporto…» ipotizzò Gray,
mantenendosi sul vago.
«Nessuna mazzetta è abbastanza
persuasiva da permettere di contrabbandare ventiquattro mezzi corazzati in
pieno territorio statunitense senza che nessuno sappia alcunché! Non si possono
introdurre illegalmente cose del genere in America, nemmeno attraverso la
migliore rete di corruzione mafiosa!» sbraitò Smith alzandosi in piedi e
misurando a passi veloci il perimetro della sua tenda, tenendo le mani
congiunte dietro la schiena.
«Forse sono nostri…» buttò lì Gray.
Il comandante Smith si girò a guardarlo
con fare incredulo e batté i pugni sul tavolo, facendo sobbalzare per la
seconda volta il tipo con le cuffie in mano. «Non possono essere nostri!»
sibilò infuriato, come un prete che avesse appena udito una bestemmia
all’interno della propria chiesa. «I carri armati dell’Esercito degli Stati
Uniti sono rigorosamente controllati e contrassegnati da un numero di serie che
li rende identificabili in qualunque parte del mondo si trovino. Nessuno oserebbe
fornire dei carri armati a una cellula terroristica, perché risalire al
responsabile sarebbe un gioco da ragazzi!»
«Resta una sola possibilità…» replicò
Gray con calma, studiando attentamente l’espressione alterata del suo
comandante.
«Vale a dire?»
«Devono esserseli costruiti loro»
spiegò Gray in tono grave, e il comandante Smith si lasciò ricadere
pesantemente sulla propria sedia e annuì gravemente.
L’incarico da portare a termine era
sostanzialmente semplice. Per questo il vicecomandante Gray si sentiva alquanto
fiducioso, quel martedì mattina. La sfuriata del comandante Smith lo aveva indotto
a riflettere sulla missione che si erano prefissati, e per un attimo si era
ritrovato a dubitare dell’efficacia del piano formulato. Ma poi ci aveva
pensato e aveva deciso che, tutto sommato, l’idea era buona. E l’ira del
comandante Smith, in fondo, era più che giustificabile. Perdere undici uomini
in combattimento era terribile. Vederli morire lì, in Arkansas, Stati Uniti, praticamente a casa, non era semplicemente terribile: era assurdo.
Undici
uomini, ripeté Gray dentro di sé. Sei
uomini nei Black Hawk abbattuti e altri cinque ammazzati dai mortai. Il
comandante Smith non aveva mai perso un solo uomo. Doveva essere stato un duro
colpo, per lui. Più duro di quanto si potesse immaginare…
Adesso, dunque, dovevano rispondere. E
la risposta doveva essere pronta e decisa, di modo da far capire a quei
terroristi che non avrebbero loro permesso di portare liberamente a compimento
ciò che avevano in proposito di fare.
La camionetta sulla quale sfrecciavano
sopra quella strada malandata in mezzo ai campi continuava a sussultare a ogni
buca, ringhiando e sbuffando come un cavallo lanciato in una serie interminabile
di saliscendi. Le vie di campagna erano tutte uguali, considerò Gray. Anche in
Arkansas, così come in ogni altra parte del mondo. E la campagna attorno a
Eglon non faceva eccezione.
C’erano quarantaquattro fattorie sotto
la giurisdizione di Eglon.
Quarantaquattro,
un gan bel numero cazzo…
Quarantaquattro fattorie che si
spartivano i terreni intorno al centro abitato, e la più grande era quella
della famiglia Gallagher, verso la quale erano diretti in quel momento.
Il piano architettato dal comandante
Smith era buono, ma Gray aveva deciso di attendere gli esiti prima di lodarlo.
Voleva innanzitutto vedere se fosse attuabile e calcolare quante possibilità
c’erano che andasse in porto. Il primo passo era scoprire se la famiglia
Gallagher li avrebbe appoggiati.
«Siamo quasi arrivati a destinazione,
signore» lo avvertì il soldato alla guida. C’erano altri sei militari seduti
dietro assieme al vicecomandante Gray. Otto uomini in tutto.
L’operazione da svolgere era semplice:
andare alla fattoria dei Gallagher, chiacchierare con i proprietari, rientrare
prima che facesse buio. Dai piani alti era stato dato l’okay, e loro immediatamente
si erano mossi senza perdere altro tempo per mettere in atto la fase
preparatoria della missione.
Un altro sobbalzo a causa di una
grossa buca in mezzo alla sgangherata stradina di campagna e l’autista imprecò
sottovoce.
Gray passò in rassegna con lo sguardo
i sei soldati seduti al suo fianco. Conosceva i loro nomi, rammentava pregi e
difetti di ciascuno. Li aveva formati lui, e sapeva di poter contare su ognuno
di loro. Li aveva scelti tra tutti gli altri per quell’operazione perché era
certo di poter fare pieno affidamento sulla loro fedeltà. Quel piccolo gruppo,
adesso, era il perno centrale attorno al quale si sarebbe innestata l’intera
missione segreta.
«Per qualsiasi problema, la prima cosa
che dovrete fare sarà contattare il campo» ricordò loro Gray mentre la
camionetta svoltava e oltrepassava l’ultima curva prima del cortile della
fattoria dei Gallagher. «Soldato Davis: tu rimarrai qui nella camionetta, in
caso succeda qualcosa di imprevisto.» La prudenza non era mai troppa, giudicò
Gray fra sé e sé.
Tom Davis annuì. Gli ordini andavano
rispettati, per cui non oppose alcuna protesta. Anche se dal suo viso Gray capì
che non era molto felice di non poter prendere parte all’operazione assieme
agli altri. Dopotutto, valutò, non sarebbe stato niente di che: avrebbero
parlato con un paio di contadini e se ne sarebbero andati subito dopo, quindi Tom
non si sarebbe perso nulla.
La camionetta si fermò in mezzo al
cortile deserto della fattoria. Gray scese assieme a cinque soldati, facendo
loro segno di tenere basse le armi. Tom li guardò smontare e restò immobile,
scrutando l’esterno attraverso il finestrino. Anche l’autista rimase a bordo,
spense il motore e aspettò.
«Famiglia Gallagher, siamo qui in rappresentanza
dell’Esercito degli Stati Uniti d’America. Il vostro Paese ha bisogno di voi,
per questo vi chiediamo di aprirci le porte e venirci incontro» scandì ad alta
voce Gray, ascoltando il silenzio che come risposta sostituì la sua voce.
L’aria era ferma, come se il vento si
stesse prendendo un attimo di riposo. Le nuvole in cielo si erano paralizzate,
impedendo ancora alla luce solare di diffondersi appieno. Tom colse con uno
sguardo d’insieme la facciata della fattoria dei Gallagher, un semplice
edificio con annessi stalla e fienile, e intravide la porta d’ingresso aprirsi
e due uomini uscire con aria disorientata.
«L’Esercito? Cosa ci fate qui, nelle
campagne dell’Arkansas? È in corso qualche esercitazione?» s’informò il più
vecchio. Indossava i tipici abiti da lavoro dello stereotipo del contadino, tanto
da dare quasi l’impressione a Tom di essere fasullo. Pareva spaesato e
scioccato dalla vista di tutti quegli uomini armati in uniforme, e si bloccò di
fronte a Gray assieme all’altro tizio, più giovane di una buona ventina d’anni.
«A dire il vero si tratta di una
questione ben più grave, temo. Siamo stati attaccati da una cellula
terroristica non meglio identificata. Abbiamo bisogno della vostra fattoria per
condurre un’azione militare importantissima per la sicurezza nazionale» spiegò
Gray con fare accattivante, porgendo la mano al più vecchio tra i due
interlocutori. «Sono il vicecomandante Gray, e vi ringrazio anticipatamente a nome
dell’Esercito e del nostro beneamato Paese per la vostra disponibilità a
collaborare.»
«Si figuri, si figuri. Mi chiamo Fred
Gallagher, e questo è mio figlio Bobby. La nostra fattoria è a vostra completa
disposizione, ci mancherebbe!» esclamò l’uomo, stringendo vigorosamente la mano
al vicecomandante e salutando con un cenno del capo i cinque militari schierati
accanto.
«Grazie davvero» ripeté Gray con
sorriso diplomatico, quindi si volse a guardare i suoi soldati. «Ragazzi,
voglio un rilievo preciso della struttura. Ho bisogno di sapere con esattezza
coordinate, spazio disponibile, visibilità in direzione del centro cittadino,
distanza dalla barricata più vicina in linea d’aria, pendenza e consistenza del
terreno circostante. Tra venti minuti si levano le tende!»
I soldati risposero con uno sbrigativo
signorsì e partirono, dividendosi in
più direzioni, ognuno pronto a portare a termine l’incarico affidatogli. Gray
rimase lì con Gallagher padre e Gallagher figlio a contemplare l’orizzonte, mentre
in lontananza si udiva una rapida raffica di spari.
«Che cosa sta succedendo in città,
signor Gray?» volle sapere Fred, visibilmente preoccupato. Tom si pose in
ascolto: erano abbastanza vicini alla camionetta perché potesse sentirli
parlare, e in fondo non era proprio come origliare, perché Gray sapeva
benissimo che lui era lì e che c’era anche l’autista.
«Una brutta faccenda. Non siamo ancora
certi di quello che abbiamo per le mani, sappiamo soltanto che non sarà facile.
Eglon è stata chiusa da una muraglia impenetrabile di barricate. Le difese sono
consistenti, e noi non siamo autorizzati ad aprire il fuoco, nemmeno per
difenderci, perché ci sono troppi civili in gioco. In situazioni come questa,
la vita di un civile vale più di quella di dieci soldati, per le alte sfere…»
commentò Gray scrutando torvamente l’orizzonte bigio.
«Ma sono terroristi? Rivoluzionari?
Anarchici? Che altro?» intervenne Bobby Gallagher, stupito e turbato.
«Un po’ di tutto, per quello che ci
risulta attualmente. Forse ne sapremo di più nei prossimi giorni, ma per adesso
non possiamo fare altro che stare ad aspettare e sperare che la cosa si risolva
in fretta. Non abbiamo modo di vedere che cosa stia capitando dentro le
barricate che circondano la città, e non sappiamo se ci siano morti o feriti, o
se addirittura della cittadinanza non sia rimasto più nessuno. Situazione
tremenda da gestire e da affrontare, ma forse abbiamo un piano. Per questo ci
serve la vostra fattoria, assieme a quelle di alcuni vostri vicini…» illustrò
Gray squadrandoli attentamente per cercare di vedere se potessero essergli
utili anche in altro modo.
«Beh, i Johnson saranno senz’altro ben
disposti a darvi una mano, e penso che anche i McField non solleveranno alcuna
obiezione. Per quanto riguarda Carrie Mason, invece… ecco, con lei forse
incontrerete qualche problema» disse Fred Gallagher, fissando Gray come se gli
potesse leggere i pensieri.
«Questa signora Mason è una testa
calda?»
«Oh, più di quanto possiate
immaginare. Ci ha creato parecchi fastidi, ultimamente. Specie stamattina,
quando siamo entrati in casa sua e ce la siamo ritrovata seduta sul divano con
una doppietta carica puntata verso la porta. Andatevene via dalla mia proprietà, ha sibilato, e uno dei nostri
l’ha inchiodata per sempre a quel divano unto e bisunto con un bel proiettile
dritto in testa…» narrò Fred, e mentre pronunciava queste parole una strana
luce si impadronì dei suoi occhi e Gray realizzò che quello che aveva davanti
non era un normale contadino: era un impostore.
«Cazz…» fece in tempo a sbraitare il
vicecomandante Gray, prima che uno sparo coprisse il resto dell’imprecazione,
accompagnato dallo scroscio dei vetri infranti.
Tom si abbassò all’interno della
camionetta, coprendosi la testa. Subito dopo cercò di sporgersi quanto bastava per
riuscire a scorgere una parte del cortile della fattoria e vide Gray rotolare
su se stesso e rialzarsi poco più in là, iniziando a correre a perdifiato in
direzione dei campi, scaricando la pistola d’ordinanza alle proprie spalle e
facendo cilecca ad ogni colpo.
Una raffica di mitragliatrice si fece
sentire più alta e imperiosa al di sopra degli altri spari, e le grida di un
soldato colto di sorpresa fecero accapponare la pelle a Tom.
Il parabrezza della camionetta saltò e
il soldato seduto dietro il volante si accasciò per metà sul sedile del
passeggero con la testa sfondata che colava sangue e materia cerebrale.
Tom trattenne l’urlo di terrore che gli
si raggrumò in gola a questa visione. Si riavvicinò al finestrino mantenendosi
il più possibile al riparo e gettò un’altra occhiata all’esterno. Vide
Stevenson, uno dei suoi compagni, correre fuori dalla porta d’entrata della
fattoria e finire disteso a terra con tre buchi sanguinanti sulla schiena
grossi come palline da golf. Loghan, dall’altra parte, si mosse disperatamente in
direzione della stalla, scomparendo nell’interno avvolto dalla penombra un
istante prima che un uomo mascherato si appostasse di fronte alla soglia e
desse sfogo alla sua mitraglietta dietro al povero soldato in fuga.
«No, no, noooo!!» strillò Danny Stewberg
venendo trascinato da due uomini fino al centro del cortile, davanti a quello
che si era spacciato per Fred Gallagher.
«Crepa, bastardo!» berciò l’uomo
puntandogli un revolver in faccia e spappolando per l’eternità i suoi
lineamenti in un ghigno malefico e incomprensibile.
L’ultimo sparo strappò l’aria con un
netto rimbombo di lacerazione, quindi il massacro si spense e Tom Davis
inciampò e cadde sull’erba alta del campo nel quale si era appena addentrato
dopo essere saltato giù dalla camionetta, un istante prima che Stewberg
esalasse il suo ultimo respiro.
Era tarda sera quando il comandante
Smith uscì dalla tenda richiamato da un vocio sconnesso e disarticolato. La
prima cosa che vide fu il soldato Tom Davis, sudato e sporco di fango, che
avanzava barcollando in mezzo alle espressioni attonite degli altri militari.
«Davis… che è successo?» pigolò
sconcertato, lanciandosi incontro al giovane e ordinando che gli fosse portata
immediatamente dell’acqua. Tom bevve avidamente dalla borraccia che il comandante
gli porse, quindi ringraziò con un cenno del capo e aprì la bocca per parlare.
Le parole non gli vennero, e le labbra screpolate si richiusero.
«Vieni, discutiamone nella mia tenda…»
lo invitò il comandante Smith, avviandosi in direzione del proprio alloggio al
centro del campo.
Tom lo seguì senza fiatare, entrò e
prese posto sulla sedia che gli era stata indicata. Craig Smith si sedette di
fronte a lui e lo analizzò con espressione amara e meditabonda, già pregustando
le tremende rivelazioni che gli stavano per essere sparate a bruciapelo su
tutta la pelle del viso.
«La missione è fallita, comandante»
esordì Tom Davis con fare incerto, visibilmente scosso e palesemente traumatizzato.
Si passò distrattamente una mano fra i capelli e se la portò subito dopo davanti
agli occhi, tutta imbrattata di sabbia e polvere. «Dovrei farmi una doccia…»
considerò a voce alta, quasi che quella fosse l’ovvia conseguenza derivata
dalla precedente affermazione.
«Non prima di aver fatto rapporto!»
troncò la questione il comandante Smith, risoluto.
«Già, rapporto…» biascicò il soldato,
quasi che il significato di quella parola gli fosse ritornato in mente soltanto
adesso dopo un lungo, lunghissimo periodo di amnesia parziale. «Non c’è molto
da dire, riguardo la missione. Era una trappola. Una trappola organizzata in
ogni dettaglio. La fattoria dei Gallagher era piena di uomini. Hanno aspettato
che ci dividessimo per iniziare a setacciare la zona, poi hanno aperto il
fuoco. Li hanno spazzati via tutti quanti, in meno di cinque minuti.»
«Tutti i soldati?»
«Tutti» confermò Tom. «Mi sono salvato
solamente perché il vicecomandante Gray mi aveva detto di restare a bordo della
camionetta, nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Vista in
quest’ottica, sembra quasi che avesse avuto una qualche sorta di oscura
premonizione…»
«Anche Gray è morto?» volle sapere il
comandante, e nel pronunciare il nome del suo vice svelò il profondo rammarico
che gli stava addentando il cuore a quelle notizie.
«Credo di sì. L’ho visto fuggire verso
i campi, ma erano in molti e devono averlo seguito. Gli altri li hanno
inseguiti, sa, quando hanno tentato di scappare. Li hanno inseguiti e li hanno
presi alle spalle, di sorpresa, senza lasciare loro nemmeno il tempo di
difendersi. Li hanno stesi a terra come capi di bestiame condannati al macello»
barbugliò tristemente Tom Davis, sentendo riecheggiare nella testa le urla dei
suoi compagni e gli spari che spezzavano le loro vite, rumori che non sarebbero
mai più usciti dalla sua scatola cranica ben sigillata.
«È possibile che vi abbiano seguiti?
Che vi abbiano visti arrivare e abbiano preparato su due piedi l’imboscata
prima che riusciste a scoprirli?» s’informò il comandante Smith, sempre più
abbattuto.
«No. È impossibile, comandante. Quegli uomini sapevano che stavamo arrivando. Già lo sapevano, prima ancora che
ci mettessimo in movimento e abbandonassimo il campo. Sapevano e hanno agito di
conseguenza» concluse gelidamente Tom Davis, udendo nella propria testa un
grido spietato che diceva: Crepa,
bastardo!
«Seppelliamoli dietro la stalla e
sistemiamo quel vetro. Voi due, pulite a fondo il pavimento del cortile.
Voialtri, invece, sbrigatevi a scavare la fossa sul retro» ordinò rapidamente
uno dei sei uomini in piedi attorno all’ingresso della fattoria dei Gallagher.
Si era spacciato per Fred Gallagher, quando i soldati erano arrivati, ma adesso
indossava di nuovo la sua maschera verde fosforescente con i tentacoli
arancioni di un polpo dipinti su tre quarti del viso. Avere di nuovo il volto
coperto era immensamente rassicurante, valutò mentre impartiva i suoi comandi.
I cinque uomini che gli stavano
accanto si dileguarono nel nulla, ognuno diretto a svolgere il proprio compito,
e lui spostò lo sguardo sul grosso albero che si ergeva in fondo al cortile e
vide emergere dall’erba alta del campo una figura scura e dinoccolata che
avanzava senza apparente fatica.
«Dove ti eri cacciato? Ce ne hai messo
di tempo, a tornare indietro! Per quanto hai corso?» domandò il ribelle con la
maschera verde fosforescente, con fare ironico.
«Abbastanza. Dovevo assicurarmi che il
soldato a bordo della camionetta non mi vedesse tornare per di qua. Ho corso
dalla parte opposta, mi sono nascosto un po’ e ho aspettato…»
«E intanto è venuta sera. È già buio,
e abbiamo un casino di roba da fare prima che arrivi l’alba. Non deve rimanere
alcun segno dello scontro di questo pomeriggio, e i fuoristrada nella stalla
vanno fatti sparire, assieme alla camionetta. Te ne occupi tu del cadavere
dell’autista ancora disteso sul volante?» domandò il finto Fred Gallagher
sghignazzando.
«Lascia che se ne occupi uno dei tuoi.
Non mi sembra il caso di rientrare al campo con il sangue di uno dei miei
uomini addosso, non credi anche tu?» replicò la silhouette in avvicinamento, raggiungendo
l’interlocutore e piazzandosi assieme a lui sotto la pozza di luce emanata
dalla grossa lampada appesa sulla porta d’ingresso della fattoria.
«Saggio ragionamento. Ma d’altro canto
sei tu la mente, qui. Tanto di cappello: la missione è andata a buon fine»
mormorò allegramente il rivoluzionario, simulando un inchino ossequioso
all’indirizzo dell’uomo con il quale stava parlando.
«Si tratta di un’altra minuscola
vittoria inconsistente» ribatté freddamente il vicecomandante William Gray,
rivolgendo lo sguardo in direzione delle lontane e soffuse luci della città di
Eglon, piccole e fumose sull’orizzonte scuro. «È là che si sta combattendo la
vera guerra. Là dentro, e quello che noi possiamo fare da qui è semplicemente
sperare che presto arrivino altri soldati ad assediare la città. Più siamo e
meglio è. La vittoria sarà senz’altro più altisonante, se i morti non si
potranno più contare. E il messaggio che lanceremo esploderà dirompente nelle
case dei cittadini del mondo, solleverà le nazioni e farà battere i cuori di
miliardi di uomini, donne e bambini. Quello che stiamo facendo qui fuori è
piccola cosa, in confronto a ciò che succede oltre quelle barricate. È proprio
là dentro che il mondo sta scoprendo cosa sia il vero terrore.»
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